È stato problematico all’inizio approcciarsi al nuovo album delle Ibeyi. Questo perché il loro debutto omonimo del 2015 è un album che mi è entrato sottopelle, con il suo mix di tradizioni musicali e linguistiche diverse, la sua delicatezza. Sono arrivato dunque all’ascolto del loro secondo lavoro in studio carico di aspettative, in gran parte rivelatosi sbagliate.
Se infatti al primo ascolto molti dei punti di forza del lavoro precedente sembrano essere qui meno presenti o non possedere la stessa forza, in realtà procedendo e ripetendo l’ascolto si acquisisce una nuova consapevolezza. All’epoca del loro debutto le meravigliose gemelle Lisa e Naomi erano appena ventenni, e nel disco facevano girare tutto intorno a quello che sapevano fare meglio: cantare come angeli, suonare il pianoforte ed il cajòn, insieme altre percussioni tradizionali. Il mix era quindi incredibilmente analogico e minimale, valorizzava in pieno la calda vocalità delle due (in particolare di Lisa) e soprattutto era la perfetta cornice per i testi, parole intrise di profonda tristezza e voglia di rinascita, attraversate e influenzate da perdite importanti come quella del padre (Anga Diaz, percussionista cubano membro de Buena Vista Social Club) e della sorella maggiore. Un mondo intimo, una specie di mantra che le sorelle si cantavano consolandosi a vicenda, e proprio per questo con un ottimismo in prospettiva di fondo.
Ash è la realizzazione di quell’ottimismo potenziale. Perché passati solo due anni, Lisa e Naomi sono cresciute, sono più forti e hanno interiorizzato nel miglior modo possibile il dolore, usandolo come strumento per trasformarsi da bambine che piangono il padre a donne che consolano e cantano la ninna- nanna alla loro nipotina, figlia della sorella scomparsa in Valè. Musicalmente tutto ciò ha significato aprirsi ad un suono più moderno, compatto e prodotto, a collaborazioni eccellenti ed alcune anche sorprendenti come la rapper spagnola Mala Rodriguez, che segna il loro esordio nel cantato spagnolo dopo quello in inglese, francese e yoruba.
Le percussioni tradizionali ci sono ancora, ma sono affiancate da produzioni più elaborate e batterie elettroniche, le voci mantengono la loro magia ipnotizzante anche se spesso (forse troppo, questa è veramente l’unica nota stonata) sono ricoperte da strati di autotune. La delicata, semplice ed emozionante poesia la ritroviamo in un brano come I wanna be like you, meravigliosa lettera d’amore da sorella a sorella accompagnata da un video bello ed evocativo.
C’è anche una nuova consapevolezza nel trattare temi sociali come in Deathless, uno dei brani migliori in assoluto grazie anche al sax di Kamasi Washington, che parla di un episodio di razzismo e intimorimento da parte di un poliziotto ai danni di Lisa, o in No Man is big enough for my arms che campiona un estratto di un discorso di Michelle Obama.
Sono tanti i momenti di questo album di cui si dovrebbe parlare, concludo citando il featuring con Meshell Ndegoncello, eroina personale delle due, in Transmission/Michaelion, che vede anche la presenza di un recitativo della madre. L’album si conclude quindi con Ash, prima canzone ad esser scritta e che racchiude in pieno ciò che queste due talentuose giovani donne comunicano da sempre nella loro musica: saper accettare la componente tragica e quella gioiosa presenti nella vita, l’apollineo e il dionisiaco per dirla con Nietszche, continuando a vivere ogni giorno, il più forte possibile.