I Corpi Celesti di Jokha Al-Harthi

Tre sorelle e un Paese da cambiare. Le vite di Mayya, Asma’ e Khawla si intrecciano con i cambiamenti dell’Oman che cambia sotto i loro occhi, con trasformazioni epocali che investono ogni aspetto della loro esistenza. Dall’unione tra Mayya, la sorella maggiore, e Abdallah, voce narrante che occupa interi capitoli con le sue riflessioni e il suo dissidio interiore in prima persona, nasce London, simbolo di progresso e rinnovamento, che già dal nome rievoca un’apertura al mondo occidentale. La stessa idea di matrimonio non è condivisa da Asma’, che si sposa solo perché deve farlo per convenzione sociale, e nemmeno da Khawla, che, pur caratterizzata da una bellezza che le permetterebbe di sposarsi ed essere felice, rimane fedele alla promessa d’unione con un uomo lontano e inafferrabile, emigrato in Canada.

In un’alternanza polifonica di voci narranti, di piani temporali che conferisce un elemento di dinamismo alla narrazione, Al-Harthi ci restituisce un mosaico complesso e raffinato di un Paese contraddittorio e affascinante che deve fare i conti con un passato ingombrante e un futuro ancora da scrivere.

Jokha al-Harthi, una delle autrici più apprezzate al mondo, insegna letteratura araba alla Sultan Qaboos University. Corpi celesti (Bompiani) ha vinto l’International Man Booker Prize nel 2019. Ho avuto il piacere di incontrare l’autrice, ospite al Salone del Libro di Torino a maggio, la mattina prima della sua presentazione.


Lei è la prima scrittrice dell’Oman a essere tradotta in inglese e il suo romanzo il primo scritto in arabo a vincere l’International Man Booker Prize. Che significato politico e sociale crede di portare con sé oggi?

È stata una grande sorpresa. E credo sia ancora più sorprendente il fatto che abbia vinto qualcuno al di fuori della letteratura occidentale, è importante accendere i riflettori sul mondo culturale arabo. So che molti non conoscono la la cultura araba, ma è un sistema culturale che ha tanto da dire, da raccontare, sono più di settecento anni che la mia lingua è veicolo di una tradizione di grande spessore, per questo motivo merita la giusta attenzione. Riguardo la seconda parte della domanda, sarò sincera: sto semplicemente provando a essere una scrittrice ed è vero che non è necessario fare politica attraverso la forma romanzo, ma a volte l’elemento politico è innato nella letteratura, in tutto ciò che diciamo e pensiamo, non è possibile separarlo neanche da ciò che scriviamo.

Come è stata accolta la notizia nel suo paese?

Sicuramente ha avuto un certo effetto il fatto che abbia vinto una donna e, per di più, abbastanza giovane. Molti comunque erano orgogliosi del mio successo e del fatto che la nostra letteratura si potesse diffondere nel mondo. Certo, non sono mancate persone che mi hanno criticato per aver trattato alcune tematiche particolarmente delicate, come quello della schiavitù; pensavano che non fosse la migliore rappresentazione di una nazione che sta provando a cambiare.

Da una parte descrive la cultura del suo paese, la religione, i proverbi che sono ricorrenti nel testo, dall’altro tutto comincia a scricchiolare quando nasce London, sin dal nome. London è rappresentante di un altro modello culturale, più occidentale, senza esserne assuefatta. È lei il punto di incontro tra i diversi modelli ideologici, il culmine in cui avviene la creolizzazione, il personaggio che fornisce uno sguardo obliquo per comprendere la complessità del reale?

Le persone in Oman condividono da secoli lo stesso stile di vita, fatto di usanze e tradizioni, persino oggi, quando le cose sono cambiate in tutto il mondo prima a causa della globalizzazione, poi della pandemia, il mio Paese non sembra cambiato. In realtà, qualcosa è cambiato nel corso di pochi decenni e gli effetti sono evidenti. London rappresenta un crocevia in cui si incontra la tradizione ingombrante e il rinnovamento, chiude una porta e ne apre un’altra, non senza far rumore. London rappresenta un superamento e una prospettiva.

Ho letto che nel suo Paese si parlano più di nove lingue oltre all’arabo. Lei quante lingue conosce? E in quante è in grado di scrivere?

In realtà, parlo solo arabo e inglese. (ride) Ma effettivamente è una situazione molto complessa, ogni gruppo ha una sua lingua.

“Nella vita le pagine bianche non esistono. Il graffio si stava trasformando in una ferita che ledeva nel profondo la sua dignità, ha visto l’umiliazione impiantarsi là dove il desiderio bruciava ancora.”

