Música! Melancólico alimento para los que vivimos de amor. (Julio Cortazar)
William Gibson era ossessionato dai Velvet Underground, la letteratura cyberpunk forse nasce anche grazie a Lou Reed & Co., ma è bello notare a prescindere il legame della scrittura con la musica. A volte il rock entra nei romanzi, e influenza la storia: del resto Bob Dylan scrisse la sua eterna biografia cangiante dentro Chronicles. Non ci sono divisioni nette, e perciò abbiamo cercato alcuni romanzi che potessero contenere quello che è stato il rock e il punk o l’indie o il grunge, per sfamare i nostri tempi. Andiamo senza ordine.
1. Don DeLillo, Great Jones Street
Quando uno scrittore americano giovane, o della generazione DFW, cita il nome di uno scrittore che lo ha influenzato, alla fine fa sempre il nome di Don DeLillo, e della scrittura post-moderna. È come se fosse l’altra faccia di un Philip Roth.
Great Jones Street è la strada dell’esilio della rockstar che si ritira dal gran fracasso del mondo che lo rivuole indietro (lo star system meraviglioso!), ispirato probabilmente alla figura di Bob Dylan. Tutto è duro sin dall’inizio: ”La celebrità, questo tipo particolare di celebrità, si nutre di oltraggi, di quello che i consiglieri di uomini di statura ben minore definirebbero pessime relazioni pubbliche: scene isteriche dentro limousine, litigi, tradimenti, pandemonio, droghe. Forse l’unica legge naturale connessa con alla celebrità vera, consiste nella sicurezza che il celebre, prima o poi, è spinto al suicidio. (Si è capito o no che una volta ero una rockstar?)”.
È forse il primo romanzo del genere, pubblicato negli anni ’70. La faccenda del rock è molto complicata: posso dire con certezza che un’anima profondamente rock è pure profondamente sincera, e che DeLillo ha un’anima rock, e pure Bob Dylan. Questo vi spezzerà il cuore ogni volta, DeLillo, Dylan, e Bucky (il protagonista del romanzo) sono anime spezzate.
2. Jonathan Franzen, Libertà
Rispetto a DeLillo, Franzen rappresenta una figura un pochino più nerd di scrittore, tuttavia in Libertà ripropone spunti di rock music, tipo la descrizione di un intero concerto live dei Bright Eyes, che descrive e scava questo mondo rock fatto di groupie assatanate e addicted del settore, e addetti ai lavori (sono tutti addetti ai lavori oggi, dov’è il pubblico?!).
Il personaggio rock del libro è il cantautore Richard Katz, che si ritrova a dover rinunciare un po’ a tutto per scendere a compromessi col caso. “Erano anni che Katz non assisteva a un concerto come membro del pubblico; l’ultima volta che aveva sentito un idolo degli sbarbini era uno sbarbino lui stesso, e si era talmente abituato al pubblico più adulto dei Traumatics e dei Walnut Surprise che aveva dimenticato quanto fosse diversa la scena degli sbarbini. Quasi religiosa nella sua serietà collettiva“. Richard Katz è un contestatore vivente: il rock dentro il romanzo.
Digressione, intermezzo: David Foster Wallace sul rap
Ogni volta che vedo uno scatto di DFW penso che lui era un vero rocker, completamente folle e violentatore di parole. Però, a parte qualche citazione qui e là, non ha mai scritto un vero romanzo che descrivesse quel ”sistema” di cose che è il rock (La ragazza dai capelli strani è un racconto rock lo stesso, come pure molte altre pagine targate DFW). Se andiamo a prendere tutti i suoi saggi però ne troviamo uno sul rap, o almeno sugli albori del rap, che in Italia è stato tradotto con Il rap spiegato ai bianchi, perché parla fondamentalmente della cultura black americana, e i bianchi non riescono davvero a imitare i neri a rappare, tutto questo loop che esiste su Kanye West deve aver pure un senso, i neri sono superiori in questo, come nel basket, e lo diventeranno probabilmente anche nel calcio, quando il Kenya oltre che correre più veloce saprà anche come piazzare un pallone.
La cazzuta genialità del rap sta in questo processo circolare, un loop quasi digitale: ha trasformato l’orrore del suo mondo, tradito dalla storia, bombardato da segnali contraddittori, violento nella sua impotenza, isolato, claustrofobico e privo di vie d’uscita, ha trasformato questa specifica forma di orrore in una specifica forma d’arte d’avanguardia. Va persa la consolazione, ma si guadagna un nuovo tipo di mimesi, ruvida e spietata: Platone campionato mentre sta seduto sulla tazza del cesso.
3. Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo
Sì. State vedendo l’immagine di una signora bionda che scrive un romanzo della categoria: rock. Spietato, crudo e malato. La vita è virtuosamente strana, anche quando non lo è.
Rimaniamo immobili, in silenzio. Le domande che ho in mente sembrano tutte sbagliate: Come hai fatto a diventare così vecchio? E’ successo tutto insieme, nel giro di un giorno, oppure ti sei spento a poco a poco? Le feste quando hai smesso di farle? Sono invecchiati anche gli altri oppure solo tu? Sono ancora tutti qui, magari nascosti tra le palme, oppure sott’acqua in apnea? Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto qualche vasca? Ti fanno male le ossa? Sapevi cosa ti aspettava e l’hai nascosto a tutti, oppure ha colto di sorpresa anche te?
