È giunto alla sua ottava edizione l’Ecosuoni, il Festival di Palma Campania in provincia di Napoli nato nell’estate 2012 dall’esigenza di dare vita a uno spazio pubblico di grande rilievo grazie al connubio fra giovani figure professionali, cultori della musica e amanti dell’ecologia e che ha ospitato negli anni musicisti quali Nobraino, Marlene Kuntz, Verdena, I Cani, Levante e Ghemon.
Il Centro Polifunzionale “O’ Giò”, nella cittadina ai piedi del grande vulcano partenopeo è animato dagli usuali stand per cibo e beveraggio, tshirt e bancarelle. Ci sono anche giochi per bambini e perfino un surreale toro meccanico che provano a suggerire un dialogo differente tra gli spazi del tessuto urbano contemporaneo.
La serata del Festival – unica a questo giro – è aperta dai Costiera, di Cava de’ Tirreni, dall’altra parte del Vesuvio. I tre ragazzi portano sul palco – da seduti – la sincerità delle loro composizioni. Tra synth e drum machine, il loro è un pop elettronico che prova a raccontare le complicazioni quotidiane di un’intera generazione tra temi universali – Shangai – e peculiarità di queste terre – Mai stati in serie A. Come in molti, ormai, pagano pegno a tanto pop anni ottanta – l’immancabile Luca Carboni – e, anche se il loro sound non è del tutto definito e a fuoco, la loro performance risulta convincente tanto tecnicamente quanto per la capacità di proporsi al pubblico in maniera delicata senza arie da artisti arrivati ma come ragazzi che provano a raccontarsi attraverso ciò che probabilmente nella vita sentono di saper fare meglio.
Per il secondo set tocca a Drast (vero nome Marco De Cesaris), rapper e producer napoletano e Lil Kaneki (vero nome Alessio Aresu), rapper romano: teste, voci e volti – giovanissimi, classe 2001 – del progetto Psicologi. In orbita Bomba Dischi che ne ha fiutato il successo online con il singolo Diploma – i due sono un concentrato davvero troppo acerbo di cantautorato rap con voci monotone e biascicate che, se su “disco” possono ancora risultare – per qualcuno – accattivanti, nella dimensione live mostrano in maniera imbarazzante tutti i loro limiti. Che esplodono quando dopo un paio di brani – che a qualche intuizione testuale tutto sommato apprezzabile non ne affiancano alcuna musicale, di flow, di beat, degna di nota – i due si rendono protagonisti – ed è una beffa col nome che portano – di un episodio molto più che increscioso. Mentre, infatti, stanno regalando una loro tshirt al pubblico, qualcuno da sotto il palco li manda a fanculo. E se è Lil Kaneki a non voler far cadere la cosa, è soprattutto Drast a farla degenerare. Per quanto giovanissimi e certamente privi dell’esperienza per fronteggiare una – forse eccessiva nei toni ma di certo lecita – contestazione, si lasciano andare ad atteggiamenti da bulletti: “finalmente hai qualcuno che ti ascolta e che ti parla da un palco”, “non scopa dal 2000“, “se gli dai uno schiaffo vola via” fino all’aizzare un ingenuo quanto fastidioso coro dal pubblico nel più classico “scemo, scemo”. E se tutto questo può ancora essere giustificabile per l’età, quando Drast col tono di uno che vuole chiudere la polemica – che però è stata protratta fin troppo – se ne esce con un “vabbe’ dai l’importante è che questo sta qua stasera invece di starsene a casa a suicidarsi” è chiaro che è arrivato il momento in cui le possibili giustificazioni cadono una dopo l’altra e dispiace, francamente, che nessuno prenda le distanze.
Esibirsi in un festival dovrebbe significare esattamente il contrario del loro atteggiamento: il coraggio di lasciare la comfort zone della propria fanbase – qui ristretta al pubblico della rete – per rivolgersi a un pubblico non adorante e dimostrare prima di tutto a se stessi di essere capaci di richiamarne l’attenzione e di saperne cogliere il favore.
E se pure rimane il sorriso davanti a certi atteggiamenti filo punk – decisamente fuori tempo massimo e, soprattutto, completamente avulsi dalla loro musica e dal contesto in cui si esibiscono – nell’incitazione a “distruggere le transenne sotto palco” che non allarma più di tanto la security – diventa difficile sorvolare sull’inconsistenza del tutto, che li mostra fragili dando a noi la sensazione di stare assistendo, più che a un concerto, alla prima uscita di un gruppetto delle superiori in una festa tra amici.
