Mi sarebbe piaciuto nascere negli anni del conservatorismo radicale, quando non si poteva divorziare e ti arrestavano se portavi i capelli lunghi, forse era più facile ribellarsi o avere un ideale, o forse ci eri soltanto costretto. Quando il proibizionismo rendeva più buono l’alcol, o negli anni ’70 quando l’eroina te la forniva direttamente l’Inps. Senza il bisogno di un social network per vendere quello che fai, una camicia per mostrare quello che sei o, semplicemente, non essere quello più fuori ai concerti. La verità è che è tutta una bugia, ed è la scusa di quelli che poi ad un concerto dei CCCP si sarebbero trovati a disagio. Quel conservatorismo ce l’abbiamo ancora, solo che è una parola brutta e non si dice più, e tutti avrebbero voluto nascere in una fantomatica epoca dell’oro, per poi ritrovarsi a lamentarsi di quello che stanno vivendo. Vivere, almeno, sarebbe già un traguardo. Ma se tutto è permesso sottovoce il proibito esiste ancora, e la nostra è quell’epoca in cui il non detto, o detto così tanto da apparire normale, è ciò che più cade nell’oblio dei tabù. Se da un lato ci troviamo nell’esplosione di una libertà sensualistica, almeno dal punto di vista delle immagini, in cui chi si scopre di più ottiene più successo, dall’altro il corpo non è mai stato un mezzo così efficace di denuncia artistica e sociale. In una società in cui apparire è la costante, il corpo, paradossalmente, con i suoi gesti, risulta uno dei pochi mezzi per distinguersi e trasmettere un messaggio di denuncia.
Quando si parla di protesta e di corpo si pensa immediatamente al gruppo ucraino Femen, impegnato dal 2008 nella battaglia per l’eliminazione del turismo sessuale e delle discriminazioni. Non è tutto qui. In realtà il corpo, in questo caso, si fa portatore del messaggio, non è il messaggio stesso. Femen si costituisce come movimento rivoluzionario che nel seno scoperto e cosparso di scritte ha trovato il proprio segno distintivo, non troppo diverso da una bandiera rossa o da altri simboli. L’ideale che gli sta dietro è indiscutibile ma ogni movimento si deve caratterizzare in qualche modo ma il corpo è scopo per marcare la componente esclusivamente femminile. Un mezzo come un altro per ribadire la propria posizione e finire sui giornali per lo scalpore che si scaglia contro al tabù sussurrato dalle immagini provocanti della pubblicità. Un utilizzo diverso, in cui il corpo è sempre mezzo, si forma invece in altri casi, che lasciano meno tracce sui giornali.
Il corpo richiede una presenza, esistere è già un atto rivoluzionario. L’evoluzione della politica e dei costumi ha comportato un’ulteriore necessità. Non basta più “metterci la faccia”, di quelle la nostra politica ne è piena e abbiamo visto tutti come non sia sufficiente, tocca al corpo ora mobilitarsi, con la sua mente, i suoi gesti e le sue potenzialità. Se non fosse così, le ricerche artistiche non avrebbero più senso e, probabilmente, il fatto stesso di esistere. Se, prima, l’essere belli bastava ad esistere, la stessa corporeità ora è messa in dubbio da standard quasi inarrivabili, ma è dalle motivazioni più dolorose che i muscoli si irrigidiscono.