Seneca sosteneva l’inutilità del viaggio, soprattutto se da esso ci si aspettava un cambiamento dei sentimenti: “Guai e cattivi pensieri viaggiano con noi”, sintetizzava, evidentemente ancora all’oscuro di quanto questo fardello gli sarebbe costato in tasse extra con Ryanair. Elizabeth Jane Howard, l’autrice che i lettori italiani hanno imparato ad amare con la saga dei Cazalet e All’Ombra di Julius, sembra voler smentire il filosofo romano con il nuovo libro pubblicato da Fazi, Cambio di Rotta.
Un libro che è, in primo luogo, libro di viaggio. Se fino ad ora ci eravamo abituati alla Howard come alla cantrice del mondo britannico, che ha in Londra il suo epicentro e da lì si irradia a distanze contenute, a portata di auto o treno, Cambio di Rotta esibisce invece un respiro internazionale, dimostrando come la scrittrice sia abilissima nel delineare contorni e atmosfere di tutte le latitudini e ogni paesaggio, non solo le verdi brughiere inglesi. I quattro protagonisti – il brillante autore di commedie teatrali Emmanuel, la sua gracile e ipocondriaca moglie Lillian, il fido tuttofare Jimmy e la timida segretaria Alberta – partono a inizio libro proprio da Londra, quasi a voler segnare uno stacco anche fisico dalle ambientazioni e scenografie e cui il lettore era in precedenza abituato. Il loro itinerario li condurrà prima a New York, in una Broadway che già anticipa le frenesie e la smisurata sete di ambizione di Hollywood, quindi a Hydra, una sperduta isoletta al largo di Atene dove, lontani da qualsiasi ingerenza esterna e mondana, i personaggi resteranno soli con il loro Io, alla ricerca del loro intimo, personale “cambio di rotta”.
Già, perché il motore del viaggio, lo spunto iniziale che permette a noi lettori di scoprire l’abilità della scrittrice nel descrivere la brulicante vitalità delle vie di NYC e i tramonti proto-instagrammabili della Grecia, è proprio il carattere irrequieto dei personaggi, tutti giunti al limite di un punti di rottura. Il commediografo Emmanuel – talentuoso, famoso e ricchissimo, ma al momento nella classica fase di stasi creativa – è sposato senza ormai più passione con Lillian, un archetipo in salsa inglese della radical chic dei giorni nostri. Annoiata, viziata, snob, ma profondamente celebrale e riflessiva, Lillian soffre di una salute cagionevole, che in diverse occasioni sembra amare accentuare per attirare su di sé l’attenzione. Come tutti i personaggi della Howard – e qui sta una delle sue maggiori grandezze – anche Lillian ha però una personalità più sfaccettata, che si approfondisce nel prosieguo del racconto, raggiungendo una complessità e un’ empatia col lettore difficilmente replicate in tutte le letterature. Il fedele assistente Jimmy sembra essere l’unico con la testa sulle spalle, nonché il collante nell’ormai logoro rapporto tra moglie e marito. Spetta a lui, in apertura di romanzo, gestire la burocrazia relativa al tentato suicidio della segretaria di Emmanuel, come da cliché sedotta e abbandonata dal commediografo attempato ma tuttora amante delle carni giovani.
Questo ben oliato ménage-à-trois si inceppa però all’arrivo di Alberta, la nuova segretaria. Giovane, semplice, naif e di una bellezza acerba al punto giusto da desiderare di attendere il giorno successivo per vederne la piena maturità, la ragazza avvia un lento e inconsapevole lavorio di scavo nella mente e nel cuore dei due uomini. Conquistati dalla sua irresistibile freschezza, decidono addirittura, nonostante le sue timide rimostranze, di farne la protagonista della commedia di Emmanuel, prossima a essere messa in scena a New York. È proprio per iniziare la sua formazione artistica, oltre che per compiacere un capriccio di Lillian, che il terzetto diventato quartetto decide di isolarsi su un’isola greca. Si innesta da questo momento quella che, oltre al viaggio, è la seconda tematica fondante del libro: la figura del pigmalione, l’artistico creatore di una nuova, sfavillante bellezza in grado di incantare il mondo. Senonché, qui, i pigmalioni sono due: Emmanuel che vuole trasformare la ragazzina in donna, e Jimmy che vuole fare della ragazza di campagna la nuova diva teatrale. Ambedue, nella loro opera creatrice, finiranno però per essere non i plasmatori, bensì la creta modellata dalle mani affusolate di Alberta.
Chi la spunterà alla fine? Chi riuscirà a staccarsi da un passato che sembra voler inghiottire tutto e tutti in sabbie mobili di nostalgia e apatia? Ma soprattutto, ha ragione Seneca oppure, su un’assolata spiaggia illuminata da un roseo tramonto greco, è invece possibile cambiare la rotta alla propria vita?