Il site-specific come recupero del Barocco: The Grandfather Platform

A cura di Tatiana Basso

Può un’opera site-specific realizzare un continuum spazio-temporale?

La mostra monografica The Grandfather Platform dell’artista milanese Luca Pozzi, curata da Maura Pozzati negli spazi della quadreria e della Sala affrescata dei Carracci di Palazzo Magnani, si muove in questa direzione. È site-specific un intervento artistico progettato per essere collocato in un luogo determinato e in riferimento ai suoi aspetti connotanti: identità, storia, architettura e ampiezza degli spazi. Su questi elementi si imposta l’installazione ambientale di Pozzi, che la realizza all’interno del percorso espositivo di Arte Fiera – Art City, come parte di una serie di iniziative culturali curate da Unicredit e dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.Dagli anni ’50 ad oggi il legame tra opera d’arte e spazio è diventato determinante, così un’opera che occupa da sola un’intera sala espositiva non risulta più un fatto eccezionale. Opera e spazio tendono sempre più al tutt’uno, sia all’esterno che all’interno. Con i tagli di Fontana lo spazio tridimensionale entra nell’opera, con Earth Room di Walter De Maria la terra occupa il pavimento di un’intera sala museale, e così fino a Christo che “impacchetta” il Reichstag a Berlino, Pont Neuf a Parigi, il monumento a Vittorio Emanuele II a Milano.

Cosa accade se il rapporto tra opera e spazio nasce non in un contesto asettico (specifico del museo contemporaneo) ma storico e fortemente connotato dalla presenza di altre opere d’arte di epoca precedente, come accade nella sale di Palazzo Magnani? Si tratta di limiti o di possibilità? Entrambi. Il site-specific è un “lavoro in relazione” che richiede un intervento che non snaturi la classicità originaria ma la vivifichi e ne sia a sua volta vivificato. Una pallina da tennis, tre sculture ovali in bronzo specchiante e un’imponente piattaforma in acciaio sono gli elementi con cui Pozzi tenta questo dialogo. Attraverso il lancio ripetuto della pallina che viene fotografata vicina al fregio, l’artista compie un gesto delicato, rispettoso e innovativo, che indaga ma neppure sfiora gli affreschi e ne fa una rivisitazione performativa. Il risultato è The Wilson Tour, una serie di scatti fotografici in cui i soggetti delle quattordici scene sulla fondazione di Roma, affrescate lungo il fregio, incontrano la pallina e pare vi interagiscano.

 

 

Nei rimandi all’elettrone, in moto di orbita in orbita, si trovano le ragioni della scelta di una pallina da tennis, in moto tra l’artista e gli affreschi. L’elettrone introduce la caratteristica fondamentale della poetica di Luca Pozzi, giocata sulle possibilità che l’incontro tra arte e scienza offre; l’artista aveva infatti già affiancato le figure di Leonardo da Vinci e Lucio Fontana, di Galileo Galilei e Piero della Francesca, ed ora accosta il 2018 agli affreschi tardo cinquecenteschi di Lodovico, Agostino e Annibale Carracci, eminenti pittori del Barocco bolognese. Pozzi collabora per sviluppare i sui progetti con il Cern di Ginevra e con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che ha realizzato per The Grandfather Platform le Dragon’s Eggs, dei rilevatori di particelle subatomiche in bronzo lucidato e di forma ovale, alti poco meno di un metro, che emettono una luce blu ogni qualvolta incontrano un neutrino. Non nasce però con Pozzi la necessità di una collaborazione sempre più stretta tra artisti e scienziati e le opportunità che tale contatto può dare all’arte di espandersi nello spazio, la questione è appunto oggetto (e non a caso) del Secondo Manifesto Spazialista di Lucio Fontana, in cui l’artista sostiene quel processo storico immanente per cui le attività artistiche anticipano quelle scientifiche, che però da esse sono provocate. Ha origine da questa corrispondenza biunivoca tra arte e scienza l’idea di innalzare una piattaforma nella Sala dei Carracci, ma Pozzi si spinge oltre volendo con essa realizzare l’equazione di Dirac, che descrive il fenomeno dell’entanglement quantistico, il cui principio afferma che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”.
La piattaforma di tubi innocenti in acciaio ci eleva a cinque metri di altezza permettendoci di osservare per la prima volta gli affreschi ad un palmo di distanza.

Da qui vediamo come in realtà le distanze spazio-temporali da essa avvicinate siano ben maggiori del ‘500 bolognese rispetto all’odierno, gli affreschi del fregio hanno infatti come sfondo della fondazione di Roma le Due Torri di Bologna, a celebrarne la restaurazione papalina. Sembra che i Carracci già avessero, come Pozzi dopo oltre quattro secoli, lavorato concettualmente sull’unione di spazi e tempi distinti, permettendo così all’artista di realizzare un’ulteriore continuità, che però qui ancora non si conclude. La rete temporale unisce Annibale, Agostino e Lodovico Carracci, che utilizzano il brillante colorismo e la luce veneti, la monumentalità delle figure di Michelangelo e la delicatezza virginale di Raffaello, con il Rinascimento veneto e fiorentino. Ma non è tutto. Figurano nell’affresco i satiri semidivini dell’antica mitologia greco-romana e la continuità si espande ancora, ci rimanda alla classicità degli Dèi abitanti tra inferi, mari e cieli, cieli in cui impera ancora oggi la mitologia moderna di tutto ciò che ancora ci resta irraggiungibile, di quell’ignoto non vuoto ma colmato di fantasie, paure e supposizioni.