Qui non vogliamo fare recensioni ma solo parlare di libri che si animano di rock: la San Francisco malata della Egan, che poi fa fare un salto ai personaggi fino a Napoli. “Il tempo è un bastardo, giusto? E tu vuoi farti mettere i piedi in testa da quel bastardo?“, con questo romanzo Jennifer vince il Pulitzer nel 2011: ci sono ragazze punk e c’è Bennie, il vero protagonista.
4. Rick Moody, Cercasi batterista, chiamare Alice
Rick Moody è il romanziere cool di New York, a volte così cool che la critica non lo capisce. Se gli chiedi cosa gli interessa così tanto della musica e dei libri lui risponde: ”Sono un appassionato di musica sin dalla mia prima infanzia, proprio nello stesso modo in cui sono un appassionato di libri. Credo che le due cose, musica e letteratura, siano complementari. Entrambe richiedono ascolto.”. Oltre a scrivere racconti e romanzi, ha una band: The Wingdale Community Singers. Ha scritto il racconto The James Dean Garage Band che narra il ritorno di James Dean che mette su una band con dei ragazzini, ma il libro che lo consacra come scrittore influenzato dal rock è probabilmente quello che lo porta al grande pubblico: Cercasi batterista, chiamare Alice. Alice che vive in un sobborgo del New Jersey con la sua rock band. Hanno detto di Moody che è il peggior scrittore della sua generazione, ma quando si nasce contemporanei a Wallace è difficile cavarsela.
Qual era il ragionamento che finalmente permetteva ai giovani di mollare, una volta per tutte, la giovinezza? Sembrava che quella generazione non volesse andarsene mai di casa. Crescevano fino a un certo punto e poi passavano il decennio successivo, fino al collasso, a cercare di riassaporare il senso di novità dell’adolescenza, quella pulsazione della giovinezza che sembra, nel suo pieno fiorire, permanente. Tutto questo perché la cosa che faceva paura era passare lì dentro il tempo che ci dovevi passare, tenere la bocca chiusa e obbedire a quello che ti dicevano loro. La cosa che faceva paura era guarire, cambiare. Perché allora ti rispedivano nel mondo. A provarci di nuovo.
5. Jonathan Lethem, La fortezza della solitudine
Lethem non ha certo la faccia da rockettaro della prima ora, o dell’ultima ora. Però con La fortezza della solitudine rientra nel romanzo rock di cui stiamo parlando. Ovvero fa questo tentativo di inserire il rock nel romanzo che in qualche modo è una scelta ormai paracula della bella letteratura americana. Scommette, e vince.
Era assolutamente possibile che una canzone ti distruggesse la vita. Sì, la rovina musicale poteva piombare su un essere umano solitario, e schiacciarlo come un insetto. La canzone, quella canzone, era mandata da chissà dove a stanarti, a tormentare la crosta di tutta la tua esistenza. Quella canzone era il tuo merdoso destino personale, manifesto come un brano pop trasmesso da tutte le radio. Come minimo, quella canzone era la colonna sonora della tua distruzione, il tema.
6. Jonathan Coe, La banda dei brocchi
I Jonathan sono finiti, promesso. Coe con La banda dei brocchi ci racconta l’esplosione del punk in Inghilterra, e questo potrebbe bastare nella presentazione di questo breviario incompleto.
In una notte nera, sotto un cielo sereno e pieno di stelle, nella città di Berlino, nell’anno 2003, due giovani stavano cenando insieme. Si chiamavano Sophie e Patrick. Si erano incontrati quel giorno per la prima volta. Sophie stava visitando Berlino con sua madre, Patrick con suo padre. La madre di Sophie e il padre di Patrick si erano frequentati per un po’, parecchio tempo prima; niente di speciale, però. Per qualche tempo, quando andavano ancora a scuola, il padre di Patrick era stato addirittura innamorato della madre di Sophie, ma erano passati ventinove anni dall’ultima volta che si erano scambiati qualche parola.
“Secondo te dove sono andati?” domandò Sophie.
“In giro per locali, probabilmente. Da qualche parte dove suonano techno.”
That’s the sound of music.
7. Dana Spiotta, Versioni di me
Dana Spiotta è un’appassionata di musica underground oltre che una scrittrice, e lo dice chiaramente nell’ultima uscita in libreria, Versioni di me. Nell’88 lavorava in un negozio di dischi a Seattle, e porta ancora certi ricordi: ”A Seattle quello è stato veramente un periodo entusiasmante! All’epoca i grandi nomi erano Mudhoney e Skin Yard ma c’era la sensazione che qualcosa di bello stava succedendo. In realtà era una piccola scena. Tutti conoscevano tutti e negli anni successivi tutti avrebbero fatto un disco”. Del romanzo hanno detto: è come se Nabokov avesse scritto un libro rock.
“Chi è il tuo pubblico?”
“Io. E oltre me, nessuno, credo.”
“Ma perché costruirsi una vita finta? Perché non farlo con la vita vera e cercare un vero pubblico per tutto il tuo lavoro?”
“Non è stato finto, è stato vero. E col tempo ha iniziato a piacermi l’assenza di pubblico. Immagina di lasciare perdere le spiegazioni, i fraintendimenti, il mercato e l’accoglienza del pubblico.”
8. Roberto Bolano, Consigli di un discepolo di Morrison a un fanatico di Joyce
Lui non poteva mancare, Roberto Bolano in persona. Al di là della storia qui entriamo in un’altra faccenda: esistono scrittori rock, e Bolano è una rockstar della scrittura. Magari ne parliamo nella prossima puntata.
E se riuscivo a lasciarmi alle spalle i Pirenei e passavo per Parigi, avrei portato rose a Morrison. Sarebbe stato molto fine. Inoltre: è la cosa migliore per un genio morto.