Portato recentemente in Italia da Pidgin Edizioni, Il libro di X è il romanzo di esordio di Sarah Rose Etter. La protagonista è Cassie che, come la madre, e ancor prima la nonna, ha il corpo annodato. Un rigonfiamento all’altezza dello sterno che si tramanda per linea femminile e che la sottopone al disgusto e al rifiuto di chi la circonda, soprattutto gli uomini con cui entrerà in contatto tra l’adolescenza e l’età adulta. Anche in famiglia, nonostante la malformazione ereditaria, Cassie viene continuamente messa di fronte alla ricerca di una perfezione a cui non può giungere. È la madre, con cui passa la maggior parte del suo tempo mentre il padre e il fratello lavorano alla cava di carne, infatti che la spinge alla magrezza e a quella perfezione fisica necessaria per meritare – a suo giudizio – accettazione e affetto dalle persone intorno a lei.
Leggendo Il libro di X seguiamo quindi il percorso di crescita di Cassie, dalla dimensione familiare prima, da cui si allontanerà, fino a quella dell’età adulta, in città, alle prese col lavoro e nuove relazioni con gli uomini. Il nodo diventa simbolo tangibile di cosa voglia dire muoversi nel mondo in un corpo di donna, specialmente se quel corpo che si abita non si conforma alla norma, ed è anzi univocamente considerato difettoso, mostruoso. Etter sceglie quindi una scrittura frammentata, in un’atmosfera dalle tinte horror e allucinate – come le Visioni di Cassie che spezzano la linearità della narrazione – per rendere il malessere e il tormento della protagonista, dando vita a un romanzo coraggioso che perfettamente si inserisce nella linea editoriale proposta da Pidgin fino ad ora. Di tutto questo ho avuto il piacere e l’onore di parlare con l’autrice, che ha risposto ad alcune mie domande.
Cassie, la protagonista del tuo libro, ha il corpo segnato e deformato da un nodo subito dopo le costole. Una “malformazione” che si tramanda di madre in figlia, secondo quindi una linea femminile. Inevitabilmente Il libro di X si inserisce così in un filone narrativo che indaga il rapporto tra le donne e il proprio corpo ma anche come le persone intorno a sé si relazionano a quel corpo.
Secondo te cosa spinge tante autrici a cimentarsi con questo tema e cosa ha spinto te a scriverne?
Il corpo umano è la fonte di tanto: di ogni dolore, di ogni trauma, di ogni discendenza. È quasi un intero panorama in cui chi scrive viaggia in uno sforzo di comprendere perché siamo chi siamo e come agiamo nel mondo. Con questo libro, il nodo è in realtà una controfigura per qualsiasi cosa per cui il lettore prova un malessere: che sia sessualità, depressione, ansia o dismorfofobia. Per me, in quanto scrittrice donna, è quasi impossibile esaminare il mio essere al mondo senza esaminare anche il corpo. E penso che questo valga per qualsiasi scrittrice o scrittore che si senta “altro” nella società: che sia di colore, donna, non conforme o trans. Quando si viene categorizzati dal mondo in base al proprio corpo, scrivere è un modo per fare i conti non soltanto con i nostri corpi ma anche con il modo in cui la società risponde a quei corpi in maniera personale e politica.
A un certo punto del libro Cassie si libera della “condanna” del nodo, ma come lei stessa ammette a volte la sua mente la induce a pensare di essere ancora annodata. È possibile trovare una pacificazione individuale con il nostro corpo o questo – come riporta una famosa opera di Barbara Kruger – sarà sempre un campo di battaglia?
Quando Cassie rimuove il nodo, non ha ancora realmente affrontato il suo trauma o il suo corpo. Quindi volevo esplorare l’idea di questo fardello che le viene portato via e di lei che si sente esattamente la stessa. Non penso che troveremo mai una pacificazione con i nostri corpi: ogni giorno, in America, i nostri corpi continuano a essere un campo di battaglia. Che venga sessualizzato in quanto donna da un uomo sulla strada o che un membro del Congresso passi una legge che decide se io debba o meno avere un figlio, non c’è realmente una via di fuga. Mi piacerebbe credere che ciò cambierà nel corso della mia vita, ma ne dubito.
La crescita di Cassie è profondamente segnata, soprattutto nelle prime parti della giovinezza, dai rifiuti dei ragazzi con cui entra in relazione o dal difetto del suo corpo rispetto alle coetanee. Trova poi più avanti l’amore in Henry e il sentimento nei suoi confronti che così forte che arriva a dire “Lo amo senza esitazioni né riguardi. Il cielo non è mai stato così vasto né così blu.”
Pensi che il sentimento amoroso, nella società fortemente atomizzante in cui viviamo, possa ancora avere il potere di oscurare la sofferenza derivata da altre esperienze?
Dipende dal giorno in cui mi viene posta questa domanda. L’amore, per me, è un mistero: alcuni giorni ci credo pienamente e altri sono sicura che sia una menzogna. Non so se può oscurare la nostra sofferenza o semplicemente donarci degli spazi più sicuri per affrontarla. Credo che tutte le persone che incontriamo portino con sé un grosso fardello che non possiamo vedere o conoscere del tutto; e che, attraverso l’intimità, forse, abbiamo la possibilità di condividere questo fardello gli uni con gli altri. Forse questo alleggerisce il peso? Forse questo può aiutare a rendere la vita meno dolosa. Non sono sicura che possa spazzare via del tutto la sofferenza.
