a cura di Alessia Giazzi
Il 2018 si apre e si chiude sotto il segno dei Bud Spencer Blues Explosion. Dopo quattro anni di silenzio discografico, il duo romano composto da Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio è tornato a marzo con il fortunato album Vivi Muori Blues Ripeti che li ha visti attraversare tutta Italia per un tour (de force) di oltre 40 date live. Mentre il binomio del blues made in Italy si appresta ad affrontare le date conclusive di questo 2018, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cesare Petulicchio per tirare le somme di questi ultimi intensissimi mesi.
Allora, sei pronto per le ultime date del tour?
Un po’ stanco, però sono pronto! È una sensazione di stanchezza però anche di tristezza perché comunque il tour è stato un percorso incredibile, soprattutto questo che abbiamo fatto con altre due persone sul palco. È stato nuovo, come se fosse stato un primo tour.
Per anni siete stati solo in due sul palco, com’è stato condividere la scena con altre persone?
Un’ottima scelta, secondo me perché avevamo bisogno di questo: di spaziare e non limitarci alla chitarra e alla batteria. Dopo 12 anni ne avevamo bisogno come stimolo. Allo stesso tempo una parte del concerto la facciamo in due e questo ci tiene legati alle nostre radici, alla fine l’abbiamo sviluppato bene.
Come vi siete trovati a collaborare con Francesco Pacenza e Tiziano Russo nello specifico?
Francesco personalmente lo conosco da quando conosco Adriano: avevano un gruppo insieme negli anni Novanta/prima Duemila qui a Roma, si conoscono da quando sono piccoli e li ho conosciuti contemporaneamente. Poi Francesco ha sempre lavorato con noi durante i tour, un po’ come backliner, un po’ suonando: faceva un po’ di tutto ed era arrivato il momento di rimetterlo sul palco, anche perché è un bassista incredibile. Anche con Tiziano ci conosciamo da un sacco, sia per i suoi gruppi precedenti, sia perché lui costruisce dei pedali fantastici che si chiamano Effettidiclara: ci accorgiamo nel corso delle date che conoscono più lui e i suoi pedali! Anche perché poi il nostro pubblico è composto soprattutto da musicisti, da ragazzi che suonano. Essendo anche un ottimo musicista abbiamo pensato di chiedergli di unirsi a noi.
Vivi Muori Blues Ripeti è uscito a marzo e da allora avete collezionato oltre 40 date in giro per l’Italia. Tiriamo le somme di questo tour de force, di com’è andato, ma soprattutto..sei contento di come questo ultimo disco è stato trasposto live?
Oltre al fatto di essere in quattro sul palco, c’erano molti punti interrogativi su come potesse essere presa questa cosa. Allo stesso tempo c’era il dubbio di come i nostri vecchi pezzi potessero venire dal punto di vista dell’esecuzione. Poi guarda, noi non diamo mai niente per scontato, era da quattro anni che non uscivamo con un disco e negli ultimi anni è cambiato praticamente tutto nella scena musicale italiana. C’è questo episodio incredibile che mi ricordo: alla nostra ultima data del tour precedente andammo a prendere i dischi da Giacomo Fiorenza allo studio con Suri (Andrea Suriani ndr) a Bologna e c’era Calcutta che stava masterizzando Mainstream. Quello è un disco che ha cambiato completamente la scena indie, è un dato di fatto. Mi ricordo questa cosa qui, noi che ci fermavamo e automaticamente attorno a noi stava cambiando un po’ tutto. Io e Adriano non sapevamo quindi come potesse essere preso dal pubblico un disco così, che abbiamo deciso di fare su nastro, completamente al di fuori degli standard attuali di produzione. Abbiamo lavorato con Umberto Maria Giardini e Davide Toffolo che appartengono a una scena ancora precedente alla nostra, insomma non abbiamo collaborato con nuovi nomi, quindi era tutto una mega incognita. Questo per dire che io sono stracontento in realtà di come è andata: abbiamo fatto 48 date da fine marzo che sono andate anche molto bene, abbiamo avuto dei riscontri mega positivi. Volendo potremmo anche continuarlo questo tour ma abbiamo deciso di fermarci perché abbiamo un po’ di roba da metter giù.
Anche dopo 12 anni di live il vostro affiatamento sul palco sembra sempre lo stesso. Avete dei riti che condividete prima di andare in scena?
No niente in particolare, non ne abbiamo mai avuti di riti scaramantici. È strano il rapporto che abbiamo io e Adriano, sotto certi punti di vista siamo identici, ad esempio il background, dove siamo cresciuti, l’approccio che abbiamo alla musica, mentre sotto altri siamo completamente diversi quindi fondamentalmente ci ritroviamo su alcune cose e su altre per niente ed è sempre stato così, fin dall’inizio. Quando c’è da prendere una decisione ad esempio siamo sempre mega convinti tutti e due, quasi non ce lo chiediamo l’uno con l’altro perché già sappiamo se l’altro è d’accordo o meno. Ci siamo trovati fin dall’inizio nello scrivere, anche nei dischi da comprare: se un disco fa cagare manco ce lo diciamo, tanto lo sappiamo che l’altro non lo prende! Alla fine non so se è un bene, perché a volte dai contrasti nascono cose belle: è per quello che di solito facciamo delle collaborazioni anche con artisti distanti dal nostro giro, proprio per avere quel tipo di stimolo.
A tal proposito, di recente Adriano ha collaborato all’ultimo disco dei Cor Veleno mentre tu hai contribuito alla registrazione di un album di Kento..