La descrizione del Paese scandisce un confine non solo geografico, ma anche culturale, sociale. Come se rappresentasse una frontiera, ma anche una diga che raccoglie tutto dentro di sé. I protagonisti vivono sospesi in un indefinito margine che ognuno, anche se soffre, non vuole abbandonare. Molti scrittori, e in particolare scrittrici, hanno posto la loro attenzione negli ultimi anni sull’idea del margine. Elena Ferrante ha parlato di perdita del margine come spersonalizzazione dell’individuo, Zadie Smith ha spiegato cosa significhi abitare il margine in una prospettiva sociale. Per lei cos’è il margine? Cosa significare abitare il margine oggi?

Io penso, come hai appena detto tu, che molti scrittori affrontano quest’idea del margine in maniera diversa. Le persone che abitano in una posizione di margine non hanno voce, pertanto spetta alla letteratura conferire una voce o almeno provare a consegnargliela e ascoltarli. Nel mio romanzo penso che per gli schiavi o coloro che lo erano un tempo la condizione di margine coincide con un’indecisione di fondo se schierarsi a favore di questi nuovi eventi, che spingono per uguaglianza e parità di diritti, o dall’altra parte con il vecchio mondo, nel quale vivevano come schiavi certo, ma sotto la protezione del loro padrone. Quindi, quando giunge per loro la libertà, è una situazione strana, perché è come se dovessero lavorare per la libertà ed è questo il significato politico e sociale che oggi la letteratura veicola: aprirci gli occhi su cose che non stiamo necessariamente vivendo, ma che accadono. Renderci consapevoli di quello che sta accadendo dentro e fuori dal margine.

Tutti i personaggi del romanzo vengono narrati in terza persona, tranne Abdallah, l’unico che racconta in prima persona. In un romanzo dominato da donne perché proprio lui? Cos’ha in più e in meno rispetto agli altri questo personaggio così ambiguo e contraddittorio?

In generale, credo che in un romanzo un personaggio che racconta la sua vicenda in prima persona non sia per forza il più importante, quindi non significa che Abdallah sia più importante di altri personaggi. Sicuramente quella di inserire un personaggio che parla in prima persona, di una voce autentica e incerta che scorre come un flusso è una tendenza che emerge in ogni mio romanzo, nel mio modo di scrivere. Credo sia utile per comprendere prospettive diverse e permettere al personaggio di riflettersi nel dialogo: la sua riflessione gli consente di vedere cose, aspetti della vita in maniera differente, di essere conscio della propria debolezza ed è ancora più difficile, perché diciamo che la società si aspetta sempre che lui sia forte solamente perché lui è un uomo.

Come dicevamo, il suo è un romanzo costellato da figure femminili. Si può definire un romanzo femminista? In un’intervista ha dichiarato che “dire di essere femminista in Occidente sia diverso dal dire di esserlo in Oriente”. Che intende? E soprattutto cosa significa essere femminista oggi?

Io ho semplicemente scritto il romanzo, poi ognuno può leggere tra le righe il significato che questa vienda porta con sé. Riguardo ciò che ho detto a quell’intervista, è vero, è diverso essere una femminista in Occidente rispetto all’Oriente. Per esempio, un discorso femminista è completamente diverso se formulato in Oriente, ha proprio un peso diverso e può essere facilmente svalutato. Io sono sempre stata molto interessata al nuovo orizzonte delle tematiche femministe, non è un caso se nei miei romanzi parlo molto di donne e dei loro diritti.

È la sua prima volta in Italia? Quali sono i suoi autori italiani preferiti del passato o del presente?

No, sono già stata qua nel 2017 con la mia famiglia. Ho sempre subito il fascino dell’Italia, della popolazione e della sua lingua, sfortunatamente non la parlo, ma mi piace ascoltarla; mi auguro che magari un giorno in futuro ci riuscirò. Nutro grande stima per gli scrittori italiani, tra i miei preferiti ci sono sicuramente Umberto Eco, che è molto famoso nel mondo arabo, noi leggiamo sia i suoi romanzi che i saggi. Poi anche Italo Calvino, ovviamente Elena Ferrante, che è una scrittrice amata anche all’estero, in particolare mi è piaciuto molto La figlia oscura. Inoltre, quando ero giovane adoravo leggere i testi di Alberto Moravia e Vasco Pratolini.

Tra poco presenterà il suo romanzo al Salone. E poi? Che progetti ha per il futuro?

Ho scritto un altro romanzo, ma non so come sarà il titolo in inglese. (ride) Parla di due ragazze che provengono da diversi ambienti sociali, ma che diventano amiche. Le tematiche principali saranno il rapporto tra sorelle e quello madre-figlia. Ho scritto questo nuovo romanzo nel 2016, ma trascorreranno ancora un paio d’anni prima che esca nel mondo inglese. Questo è quanto sto facendo attualmente, per il mio futuro prevedo solamente di scrivere. Scrivere e ancora scrivere.

Exit mobile version