A oltre un anno dall’anteprima al Festival di Cannes 2017 (che l’ha premiato per la Migliore Sceneggiatura) arriva in sala grazie a Lucky Red il quinto lungometraggio scritto e diretto da Yorgos Lanthimos: Il sacrificio del cervo sacro (The killing of a sacred deer). Dopo un autentico capolavoro di cinema dell’assurdo, l’autore di The Lobster (Gran Premio della Giuria a Cannes 2016, diventato istantaneamente un film di culto in mezzo mondo) sceglie questa volta il dispositivo classico della tragedia greca: una parabola che procede fatale verso la rovina ineluttabile.
Protagonista resta Colin Farrell: star di Hollywood che Lanthimos sa rendere sorprendentemente umano, goffo, vulnerabile. Al centro de Il sacrificio del cervo sacro c’è il cardiochirurgo Steven, un uomo dalla vita apparentemente perfetta, destinata a precipitare in un lucido, interminabile incubo a occhi aperti. Obiettivi panoramici, estrema profondità di campo e utilizzo ossessivo della prospettiva rinascimentale, così impeccabile che sfiora l’orrore, sono gli elementi visivi scelti da Lanthimos per dilatare gli spazi, la città e gli interni, come se la quotidianità di Steven appartenesse in realtà a una dimensione parallela, disegnata dall’autore di 2001 Odissea nello spazio.
Ogni singola sequenza de Il sacrificio del cerco sacro è un omaggio al cinema di Stanley Kubrick. La scelta è chiara, radicale e dichiarata fin dal primo fotogramma: proprio come la Space Odyssey, il film si apre sul buio, accompagnato dalle note monumentali e tragiche di Schubert. Al posto dell’astronave Discovery One, o magari dei corridoi dell’Overlook Hotel di Shining, si alternano la lussuosa clinica e la splendida villa che Steven condivide con la moglie Anna. Ovvero: Nicole Kidman, versione gelida e stanca della Alice Hartford di Eyes Wide Shut.
In tanta irreale perfezione, c’è un solo ma stridente elemento di disturbo:
Martin (Barry Keoghan), strambo adolescente che Steven sembra incontrare molto spesso. La natura della loro amicizia non è chiara, almeno finché Steven non invita il ragazzo a trascorrere una giornata con la moglie e i figli (Raffey Cassidy e Sunny Suljic). Martin, infatti, è il figlio orfano di un suo paziente, morto forse per suo stesso errore. Per questo, non basteranno certo un po’ di attenzioni psuedo-genitoriali: l’apparizione di Martin nella famiglia Murphy rappresenta piuttosto un appuntamento col destino, che chiama Steven a pagare il prezzo dei suoi sbagli. I suoi due figli si ammalano in modo inspiegabile e molto grave. Se l’uomo non rispetterà le richieste di Martin, tutta la sua famiglia è condannata a una morte lenta e dolorosa.
Lanthimos proietta in un perenne stato di alterazione iperrealista un mito antico come il mondo: le colpe dei padri che ricadono sui figli. Il cervo sacro, infatti, era quello ucciso da Agamennone, chiamato a rispondere della sua sacrilega arroganza con il sacrificio della figlia Ifigenia. Tra Euripide, Stanley Kubrick e i classici elementi del thriller psicologico, Yorgos Lanthimos si conferma così uno tra gli autori più audaci, insoliti e sorprendenti del cinema europeo.
Certo: se The Lobster era un’opera senza precedenti, costruita su un originale futuro distopico (i single sono deportati in un albergo-fortezza dell’amore, dove trovare tassativamente un compagno, pena la trasformazione in animale), per il suo secondo film in lingua inglese Lanthimos sembra fermarsi, per volgere lo sguardo indietro. Forse, sacrificando la novità dirompente del suo cinema per un più prevedibile pastiche post-moderno, dominato dall’omaggio ai suoi maestri. Resta comunque la sensazione di un forte, disturbante come le sue prime immagini: quelle di un’operazione a cuore aperto, di un organo pulsante che sembra aggrapparsi disperatamente, inutilmente alla vita.
Per scoprire i prossimi passi del regista greco, non resta che aspettare The Favourite, atteso per Novembre 2018: dramma di corte, ambientato nell’Inghilterra settecentesca della Regina Anna, protagoniste Emma Stone e Rachel Weisz.