Il libro segue la vita di Cassie attraverso le tre parti in cui è diviso. A sua volta ogni parte si compone della narrazione vera e propria intervallata tra le Visioni di Cassie ed elenchi, cataloghi. Da una parte il sogno, a volte espressione del desiderio, altre dalle pieghe orrorifiche, e dall’altra la materialità di nozioni concrete e verificabili. La vita di Cassie è un viaggio tra questi momenti necessari per mantenere un equilibrio?
Le prime bozze del romanzo erano molto, molto cupe, molto di più di com’è il libro ora. In fase di editing, mi sono resa conto che il libro era troppo crudele. Penso che superasse il confine che divide l’essere l’analisi di un trauma dall’essere essere troppo brutale perché un lettore potesse finire di leggerlo. Quindi durante il processo di editing ho cercato dei modi per creare spazio e sollievo: ed è qui che sono entrate in gioco le liste di notizie e le visioni. Volevo dare al lettore una pausa dalla vita insostenibile che Cassie stava vivendo.
Come mai hai scelto questa forma di scrittura così frammentata?
La forma si è definita durante l’editing. Ho scritto il romanzo durante un soggiorno di scrittura di un mese in Islanda. Ho scritto circa 70.000 parole in trenta giorni. Ma quando ho iniziato l’editing, sono come impazzita: ho ripetutamente riscritto ogni singola riga. L’effetto è stato di levigare le frasi riducendole all’osso. Penso di aver dimezzato il libro durante l’editing: si è ridotto a circa 45.000 parole. Mi è preso qualcosa durante l’editing e non sono riuscita a fermarmi.
Il libro di X è anche il tuo romanzo di esordio. È stato difficile spostarsi dal racconto al romanzo?
Per tutta la mia vita ho pensato che avrei scritto soltanto racconti. Ma scrivere “Il libro di X” ha veramente cambiato il modo in cui vedo la mia relazione con la scrittura. I romanzi sono dei rompicapi che crei e risolvi da te. È un lavoro esasperante e intenso. Dura una vita. Lo ami e lo odi. Non significa niente e significa tutto. Hai visioni grandiose di ciò che scriverai e poi riesci a mettere su carta solo una frazione di esse. Da quando ho finito “Il libro di X”, penso di aver scritto due o tre racconti. Tutta la mia attenzione è stata rivolta sulla scrittura di un altro romanzo. È una cosa che dà dipendenza.
Alla fine del libro è presente una lista di spunti che tu stessa dai a possibili gruppi di lettura. Come mai hai deciso di scriverne? Che rapporto hai con i tuoi lettori e lettrici?
Il mio editore negli Stati Uniti, Two Dollar Radio, include domande per la discussione tra i lettori in ogni libro che pubblica. Quindi abbiamo lavorato insieme per aiutare ai lettori a discutere dell’opera. Il mio rapporto con i lettori è interessante, in particolare con questo romanzo: “Il libro di X” ha veramente aperto una conversazione tra me e i lettori sui corpi, sui traumi, su tutto. Mi ha mostrato che provare dolore è universale. È una cosa al tempo stesso triste e bellissima. È un libro per il quale ho fatto un sacco di reading nelle librerie degli Stati Uniti perché sentivo che si trattava di un romanzo di cui valesse la pena parlare con i lettori dal vivo e di persona.
Spiando il tuo profilo instagram ho visto che ci siamo ritrovate a leggere quasi contemporaneamente Il consenso di Vanessa Springora. Hai altre letture di scrittrici da consigliare o qualche lettura che invece ha influenzato te nelle tue riflessioni e poi nella tua scrittura?
Ah, ottima domanda! Ho amato molto “Il consenso”. Libro geniale. Scrittrici di ogni sorta mi ispirano, e la maggior parte non sono americane. Amo i libri tradotti: Olga Tokarczuk, Samanta Schweblin, Kim Hyesoon, Clarice Lispector, Jenny Erpenbeck.
Per quanto riguarda scrittrici americane o inglesi che adoro: Shirley Jackson, Halle Butler, Amelia Gray, Miriam Toews, Barbara Comyns, Sophie Mackintosh, Carmen Maria Machado, Kate Zambreno, Ottessa Moshfegh. E la lista continua! Potrei parlarne all’infinito. Ma dirò una cosa: una delle parti migliori in assoluto di avere un libro tradotto in un’altra lingua è la possibilità di vedere l’arte che oltrepassa i confini, di vedere persone che si scoprono a vicenda e che scoprono nuovi mondi. Voglio vederne ancora: voglio vedere altro di ciò che Stefano e Pidgin Edizioni stanno facendo nel mondo.
Le scrittrici vengono a volte accusate di trattare solo di questioni “femminili”. Come risponderesti a una critica del genere?
Mi è stata posta alcune volte ed è una domanda a cui è difficile rispondere: di che altro potrei scrivere? Potrei scrivere dell’esperienza maschile? Non lo so: quando mi vengono le parole, la narratrice è sempre donna. È sempre qualcuno che è me ma al tempo stesso non è me. È impossibile spingermi a scrivere di qualcosa che non conosco: sarebbe come scrivere di un paese che non ho mai visitato. Posso scrivere solo di quel che viene a me. Posso scrivere solo di ciò che sento vero rispetto alla storia. E se si tratta di questioni femminili, eh beh… Dio solo sa che abbiamo ascoltato ciò che pensano gli uomini sin dall’alba dei tempi. Va bene prendersi un po’ di spazio ora.