Questa è un’altra cosa che ci unisce: l’amore per il rap, da sempre in realtà. Ci piace un po’ il rap vecchia scuola, adesso si è molto trasformato, da un lato in trap, dall’altro in mille altre sfaccettature. Noi siamo un po’ più legati a gruppi storici come i Cor Veleno, i Colle Der Fomento sono nostri amici. Prima o poi faremo un disco rap, decisamente!
Molti accusano il rap italiano di voler essere la brutta copia di quello americano, cosa ne pensi?
In Italia tante cose sono state la brutta copia di quelle americane. Le cose più importanti della musica italiana all’estero sono le grandi voci – prendi Bocelli – questa voce da tenore è facile da vendere in America. Oppure la musica popolare italiana. Tutto il resto è sempre stato un po’ una la copia di ciò che veniva dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, ad esempio noi ci rifacciamo al blues che non c’entra niente con l’Italia!
Noi per capirlo bene siamo andati lì. Se vuoi capire, studiare bene un genere, che cosa portava quella gente a fare quella musica hai bisogno di respirare quell’aria. La trap è così: suona tutto benissimo grazie anche alla strumentazione: un ragazzino oggi con 500 euro di cose può farsi un disco in cameretta. A me piace questa libertà, puoi anche non conoscere mezza nota ma lo fai comunque, è un’evoluzione, è una fase. Dico sempre che poi bisogna tirare le somme tra un po’. Tra 5, 6 anni già si può vedere cos’è rimasto e cosa no.
Secondo te questo tipo di accessibilità ad un certo punto arriva a intaccare la qualità di un prodotto musicale?
È un discorso molto complicato, da un lato l’italiano medio ha quel tipo di cultura musicale per cui se gli fai un disco registrato con 100mila euro, ci spendi 5, difficilmente capisce la differenza a parità di canzoni ed esecuzione. Tu così abbassi la media italiana, cioè, se tu fai un disco hai un dovere di farlo bene esteticamente altrimenti stai facendo cosa che nel corso degli anni non verrà ricordata come una cosa bella ma come delle canzoni canticchiabili. Alla base c’è sempre il perché uno fa musica, io lo faccio perché mi fa stare bene, non necessariamente perché devo fare uscire dischi. Anche questo disco dei Bud, quando abbiamo deciso di ribeccarci per scrivere canzoni, non era per la necessità di fare un disco, era per suonare. Dopo un anno e mezzo avevamo un botto di materiale e abbiamo detto “Vabbè forse un disco ci esce”. Ecco, anche il vedersi non necessariamente per fare un disco o per fare qualcosa che spacca sui social è diventato rarissimo. Siamo completamente social-dipendenti: se scrivi una canzone è perché magari può andare bene in questo periodo ma non perché hai voglia di scrivere quella canzone. Io ho la fortuna di fare quello che mi piace fare – sia con i Bud, sia con altri progetti – essendo completamente libero, però questa è una fortuna, me ne rendo conto. o forse mi sono trovato in questa situazione proprio perché ho sempre fatto quello che volevo, quindi sono stato sempre me stesso. Anche se adesso i tempi sono cambiati, i social dettano un po’ troppo legge, su tutto, non solo sulla musica.
Noi siamo nati con MySpace che è stato una rivoluzione bellissima perché prima per suonare dovevamo spedire le cassette, i CD, nessuno ti rispondeva, si spendeva un sacco, era un casino. MySpace ha rivoluzionato tutto perché tu contattavi, player e via: lì era facile uscire da Roma. Noi abbiamo fatto subito dei concerti in tutta Italia già nei primi mesi e quindi in realtà abbiamo vissuto in pieno questa evoluzione. Anche da questo punto di vista bisogna vedere tra un po’ di anni, perché se qualche tempo fa Facebook era Dio adesso lo è Instagram, tra due anni chissà, magari ne esce uno nuovo e tutti quelli che hanno fatto di Instagram il proprio lavoro si dovranno reinventare.
Prima invece mi dicevi che vi fermerete per un po’ perché avete qualcosa in cantiere, si parla di progetti dei Bud Spencer?
Abbiamo dei pezzi dei Bud, appunto come dicevo prima siamo stati un sacco a scrivere, abbiamo estrapolato 10 brani che ci sembravano avere lo stesso colore da mettere su Vivi Muori Blues Ripeti però ne sono rimasti molti fuori che ci piacciono un sacco e siccome stiamo provando a farli live in queste ultime date volevamo fare una cosa che non abbiamo mai fatto in passato, cioè registrarle appena ci siamo fermati, non facendo passare tempo, in modo tale da averceli ancora caldi. Vogliamo fare questa cosa, riprendere dei pezzi, scriverne di nuovi: adesso con i servizi di streaming non è che devi fare necessariamente un disco per uscire. Un’altra cosa che è cambiata ultimamente è questa.
Tu in questo momento stai coltivando altri progetti?
Sì progetti paralleli tanti, mi piace registrare altri gruppi, mi piacerebbe in futuro reinventarmi come produttore. Io quando mi fermo studio, studio manuali, l’ultima volta ho studiato fonia, quella prima ancora sintesi modulare, tutto quello che sta dietro a un sintetizzatore. A parte lo studio, suono con altra gente, con un mio amico stiamo producendo delle basi hip hop suonate, ci sono tante cose in ballo.
Smetteresti mai di suonare per dedicarti a produzione e registrazione?
Sì, Forse sì. Magari lo ridimensionerei, ecco. Insomma fare 100 date all’anno..ad un certo punto è il fisico che te lo chiede, vado per i 40, suono da tanto!
Sogni nel cassetto invece?
Mi piacerebbe fare un tour europeo, mi piace l’approccio che hanno all’estero con la musica e poi c’è sempre tanto da imparare, ho bisogno di quel tipo di stimolo.