Come è già successo molte altre volte in passato, anche in questi giorni si cercano degli stratagemmi per semplificare un fenomeno complesso come quello di una pandemia. Il caso più facile da citare riguarda nientemeno che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale nei giorni scorsi ha indicato la via del “miracolo” come unica via d’uscita dal Covid-19 o ha invitato i cittadini ad iniettarsi del disinfettante per ripulire i polmoni dal virus. Con l’intenzione di smorzare la dimensione esoterica in cui il Presidente sembrava essere scivolato, ha fatto sentire la sua voce il segretario di Stato Mike Pompeo, che ha peggiorato la situazione. Secondo quest’ultimo ci sarebbero delle prove lampanti del fatto che l’epidemia abbia avuto origine in un laboratorio cinese. Quando Pompeo è stato invitato da varie parti a riflettere sul fatto che la comunità scientifica è unanime nel ritenere che il virus non sia un prodotto geneticamente modificato, contraddicendosi ha replicato: “That’s right. I agree with that.” Ecco, proprio nella direzione opposta si colloca questo breve scritto divulgativo, che nasce dalla volontà di comprendere come si sia sviluppata la pandemia causata dal virus SARS-CoV-2.
Da dove viene il SARS-CoV-2, cioè il virus responsabile del COVID-19? Leggendo le riviste scientifiche più autorevoli, si scopre che il giallo legato alla specie animale responsabile della trasmissione del virus non è ancora completamente risolto. Se è chiaro che si è trattato di zoonosi, termine con cui si indica il passaggio di un virus patogeno da un animale all’essere umano, manca però il tassello intermedio che consente di ricostruire l’intera dinamica. I virus trasmissibili per zoonosi si diffondono da un ospite animale chiamato “serbatoio”, in cui il parassita vive e replica senza provocarne la morte. In seguito essi possono “trasferirsi” in un ospite di amplificazione, il quale favorisce una rapida trasmissione del parassita, che a questo punto ha la possibilità di approdare al corpo dell’essere umano.
Per comprendere il comportamento del nuovo coronavirus gli scienziati guardano soprattutto al SARS-CoV, che nel 2002-2003 provocò la SARS, cioè la sindrome respiratoria acuta grave. Anche in quel caso il virus passò dai pipistrelli ad un ospite di amplificazione, poi da questo all’uomo. È quasi certo che l’ospite di amplificazione fu la civetta delle palme mascherata, chiamata altrimenti “zibetto”. Come racconta David Quammen in Spillover – un brillante saggio narrativo oggi riscoperto da numerosi lettori – “il SARS-CoV era il primo rappresentante della sua famiglia capace di causare una grave malattia nell’ospite umano. Il virus non aveva mai infettato la nostra specie prima di allora. Dunque, doveva per forza venire da qualche animale”. Dopo aver scoperto che il virus si era propagato dalla provincia cinese del Guangdong, la comunità scientifica si chiese come fosse avvenuto il passaggio da una specie all’altra. In seguito a ricerche, analisi di laboratorio e perlustrazioni dei cosiddetti wet market si scoprì la presenza del virus in alcune civette delle palme mascherate. La divulgazione di questa scoperta portò il governo cinese a ordinare un massacro di questi animali, senza preoccuparsi del fatto che una soluzione del genere fosse eccessiva e inadeguata.
Nel 2005, un anno dopo il massacro degli zibetti, il “Journal of virology” dava dimostrazione della presenza del coronavirus nel pipistrello a ferro di cavallo , le cui escrezioni furono prelevate nel Guangdong e in altre tre zone della Cina. Dunque, il pipistrello a ferro di cavallo divenne il candidato numero uno per aggiudicarsi il ruolo di ospite serbatoio. Andando avanti con la ricerca, si scoprì presto un elemento che complicò ulteriormente il quadro: il virus trovato nei pipistrelli non era identico a quello responsabile della SARS negli esseri umani. Per forza di cose, c’era stato un passaggio intermedio che aveva aiutato il virus a modificarsi. La trasmissione del virus, quindi, non era avvenuta dal pipistrello all’uomo. Da una comparazione tra prelievi effettuati in laboratori diversi si constatò che i pipistrelli ferro di cavallo presentavano alte quantità di anticorpi virali, mentre gli zibetti o civette delle palme ne erano privi. Questo vuol dire che il virus aveva avuto modo di cambiare, modificarsi e adattarsi ad altri parametri biologici. Tutto ciò significava che “questi chirotteri erano un possibile ospite serbatoio, se non l’unico, del virus SARS-CoV. E che la civetta delle palme mascherata era stata con ogni probabilità solo l’ospite di amplificazione durante l’epidemia del 2003” (Spillover).
