Lo spazio indiependente di racconti inediti per la sera continua, e stavolta è il turno di Pier Iaquinta e del suo racconto Quel giorno in cui capii – una storia di convivenza tra coinquilini appassionati di Giovanni Lindo Ferretti, ma anche di trasgressioni alle regole negli spazi comuni. Buona lettura.
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Vivevo con Tommaso da un paio di anni e non potevo crederci quando lo vidi con la sua prima sigaretta in bocca, credo fosse la prima ma non ne sono ancora del tutto sicuro. Era un tipo vivace, sempre in vena di fare giochetti ma allo stesso tempo gli piaceva sonnecchiare sul divano, specialmente nel primo pomeriggio. Tommaso adorava l’ora della siesta, perché poteva riposare un po’ prima di tornare a fare le sue solite faccende. Si alzava presto e mi svegliava quasi sempre, con i suoi rumori e con il suo camminare avanti e indietro in corridoio. Mi aspettava sempre per fare colazione e se c’è una cosa che ricordo chiaramente è che aveva molta fame la mattina, ma era comprensibile perché si muoveva parecchio nel corso delle sue giornate, ma sempre restando in casa e in cortile, usciva poco, non gli interessava, se non per qualche passeggiata con me in qualche bel posto dove spesso mi dilettavo nel fare foto e perché no farne qualcuna anche a lui. Era molto fotogenico, ma tirava sempre fuori quella sua linguaccia, rovinando molti dei miei scatti analogici. Mi piaceva a quel tempo scattare in analogico, era diverso dal digitale, non so se la qualità fosse effettivamente migliore, ma mi piaceva proprio l’idea di dover aspettare per sviluppare le fotografie e di avere a disposizione un numero limitato di scatti, anche perché nel mio amatoriale perfezionismo e per pigrizia scattavo pochissimo, ma quelle poche immagini che immortalavo dovevano piacermi alla follia. Sono un tipo così, la minima cosa fuori posto mi fa impazzire, specialmente durante il mio tempo libero, dove mi piace avere o anche solo pensare di avere tutto sotto controllo, la lingua di Tommaso nelle foto faceva scattare inconsciamente questo meccanismo, ma lui si divertiva così e non potevo farci niente.
In genere sono sempre stato un tipo tollerante, nonostante questa mia lieve mania di controllo, almeno nei confronti degli altri. Ho avuto un gran numero di coinquilini diversi, di ogni tipo ed età: giovani famiglie, ragazzini stranieri in vacanza per imparare la lingua, gente con animali esotici, aspiranti prestigiatori… non mi è mai importato di chi fossero, mi interessava che parlassero di cose che non avevo mai provato e loro esperienze che magari io non avrei mai potuto fare. Un’altra ossessione che avevo era la mia curiosità, non mi interessava provare di tutto sulla mia pelle perché sarebbe stato impossibile, mi piaceva e mi piace però sapere le cose più strane vissute dagli altri. L’unica restrizione vigente in casa era l’assoluto divieto di fumare tabacco. Dio quanto mi disgusta il tabacco, quell’olezzo che si attacca a capelli e vestiti, i tratti ignobili dei fumatori e la concreta possibilità di beccarsi un cancro. Non lo sopportavo proprio, mi sembrava così inutile e fine a sé stessa come pratica, per non parlare di quella pigrizia che si nasconde insidiosa dietro ogni sigaretta.
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Tommaso non si esprimeva molto e solo a modo suo, facendomi capire che cosa apprezzasse e cosa no. Io lo comprendevo per la sua reazione alle cose. Per esempio, impazziva quando alzavo il volume della musica, saltellava ovunque non appena sentiva la voce di Giovanni Lindo Ferretti, in quei rari momenti in cui mi divertivo a riascoltare vecchi compact disk su uno stereo altrettanto obsoleto. Mi piaceva il punk ed evidentemente anche a lui, nonostante non ne sapesse nulla. Gli volevo bene per questo suo modo di agire, mai mi sarei aspettato da lui, anzi da uno come lui un brutto scherzo del genere. Essendo lui conscio del fatto che mi desse così tanto fastidio non credevo fosse un menefreghista, era sempre stato un amico fedele e sempre riconoscente per tutte le piccole cose in cui lo aiutavo o che facevo per lui. A me non era mai costato nulla, anzi mi faceva solo piacere vederlo allegro e vispo come era di solito.
Quella mattina, quando sentii l’odore di fumo provenire dalla porta della cucina, mi sembrò stranissimo, vivevamo solo io e lui in casa, non credo avesse invitato qualcuno ero il suo unico vero amico, mi pare, e in ogni caso c’erano cartelli ovunque in casa. Mi piaceva ribadire il fatto di odiare una piaga come il fumo e come i fumatori e mi piacevano da morire i cartelli, che tendenzialmente mi impegnavo a produrre durante le mie domeniche, era uno dei miei hobby, avevo addirittura comprato in rete un macchinino per plastificarli. Aprii la porta e lo trovai lì accovacciato sulla poltroncina celeste che fumava. Non appena mi vide cominciò ringhiarmi contro come non aveva mai fatto, pareva molto stressato e non capivo perché.
Dopotutto era un cane, perché un Jack Russel dovrebbe essere stressato? e poi perché dovrebbe iniziare a fumare?