“Chi cerca chello che non deve, trova chello che non vole”
L’approccio ad un film fantasy da parte di chi non ha mai amato il genere in questione è “drogato” dal pregiudizio; puoi essere un cinefilo, un divoratore di opere cinematografiche di qualsiasi tipo ma se sei cresciuto negli anni ’80 con una repulsione per La Storia Infinita, se pensi che l’Oscar meno meritato dopo Titanic sia stato quello a Il Signore Degli Anelli (Il ritorno del Re) e se non sei riuscito ad andare oltre le due puntate de Il Trono di Spade (pardon, Game of Thrones), la ragione consiglierebbe di stare lontani da Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone. Poi, per fortuna, l’istinto irrazionale unito alla passione smisurata per la Settima Arte ti spinge al cinema e ti fa scoprire un’opera sorprendente, una meraviglia per gli occhi.
Ma che è, un film italiano? Anche questo è sorprendente, forse più del fatto che sia girato in inglese e con attori di fama internazionale come Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones e John Reilly.
La manovalanza è tutta del cosiddetto Belpaese (eccetto la fotografia di Peter Suschitzky e la musica di Alexandre Desplat) mentre l’origine delle storie raccontate nel film è tutta partenopea: napoletano era Giambattista Basile che in lingua napoletana scrisse Lo Cunto de Li Cunti, magnifica raccolta di 50 fiabe pubblicata intorno al 1635, la più antica opera favolistica europea da cui hanno preso spunto in seguito i fratelli Grimm e Hans Christian Andersen (Cenerentola, Il gatto con gli stivali, La bella addormentata nel bosco, ecc…). La particolarità dell’opera favolistica di Basile sta nell’ambientazione delle fiabe nella vita quotidiana di uomini e donne in carne e ossa, dentro cui un bel giorno piomba inaspettato l’elemento straordinario, la magia, il mostruoso, il miracolo. E questa è la caratteristica che ha colpito maggiormente Matteo Garrone e che lo ha portato con gli altri sceneggiatori, Massimo Gaudioso, Ugo Chiti ed Edoardo Albinati, a rimanere fedele alle fiabe originali nonostante i necessari cambiamenti per la messinscena sul grande schermo.
Da Lo Cunto de Li Cunti Garrone ha scelto tre storie (La polece – La cerva fatata – La vecchia scortecata) che hanno in comune l’assenza di eroi e la presenza, come protagoniste, di tre donne che rappresentano età diverse: una ragazzina sognatrice, una sovrana prima desiderosa di maternità e poi madre gelosa e possessiva, e una vecchia ingenua e talmente brutta da non voler uscire di casa. Nel film le tre vicende sono legate dalla presenza in ognuna di esse di una famiglia circense che compare e scompare nelle storie quasi a fare da tacito narratore, e l’intreccio dei racconti avviene anche in prologo ed epilogo che vedono tutti i personaggi presenti in scena all’inizio per un funerale e alla fine per un’incoronazione.
Nello mezzo (libero omaggio a Basile) c’è il “c’era una volta un regno… anzi tre regni vicini e senza tempo, dove vivevano, nei loro castelli, re e regine, principi e principesse. Un re libertino e dissoluto. Una principessa data in sposa ad un orribile orco. Una regina ossessionata dal desiderio di un figlio. Accanto a loro maghi, streghe e terribili mostri, saltimbanchi, cortigiani e vecchie lavandaie…”, il tutto narrato in maniera estremamente realistica nonostante la presenza di streghe, draghi, animali fatati.
Il racconto fantastico viene alimentato da incursioni comiche, sentimentali fino a virare all’orrore di immagini forti che impattano e colpiscono la sensibilità dello spettatore proprio perché, come in Basile, non ci si trova dinanzi alle solite favole ma a storie che prendono pieghe inaspettate e “fantastiche”, lì dove la fantasia può portare anche ad avere paura e ribrezzo. E la messinscena del film è funzionale a tale presupposto tanto che le scenografie sono per la maggior parte reali, siano esse naturali come le magnifiche Gole dell’Alcantara in Sicilia e la Via del Cavone a Grosseto, o edifici storici come il Castello di Donna Fugata a Ragusa (con l’ansiogeno labirinto in giardino), il Castello di Roccascalegna a Chieti, l’eccezionale Castel del Monte di Andria, le grotte di Dio a Mottola in provincia di Taranto (veri insediamenti rupestri della Gravina del Petruscio), fino a giungere al Castello Normanno-Svevo di Gioia del Colle nel cui piazzale di origini bizantine inizia e finisce il film.
Scenografie reali e naturali in cui compare l’effetto speciale (opera del tutto artigianale con pochi ritocchi in digitale), il colpo d’occhio fantastico; magnifici luoghi scelti per fare da sfondo ad una narrazione che parte dal fiabesco per giungere al concreto, rendendo credibili gli avvenimenti vissuti dai personaggi…esattamente il percorso inverso a quello che Garrone aveva fatto nei suoi film precedenti in cui partiva da fatti strettamente reali per poi condurli a dimensioni quasi fantasiose, immaginifiche (vedi Reality su tutti).
La morale delle favole che in Lo Cunto de Li Cunti viene inserita al termine di ogni racconto, nel film viene riassunta dalla modernità che già negli scritti di Basile era ben chiara: la smania per la giovinezza e la bellezza, l’ossessione di una donna pronta a tutto pur di avere un figlio, il conflitto tra le generazioni e la violenza che una ragazza deve affrontare per diventare adulta, sono argomenti che rendono quanto mai contemporanee storie senza tempo scritte nel ‘600.
Se la modernità delle fiabe va attribuita come merito postumo a Giambattista Basile, la capacità di renderle vive e visibili con assoluta maestria è tutta di Matteo Garrone, un regista di indubbia e crescente creatività a cui piace il rischio tanto da girare sopratutto opere che sorprendano per tematiche affrontate e per le modalità in cui decide di mostrarle, per varietà di genere di film girati e per l’altissimo livello che sin da L’imbalsamatore è riuscito a dare al suo lavoro.
La chiosa emblematica per descrivere Il Racconto dei Racconti arriva direttamente dall’introduzione di Basile a Lo Cunto de Li Cunti, “chi cerca chello che non deve, trova chello che non vole“…ovvero, non cercate e non aspettatevi un semplice fantasy come imposto dalla moda di letteratura e cinematografia moderna, perché troverete un viaggio fantastico in un mondo reale al limite dell’horror…vere e proprie fiabe per adulti che oscillano tra “l’ordinario e lo straordinario, il magico e il quotidiano, il regale e lo scurrile, il semplice e l’artefatto, il sublime e il sozzo, il terribile e il soave, brandelli di mitologia e torrenti di saggezza popolare”.
Le fiabe di Basile, portate al cinema da Garrone, raccontano i sentimenti umani spinti all’estremo. Film da vedere, libro da riscoprire.