A raccontare di che pasta è fatta la felicità si rischia sempre di risultare banali, macchiettistici, decisamente sopra le righe. Senza dubbio è una delle prove più difficili per uno scrittore. Per non parlare poi se l’obiettivo è scrivere di quelle vite così normali da rivelarsi almeno un po’ speciali nella loro quotidianità. Il segreto per riuscirci bene, probabilmente, è raccontare di qualcosa che si conosce a fondo e, perché no, portare sulla pagina la realtà di tutti i giorni addolcita da un pizzico di fantasia.
Ci riesce al meglio Michele Cecchini: toscano, insegnante di educazione artistica alle medie e scrittore, è alla sua terza prova letteraria con Il cielo per ultimo, recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri.
A me va bene così, per carità: una felicità improvvisa, momentanea, come viene viene. Sarebbe da egoisti volerne di più, o volerla tutta per sé. Ebbene sì, a volte sono felice e non mi sento in colpa di ammetterlo. Si viene tacciati di insincerità, a dire così, perché non c’è motivo di essere felici. O meglio, c’è sempre un buon motivo per non esserlo. Ma io mi sento felice davvero mentre passeggio con Pitore e stringo la sua manina.
Il cielo per ultimo è la storia Emilio Cacini, conosciuto da tutti come Soldo di Cacio o semplicemente Cacio per via della sua statura. Cacio è una persona placida e tranquilla, è anche è un po’ soprappeso, ma non se ne preoccupa, e per giunta ci vede poco e, per questo motivo, indossa lenti molti forti che fanno sembrare i suoi occhi molto più grandi di quello che realmente sono. Cacio è un buono, uno di quei personaggi che sarebbe piaciuto molto a Federico Fellini. Insegna arte alle medie, materia che cerca sempre di rendere affascinante e coinvolgente agli occhi dei suoi alunni e che spesso gli torna utile per raccontare bene tutto quello che ha intorno.
A scuola, dedico sempre un paio di lezioni al blu di Tintoretto. È un colore che sorprende, spiazza, lo capisci subito che è un colore necessario. Io vorrei farci il bagno, in un mare tutto colorato di quel blu lì.
Nella sua vita, Emilio Cacini è convinto di non aver molto da dire, eppure si sbaglia. Eccome se si sbaglia. Cacio vive ad Ardenza Mare, una frazione a Sud di Livorno, ventitré strade che danno sul mare. Per chi ci vive, Livorno e Ardenza Mare nello specifico diventano un luogo dell’anima letterario: c’è il signor Cesare che per presenza e modi di fare ricorda Cesare Zavattini, tanto che la signora Matelda è convinta che sia proprio Zavattini in persona; c’è la tomba di Piero Ciampi che Cacio non ha ancora trovato ai Lupi; c’è la figura magica e sfuggente di Antonio Pastacaldi, illusionista di Ardenza di grande fama all’estero, per ora dimenticato dai più, ma non da Cacio. Ci sono, in questo piccolo borgo di strade affacciate sul mare, tanti personaggi luminosi e colorati che vale la pena conoscere, nel bene e nel male.
Sì, «rassicurante» mi sembra l’aggettivo giusto per un posto come questo. Sia per coloro che lo abitano da una vita, sia per i nuovi arrivati, sia per quelli mezzo e mezzo come me. La sensazione è quella di trovarsi in un luogo che, come il mare, non ha mai rinunciato a somigliare a sé stesso.
In questo posto, che col tempo ha imparato a chiamare casa, conosce tutti e tutti lo conoscono. Qui non è mai solo. Come potrebbe esserlo, poi: con lui vive anche suo figlio, il piccolo Pitore. Un bambino fantastico che si esprime in un modo tutto suo, lasciando che paroline sonore e colorate escano dalla sua bocca quasi a riprova del mondo meraviglioso che si porta dentro. Cacio fa di tutto per assecondare e comprendere quelle parole, per non lasciare che il suo bambino possa in qualche modo reprimersi a causa della disfasia che lo colpisce sul piano linguistico. Le loro conversazioni sono tutto un fiorire di fabado! Coltado! Cebado!, paroline che esprimono tutta la meraviglia di Pitore e Cacio lo sa.
Andando avanti con questa cosa mi convinco che sì, anche Pitore è stato accalappiato nello spazio insieme alle stelline. È un extraterrestre piovuto qui da un altro pianeta. Forse, quando parla, lancia messaggi in codice nello spazio, come fanno alla NASA, nella speranza che qualcuno li intercetti e venga a prenderlo. Così, finalmente, potrà raccontare tutto quello che è costretto a tenersi dentro.
Spesso i due vanno insieme a trovare la mamma di Pitore, Ilaria, l’unico amore di Cacio, che si trova in carcere e le portano crostate e un po’ d’amore, aspettando il giorno in cui potranno finalmente riabbracciarla fuori da lì. Ilaria è una brigadista cinica e distaccata, ma quando stringe e accarezza le mani di Pitore tutto sembra riacquistare un po’ senso. Cacio sogna di poter vivere insieme, un giorno, in tre.
Il cielo per ultimo di Michele Cecchini racchiude tutto un mondo fatto di sorprese e grandi occhi sgranati, fiabe belle da raccontare e magie, ma anche tanta paura e incertezza. Il tempo della storia sembra dilatato in uno spazio onirico pieno di parole, zucchero filato, quadri e statue, Mondiali di calcio alla tv e Brigate Rosse. Sì, perché servendosi abilmente della dolce goffaggine di Cacio Michele Cecchini ci dà le coordinate per capire oltre vent’anni di storia recente, non perdendo mai di vista quanto l’amore e la felicità data dalle piccole cose siano importanti per superare i momenti più bui.
La meravigliosa illustrazione di copertina è di Manuele Fior.