 

 

È il site-specific stesso il tramite, il punto di contatto attraverso cui i corpi distinti dell’equazione di Dirac interagiscono l’uno sull’altro e si modificano. Il senso dell’equazione avvicina spazi-tempi distinti, ma sospende anche la dicotomia tra arte e scienza purtroppo intese spesso come processi opposti, o la distanza, fortemente rimarcata da molti, tra l’arte classica e la non poco criticata arte contemporanea. La guerra fratricida tra Romani e Sabini raffigurata nel fregio sembra essere metaforica rispetto a queste separazioni, divise da una dissidia cognatorum pessima, scritta leggibile al di sotto della scena affrescata in cui Romolo e Tazio sono raffigurati nel pieno dello scontro. Nel mistero del viaggio temporale trova senso la penombra che circonda l’installazione, così come la superficie in moquette della piattaforma lo trova nella meditazione a cui essa ci invita: togliersi le scarpe e sedersi o stendersi a contemplare gli affreschi, sperimentare le possibilità offerte concettualmente e fisicamente dalla piattaforma, riflettere sul rinnovo di cui attraverso essa il fregio vive.

Piattaforma e affreschi sono i due corpi a lungo a contatto che agiscono l’uno sull’altro e la cui vicinanza determina un reciproco mutamento nella struttura e nella sostanza degli stessi. Si può affermare che d’ora in avanti possano essere di nuovo considerati come sistemi del tutto distinti? Si potrebbe pensare che questo incontro crei un passato ulteriore, che intoni una “variazione” sul tema, se per tema intendiamo l’autonomia dei due sistemi e per variazione la nuova interdipendenza originata dal loro contatto. Un passato “altro” è sintomatico di un’alterazione spazio temporale, alterazione che ritroviamo simbolicamente rappresentata dal cerchio scuro, dal buco nero al centro della moquette. Il buco nero non inghiotte soltanto la materia attorno a sé, ma anche i campi magnetici degli oggetti inglobati, e questo deforma lo spazio-tempo attorno ad essi. La densità tendente all’infinito del buco nero comprime le masse, e ciò che vi entra attirato dal suo incommensurabile campo gravitazionale non può fare ritorno, si crea così un confine ideale, detto orizzonte degli eventi, tra l’interno e l’esterno del corpo celeste. Salendo i 31 scalini fino alla piattaforma potremmo immaginare questo confine, che pure sembra una rappresentazione del paradosso del tempo immaginario, formulato da Hawking, in cui si procede all’indietro ricordando il futuro.

 

 

Arte e scienza al limite del metafisico creano mondi mentre li rivelano, così Hawking scrive L’universo in un guscio di noce, divorato dalla passione per l’infinitamente piccolo, di un millimetro divisi per centomila miliardi di miliardi, ove poter scorgere, intuire e poi spiegare l’infinitamente grande, mentre Pozzi crea una struttura d’acciaio che vuole essere una macchina del tempo. Artista e scienziato sono affascinati dell’enigma, dal piacere di affrontare l’inesplicabile, o crearne di nuovo; così nell’ ultima Dragon’s egg che si imposta sulla superficie della piattaforma tutto si specchia, tutto converge, le fondazioni, la realtà e il mito, il passato e il presente, l’arte e la scienza, non più distinte ma avvicinate in un’operazione concettuale, analitica ed emotiva. Creare: e qui ci si si domanda se occorra una risposta alla domanda iniziale, se possa o meno il site-specific creare un continuum spazio-tempo. Ma il senso forse risiede nella nascita di questo interrogativo, e nell’interpretazione che è, comunque, inesorabilmente e inesauribilmente aperta.

C’è un ipotesi, detta della materia oscura, secondo la quale al centro dell’universo stia un’invisibile materia-oscura che sfugge ad ogni osservazione ma che determina la nostra vita, è localizzata nel “nero” che circonda le stelle e, diversamente dalla materia conosciuta, non emette radiazione elettromagnetica e si manifesterebbe unicamente attraverso gli effetti gravitazionali. Non è forse l’effetto gravitazionale esercitato dall’opera, uno dei più interessanti tra i sensi che essa può assumere, ovvero il senso di aprire una domanda rispetto alla sua intenzione? Opera ponte o semplice ponteggio, The Grandfather’s Platform si risolve, senza mai risolversi, nell’esperienza di ogni visitatore che la percorre.

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