Il notevole lavoro di David Quammen sui virus trasmessi per zoonosi si è di recente imposto all’attenzione perché in vari punti fa riferimento a quella che sarebbe stata-il libro esce nel 2012 – la futura pandemia scatenata da uno spillover. Quella che l’autore del libro definiva profeticamente “the Next Big One” oggi porta il nome di Covid-19. Questo nuovo coronavirus, simile per l’ottanta per cento al SARS-CoV, anche se meno letale ma più contagioso, è partito nuovamente dai pipistrelli, che anche in questo caso si comportano da ospite serbatoio. Qui sembravano fermarsi, almeno fino a due mese fa, i dati certi sulle modalità della trasmissione del virus. Ancora una volta il giallo da risolvere ruota attorno all’identità dell’ospite intermedio o di amplificazione.
Una prima ipotesi aveva suggerito il serpente come tassello mancante, ma poi questa ricostruzione è stata smentita da virologi come David Robertson dell’Università di Glasgow e da Paulo Eduardo dell’Università di San Paulo, come si può leggere nell’articolo Why snakes probably aren’t spreading the new China virus pubblicato su “Nature” il 23 gennaio 2020. Anche Cui Jie, virologo presso il Pasteur Institute of Shanghai, lo stesso che che identificò il SARS-CoV nei pipistrelli della caverna nella provincia dello Yunnan nella Cina sud-occidentale, conclude che SARS-CoV e SARS-CoV-2 fanno parte di un sottogruppo conosciuto come betacoronavirus. Le ricerche effettuate in seguito all’epidemia della SARS del 2002 trovarono questa tipologia di virus solo nei mammiferi. Dunque, niente serpenti. Se con ogni probabilità il pipistrello è stato l’ospite serbatoio, resta da appurare l’identità dell’ospite intermedio, che ha permesso lo spillover, cioè la trasmissione del virus all’uomo.
Una strada percorribile è stata indicata dal numero del 26 marzo di “Nature”. Qui un team di ricercatori ha avanzato una nuova tesi, basata sulla premessa che l’epidemia dell’attuale polmonite virale (Covid-19) sia partita da un mercato di Wuhan, dove la vendita di animali selvatici potrebbe essere stata all’origine del contagio zoonotico. Sebbene i pipistrelli siano con ogni probabilità l’ospite serbatoio del SARS-CoV-2, l’identità dell’ospite intermedio responsabile della trasmissione non è chiara – spiega l’articolo, che così illustra la nuova scoperta: un virus del tipo SARS-CoV è strato trovato nella specie del pangolino malese (Manis javanica), i cui esemplari sono stati catturati nelle operazioni effettuate per arginare il contrabbando degli animali selvatici nella Cina meridionale. La scoperta di ceppi multipli del coronavirus nel pangolino e la loro somiglianza con il SARS-CoV-2 suggerisce che i pangolini siano dei possibili ospiti dei nuovi coronavirus. Nella parte conclusiva di questo articolo gli scienziati invitano a rimuovere i pangolini dai wet market per disincentivare una trasmissione di tipo zoonotico. Ricapitolando, i pangolini sono ad oggi, dopo i pipistrelli e gli esseri umani, i soli mammiferi ad essere infetti del nuovo coronavirus.
Cosa ci fanno dei pangolini malesi nei mercati di Wuhan? Per rispondere a questa domanda bisogna sapere che la cultura cinese contemporanea è l’era delle “specialità selvatiche”. La diversità e la quantità di animali consumati sono cresciute fino ad abbracciare tutte le creature di terra, di aria o di mare. Seguire la moda delle specialità selvatiche è considerato, inoltre, un modo per acquisire prestigio, prosperità e buona sorte. Nella sola città di Canton, ad esempio, nel 2003 si contavano duemila ristoranti con animali selvatici in menù. Questi posti si riforniscono nei wet markets, enormi mercati dove si vendono animali vivi delle specie più disparate. Oggi vari articoli di approfondimento spiegano che il pangolino malese è molto ricercato soprattutto per le sue squame, alle quali la medicina cinese tradizionale attribuisce dei grandi poteri curativi. Per questo motivo e per il fatto che la sua carne sia considerata una prelibatezza il pangolino è uno dei mammiferi più trafficati al mondo, soprattutto attraverso canali illegali. Il punto di arrivo di questa breve panoramica è di nuovo l’uomo, l’unico responsabile dell’alterazione di certi equilibri. Si pone il serio problema di ripensare il rapporto tra essere umano e specie animali, che sembra essere scomparso dall’orizzonte culturale odierno. Il ripensamento di questo legame implica una revisione radicale dei nostri stili alimentari, destinati inevitabilmente a modificarsi in nome di un maggiore rispetto del mondo naturale.