Il loro live set è, dunque, una parentesi spiacevole che – per fortuna – può essere facilmente archiviata quando a salire sul palco, sono i main artist della serata. È lo stesso imponente stage – rimasto per i primi due act piuttosto spoglio – ad animarsi di coloratissimi ledwall per l’arrivo dei Coma_Cose, il duo milanese che fa parlare di sé dal 2017 grazie a una manciata di singoli convincenti fino all’esordio con il loro primo album – Hype Aura – uscito lo scorso marzo per Asian Fake/Sony Music Entertainment.
E diglielo, Cali / come sfondiamo i locali
È l’ultima data del tour e i ragazzi non si risparmiano. A introdurli i musicisti che li accompagnano sul palco: Riccardo Fanara alla batteria – interprete più avanti di un poderoso e convincente assolo – che, insieme al polistrumentista Simone Sproccati, rappresenta il motore “musicale” dell’intero live. I Coma_Cose marcano fin da subito lo scarto con tanti musicisti e performer della scena attuale: sul palco viene restituita in un costante scambio col pubblico tutta l’energia che caratterizza il loro lavoro.
Fausto «Lama» Zanardelli è dei due quello con maggiore esperienza ma è solo un dato biografico perché Francesca «California» sembra nata con quest’attitudine, un modo totalmente libero e rilassato di cantare, rappare dentro a un flow – il loro – che scorre morbidissimo non solo per l’efficacia delle rime, per il controllo del respiro, per la musicalità e l’originalità del fraseggio ma che si rispecchia nell’approccio assolutamente cool e libero nello stare sul palco. I due spezzano in maniera assolutamente positiva una certa retorica del genere smontando con naturalezza tutta una serie di stilemi, di pose, di soluzioni che appaiono troppo spesso posticce svelando una maschera e non una reale corrispondenza tra vissuto e cantato.
Possono non piacere – ci mancherebbe – me è innegabile la fedeltà a una cifra stilistica che fin dai primissimi pezzi è apparsa solidissima, quasi programmatica: giochi di parole che rimangono nella testa frammentando il senso di una frase e restituendone un altro, in un meccanismo perfettamente oliato in grado di creare sconnessioni e che mette in luce non solo una capacità compositiva originale e leggera – si badi bene tutt’altro che superficiale – ma anche una storia solida fatta d’importanti riferimenti culturali non solo musicali. La loro versione di Mi ami? dei CCCP viene accolta con entusiasmo dal pubblico a segnalare non solo l’ampio spettro delle loro influenze – come anche l’incredibile longevità del punk da balera della coppia Ferretti/Zamboni – quanto un’attitudine certamente pop ma tutt’altro che appiattita su un immaginario di plastica.
Anima Lattina (che cita Battisti), Beach Boys distorti, Alametta, Via gola; Mariachidi, Squali (che cita De Gregori e i Velvet Underground), Yugoslavia: i Coma_Cose attraversano il palco snocciolando uno dopo l’altro tutti i loro pezzi e colpisce l’affiatamento che dimostrano. Se c’erano dubbi sulla tenuta dal vivo del loro mondo musicale, vengono presto fugati. La sintonia e la tensione anche personali sono palpabili; e sia detto non certo per spirito morboso ma per l’innegabile riflesso che accresce il senso di grande umanità dietro l’attenzione al loro lavoro. E quando qualcuno, sulla coda di Squali, chiede un bacio, questo – intelligentemente – non arriverà. Colpisce soprattutto poi l’assoluta umiltà – “Noi veniamo da lontano. Da qui a Milano sono tanti km, sembra scontato ma arrivare in un posto ed essere accolti così è una cosa che scalda” – che li cala alla perfezione dentro l’atmosfera ritrovata di una bellissima serata.
Poco meno di duemila ingressi a segnalare il successo dell’evento che ha modo di continuare con l’elettronica degli Ivreatronic – in un’ideale staffetta col suo creatore Cosmo passato qui lo scorso anno – che fanno ballare tra polvere e buio gli ottocento ragazzi rimasti sotto questo cielo limpido di una tra le ultime notti d’estate.
Tutte le foto di Serena Mastroserio