A chiudere gli incontri romani del Rendez Vous – festival del nuovo cinema francese è Arnaud Desplechin, in una giornata completamente dedicata al regista. Il festival si è concluso con la proiezione di “I miei giorni più belli”, anche se preferiamo ricordarlo con il suo nome originale “Trois souvenirs des ma jounesse” (letteralmente “Tre ricordi della mia infanzia”). Ma prima di concentrarci sul film, facciamo un piccolo accenno al festival che lo ha trasmesso: il Rendez Vous è un festival che ha l’intento di portare i migliori volti e autori del cinema francese in italia. Il festival, itinerante in sette città della nazione, ha fatto tappa anche a Roma. Gli incontri romani si sono tenuti dal 4 al 10 aprile e ad ospitare questi eventi sono stati due punti cardine della cinematografia romana: La casa del cinema, Il cinema nuovo Sacher, e infine l’Institut français Centre Saint-Louis. Quest’anno il festival è approdato a Roma con un focus su Arnaud Desplechin, ed è proprio su questo che ci focalizziamo anche noi.
Il film uscito nelle sale francesi nel 2015 racconta la storia di un uomo, Paul Dedalus (personaggio ricorrente nella filmografia di Desplechin), tormentato e tenebroso, sempre avvolto da un aria romantica e con tanto passato alle spalle. Ad aprire il film sono delle candide immagini nella casa della sua compagna a Tadjikistan, in cui Dedalus vive ormai da oltre vent’anni. Ma come intuiamo dalle prime battute, questo tra di loro è un addio, è ora per il nostro protagonista di tornare in Francia, la sua terra natia, per accettare un lavoro da diplomatico al Ministero degli Esteri. Ed è proprio in questo momento che, rotolandosi tra le bianche lenzuola della sua amante, ricorda.
Mette a fuoco i pochi episodi che, anche se a volte sfocati, hanno segnato la sua giovinezza, e che come vedremo nel seguito del film hanno creato cicatrici mai rimarginate sul quel corpo insensibile al dolore fisico. Questi episodi rievocati dalla memoria del protagonista costituiscono i tre capitoli del film: L’infanzia, La Russia e Ester. Già nel primo capitolo, in cui ci viene mostrato Paul in giovanissima età, si percepisce in lui il sentimento di un coraggioso ragazzo con il fuoco dentro, già fin troppo maturo, con una madre depressa e un padre assente per viaggi di lavoro,che decide di andare a vivere a casa della prozia, per poi ritornare solo in seguito al suicidio di una madre che confessa non aver mai amato.
Poi viene ‘La Russia’ in cui ci viene raccontato un episodio della sua adolescenza. Un avventura pericolosa quanto eroica che coinvolge il protagonista e un suo amico durante una gita scolastica a Minsk. È qui che le tinte lasciano il verde del giardino della prozia ma anche il nero della morte per raggiungere trame più grigie e opprimenti, tipiche della Russia sovietica. In fine l’ultimo capitolo: ‘Ester’. È questo il capitolo a cui è dedicato più spazio, in cui il regista si abbandona nella narrazione della prima e vera esperienza amorosa del protagonista. Paul si è ormai diplomato e si è trasferito a Parigi per studiare antropologia, in una vita di stenti economici e senza un tetto stabile sopra la testa si barcamena tra caffè parigini e letture appassionatissime. Ester viene dipinta fin da subito come bella e altezzosa, incontentabile e schietta, senza riserve. È dal loro incontro che si apre una narrazione lunga nel tempo, che ripercorre la loro storia nell’arco di dieci anni. Dieci anni di un amore passionale e travagliato, dieci anni di corrispondenza, di nostalgia e di dolore. Ma le loro strade sono diverse e sono troppo piccoli per continuare così, Paul è totalmente assorbito dalle sue ricerche antropologiche in giro per l’Asia e per Ester è arrivato il momento di guardare altrove, di lasciarsi alle spalle la vita a Roubaix che la faceva sentire così sola e oppressa.
Questi ricordi sepolti nella mente di Paul Dedalus tornano a galla uno dopo ‘altro al suo ritorno in Francia, facendolo riscoprire ancora coinvolto in accadimenti così lontani eppure ancora vividi sulla sua pelle. Sentimenti che superano l’amore e raggiungono il rancore per quelle occasioni ormai perse da un pezzo. Come dice all’inizio del film, lui torna in patria dopo tanti anni come Ulisse, ma ciò che lo differenzia da Ulisse è la mancanza di nostalgia per quella terra, oppure la consapevolezza che al suo rientro non avrà nessuna Penelope da riabbracciare. Proprio come un eroe moderno, Paul Dedalus, affronta la sua vita piena di esperienza con un grande vuoto dentro, una mancanza incolmabile su cui ormai ha messo una teppa, ma troppo fragile per proteggerlo da essa. Così qualsiasi cosa a Parigi gli ricorda quell’amore perso, e tutti gli errori che non avrebbe dovuto fare, di cui però si rende conto solo ora, al termine della sua realizzazione personale.
Ciò che colpisce in questo film è una padronanza unica della narrazione, coinvolgente, a tratti nostalgica nei confronti degli anni 80, della tv che trasmette il crollo del muro di Berlino, delle feste in casa, del calore tra fratelli e cugini, la nostalgia per quella provincia così desolata ma accogliente. Tutto il racconto rievocato tramite l’utilizzo di lunghi flashback ci permette di entrare nel merito della storia, delle dinamiche tra ragazzi e nel legame sentimentale che coinvolge i due giovani innamorati. Come in tutti i film di Desplechin i veri protagonisti sono i sentimenti, in una narrazione tipicamente francese dotata di eleganza mai distante e sempre coinvolgente.