La storia è incentrata sulla figura di un poliziotto, il capitano Mattei, da tempo sulle tracce di una banda di rapinatori: una volta alle costole dei malfattori, quando ormai sta per arrestarli, si ritrova in balia degli spari di un cecchino che, colpendo la sua squadra di poliziotti, copre le spalle e consente la fuga della gang. Il capitano comincia così una vera e propria caccia all’uomo che viene agevolata dal ferimento di uno dei criminali della banda del cecchino costretto a rimandare la spartizione della refurtiva dell’ultima rapina e ad affidare l’amico ferito alle cure di un ambiguo medico.
Il cerchio attorno ai rapinatori si chiude sempre più e trapelano notizie e particolari che qualcuno fa arrivare alla polizia nel tentativo di far scoprire il cecchino e di conseguenza di rendere innocuo e indifeso il resto della banda. Il destino dei protagonisti, che siano poliziotti o delinquenti, si incrocerà facendo emergere particolari in comune e svelando misteri che tra segreti militari e tentativi di vendetta riporteranno alla memoria eventi della guerra in Afghanistan.
Diciamo subito che Il Cecchino non è minimamente accostabile a Romanzo Criminale: Michele Placido aveva trovato ogni elemento perfetto a livello tecnico, narrativo ed interpretativo per raccontare la banda della Magliana, romanzando grazie a De Cataldo degli eventi che qualcuno lo aveva accusato di rendere in certi casi addirittura commoventi creando dei miti invece che palesando le atrocità dei criminali…accuse talmente vecchie che ai tempi di Scarface (non quello di De Palma degli anni ’80 ma quello del ’32) il regista Howard Hawks disse che “chi non sa insegnare ai figli la differenza tra bene e male se la prende con il mondo che lo circonda”.
Il polar all’italiana girato da Placido lascia un gusto insipido alla visione; lì dove Auteuil, Kassovitz e Gourmet paiono osare con interpretazioni che tendono alla tensione crescente ma zoppicando emotivamente nei momenti clou (come tutto il cast tra cui spiccano Luca Argentero e Violante Placido vittime di un mediocre auto-doppiaggio), la storia arranca dando l’impressione di non trovare mai l’intreccio ideale tra le scene d’azione, le sparatorie e gli inseguimenti e i momenti di riflessione che pure sarebbero dovuti essere fondamentali.
Infatti la sceneggiatura porta alla ribalta un lato oscuro della personalità umana, il labile confine tra bene e male, riflette sull’incapacità di perdonare e addirittura racconta l’amore sopra ogni cosa al costo della vita: ma tutto ciò nel film di Placido è sfilacciato, resta nelle intenzioni, lo si percepisce dagli accenni e da qualche scena più fluida delle altre, e la mancanza di filo conduttore e di coesione nel cambio di registro è il vero punto debole per un film che dovrebbe confrontarsi con la tradizione dei polar e dei noir polizieschi.
A dire il vero già in Vallanzasca si era notato qualche difetto di sorta sulla fluidità narrativa, ma in quel caso Placido aveva preferito soffermarsi su un lato biografico che riusciva in qualche modo a sopperire alle incongruenze di sceneggiatura arrivando ad esaltare in molti casi il radicale cambio di tono tra azione e dramma.
Tra le ultime opere di Placido questa è la meno riuscita…forse il troppo sfarzo produttivo e le eccessive aspettative hanno appiattito la lavorazione de Il Cecchino, che ancora prima di essere girato aveva una claque numerosa e da troppi veniva già incluso tra i cult del genere. Ma i film vanno visti finiti e chissà che il risultato poco soddisfacente non dipenda anche dal fatto che il regista italiano si sia trovato alle prese con un’idea già bella e pronta da mettere solo in scena.