Esclusione e amicizia, violenza e sopravvivenza. Benvenuti in periferia.
Qui, tra il Grande Raccordo e l’Aniene, in quest’anfratto dimenticato di Roma, Manuel, Flaviano e Abdou crescono e vivono la propria turbolenta formazione. In un contesto precario che si confronta con la criminalità e il degrado tutti i giorni. L’unica possibilità di riscatto per i tre adolescenti sembra proprio la loro amicizia, l’unico punto saldo. L’idea del gruppo alimenta l’illusione di poter fare tutto insieme, di poter superare ogni difficoltà, ma anche questa certezza si rivelerà passeggera. Come un uragano, l’amore sconvolge le loro esistenze: Donatella all’improvviso arriva e rompe gli equilibri. La periferia resta lo sfondo dei loro processi di crescita, la miccia che innesca l’incendio. La guerra contro gli innocenti, gli ultimi, gli esclusi. In un conflitto perenne dove vince chi sopravvive.
Tommaso Giagni (Roma, 1985) ha pubblicato con Einaudi i romanzi L’estraneo (2012) e Prima di perderti (2016). Tra le antologie a cui ha partecipato: Voi siete qui (minimum fax, 2007) e La caduta dei campioni (Einaudi, 2020). Scrive per L’Espresso e Avvenire. I tuoni (Ponte alle Grazie, 2021) è il suo ultimo romanzo.
Come e quando nasce l’idea de I Tuoni?
Nasce nel clima degli ultimi dieci anni. Il progetto si sviluppa attorno al nucleo del Quartiere. La classica periferia romana post-pasoliniana, una zona di marginalità che si distingue dai nuovi quartieri periferici, quelli che sono nati attorno ai centri commerciali. Da lì vengono i miei personaggi, da lì viene la storia che ho scelto di raccontare.
La periferia del tuo romanzo è un incendio. Le città si espandono sempre più, spuntano nuovi quartieri. Di contro, la crisi economica, la criminalità. La periferia è e resta dimenticata, ma qualcosa nasce e fermenta. La periferia, rispetto al passato, oggi sembra avere qualcosa in più da raccontare, cosa?
La periferia sta diventando sempre più il centro rispetto al secolo scorso, almeno nelle grandi città.
«Dal terrazzo in cima al Rettangolo non distinguono nulla del centro di Roma: campanili, colli e ministeri sono nascosti dalla distesa composita di palazzi che i costruttori hanno seminato per decenni»
Roma brucia, la periferia è un incendio. Il fuoco è l’elemento che attraversa il romanzo e lo accende. Anche questo è un elemento che lega I tuoni ad altre narrazioni coeve. Il fuoco, con la sua imprevedibilità e la sua capacità distruttiva, ma anche purificatrice, cosa rappresenta oggi?
Proprio così, il fuoco ha questa duplice funzione: distrugge e cancella, pulisce e riordina. Ha anche una funzione generativa, che è forse la più importante. Dalla cenere nasce nuova vita, allo stesso modo questo romanzo racconta qualcosa di sotterraneo, che esce alla luce con la sua potenza. I tuoni è un romanzo sul conflitto, su quest’opposizione continua e irrisolvibile.
I tre ragazzi protagonisti del romanzo si muovono come schegge impazzite in una Roma caotica e calda, come I ragazzi di vita di Pasolini. In un movimento circolare che poi però li riporta sempre al punto di partenza, a quell’atavica indifferenza che li impedisce di reagire, di cambiare di un sistema che sembra impossibile modificare. L’unica forma di redenzione, in questo contesto, è l’amicizia o sbaglio? C’è una speranza per questi ragazzi?
A me non piace parlare di redenzione, preferisco un’idea di protezione. Sono personaggi estremamente vivi, che hanno pochi punti di riferimento. Hanno bisogno di orientarsi, ecco. Da una parte trovano nell’amicizia una protezione, un senso di appartenenza, ma al tempo stesso si consuma in loro un conflitto continuo per la formazione della propria identità. L’amicizia protegge, certo, ma l’amore salva. Donatella ha questa funzione nel romanzo: irrompere nel loro mondo, fatto di convinzioni e abitudini consolidate, e mostrare ai protagonisti cose che prima non vedevano.
E da soli? Possono farcela anche da soli, come pesciolini in un oceano di squali?
Ci si può salvare solo singolarmente. La salvezza è individuale.
I tre ragazzi protagonisti sono frenetici, impulsivi, sembrano sempre sul punto di esplodere. La loro rabbia nasce e si conclude con il loro contesto storico e sociale di appartenenza o è una rabbia generazionale che travolge tutti i ragazzi della loro età?
Il contesto è decisivo. Sono così perché sono cresciuti lì. Se i tre protagonisti covano dentro di loro rabbia, un’energia incontrollabile, questo deriva da una serie di condizioni sociali. Sono spinti da una forza che non hanno gli strumenti per controllare. Naturalmente questo vale per i tre ragazzi, non per Donatella. Lei sembra appartenere a un’altra generazione, è come se provenisse da un altro tempo.
Si è mai posto il problema di pensare come saranno i ragazzini protagonisti da grandi?
Non ci avevo mai pensato, a dire il vero, e non saprei. Guardare in avanti è sempre difficile. Da un lato sono diversi dai loro genitori, dall’altro ognuno ha i suoi traumi, le sue ombre.
Qual è l’aspetto che trova più urgente oggi da raccontare, da trasformare in materia narrativa?
Qualcosa che riguarda il confine, inteso come punto di incontro e frattura. Luogo del conflitto. Qualcosa che può suturare e dividere.
Dove la porterà questa urgenza? Verso un nuovo romanzo?
Sto lavorando a un nuovo progetto, ma è ancora presto per parlarne.