Quella che si è conclusa l’8 aprile è una lunga settimana di commemorazioni, sui social, in tv e sui giornali di tutto il mondo, dei primi 25 anni passati dal suicidio di Kurt Cobain; abbiamo riletto la sua ultima lettera, rivisto le ultime foto di lui (quelle con i fan a Roma, quelle postate dalle band di cui lui portava le magliette e persino quelle della polizia sulla scena del crimine) e, in generale, rivissuto di nuovo quella sensazione di spaesamento che, a partire dal 1994, non ci avrebbe più lasciato. Da lì in poi, tutta la musica degli anni ’90 sarebbe stata diversa per sempre.
Ironicamente, l’8 aprile è anche l’ultima data del tour italiano di una band che nel 1994 ha pubblicato il suo primo album inaugurando, letteralmente dalle ceneri del grunge, una stagione musicale che si sarebbe munita di testi ricercati, tempi lenti ed influenze di elettronica e anni ’80: stiamo parlando dei Low.
Se Kurt Cobain fosse ancora vivo, molto probabilmente amerebbe la musica dei Low: sono indie, spirituali e amano sperimentare. Ma soprattutto, sono completamente lontani dall’immaginario della rockstar perché conducono delle vite decisamente normali: Alan Sparhawk, cantante e chitarrista, e Mimi Parker, cantante e batterista, hanno due figli e, quando non vanno in tour, vivono a Duluth, la città che ha dato i natali a Bob Dylan. Sono inoltre mormoni praticanti, un elemento che contraddistingue fortemente i testi e tutta la loro attitudine da musicisti.
Insomma, i Low sono i sopravvissuti degli anni ’90 e, dopo una lunga gavetta di tour e album in studio, ora toccano quello che è il punto più alto della loro carriera: il nuovo album, Double Negative, è stato universalmente acclamato dalla critica – anche la nostra – ma ancora di più dal pubblico.
È un pubblico di nostalgici, perlopiù quarantenni, quello presente all’Auditorium Parco della Musica di Roma: nostalgici di un tempo che sembra così famigliare e dopo tutto non così lontano. Il set è minimalista: ci sono tre schermi su cui vengono proiettate alcune immagini e la band. Non è un concerto rock qualsiasi: la performance è catartica già dalle prime canzoni: Quorum apre, durante Always Up viene proiettata sugli schermi una candela che brucia (sarà una contro-citazione della famosa it’s better to burn out than to fade away?) e No Comprende, suonata al buio con solo luci fluo viola sul palco.
L’atmosfera, intrisa di anni ’90, ha anche un qualcosa di molto “pinkfloydiano”, come le grafiche dell’orologio sugli schermi che segnano quella consapevolezza eterea del tempo che scorre. Il pubblico ne è incantato ma sembra tirare un sospiro di sollievo e commozione, come a dire “sono ancora qui”, a ogni fine canzone. Il live dura due ore in cui si intervallano lunghe sessioni di noise perfettamente orchestrate e le canzoni che hanno reso famosa la band, come What Part Of Me? o Do You Know How To Waltz?.
L’unica interazione da parte del gruppo è alla fine, prima del bis, quando dopo aver presentato tutti i membri, Steve Garrington al basso e Mimi Parker, voce e batteria, Alan Sparhawk dice: “è così strano presentarsi in un posto e trovare così tanta gente ad ascoltarti. Spero vi accada qualche volta, così capirete cosa significa sentirsi terrificati”. Senza gli eccessi da rockstar e rinunciando a un livello di fama globale come poteva essere quella dei Nirvana, i Low ci insegnano che è possibile sopravvivere agli anni ’90 restando sempre fedeli al vero spirito del rock’n’roll.