Correva l’anno 2013. Un anno che sembra vicinissimo, che sembra ieri. E invece sono passati 6 anni da quando ogni radio, ogni playlist, ogni locale trasmetteva la prepotente e dissacrante Take me to Church, cantata dall’irlandese Hozier. La sua voce bellissima e potente improvvisamente è diventata familiare, capace di superare il filtro delle cuffiette e delle casse per arrivare direttamente in qualche posto nascosto del cuore già dalla prima parola, dal primo sussurro.
In effetti dopo tutto questo tempo, l’uscita del secondo album di Hozier Wasteland, baby! non può evitare il confronto con il ricordo di Take Me To Church: dopo il play viene naturale aspettarsi che ci sia qualcosa capace di ricreare l’impatto culturale e sociale che quella canzone e il suo video di accompagnamento avevano ottenuto.
Sin dal primo brano alcune di quelle sensazioni vengono in realtà confermate, in una performance decisamente di impatto, quella di Nina Cried Power featuring Mavis Staples, già rilasciato nel 2018 in versione EP, che rende omaggio ai grandi musicisti che hanno sfidato i pregiudizi. Qualcosa che ricorda molto un inno politico vero e proprio.
Ma qualcosa è cambiato da allora: la voce di Andrew è più controllata, la produzione è più precisa e i suoni sono talmente in armonia tra loro che un po’ si è persa l’immediatezza di un’emozione più grezza, meno levigata. Ogni colpo di chitarra, ogni battuta, ogni acuto, però, riescono comunque a far esplodere pienamente la voce di Hozier, forse il suo punto di forza maggiore. Movement, la terza traccia del disco emerge più di altre nel suo sound sensuale e drammatico che tocca le corde giuste e dimostra che Hozier è ancora lì, ancora capace di farci vibrare e farci sentire vivi.
So move me, baby
Shake like the bough of a willow tree
You do it naturally
Move me, baby
La maturità delle sue canzoni, sia nel precedente album che in questo lavoro, ha dato al panorama musicale una visione sonora più intuitiva, appassionata e personale. Ascoltando l’album ci si ritrova minuto dopo minuto in atmosfere che spaziano dalla musica soul, al jazz, al gospel, R’n’B e al folk cantautorale senza mai eccedere in uno o nell’altro senso.
Il tempo passa, Hozier ci accompagna in ballate più allegre e momenti più riflessivi, fino al settimo pezzo, As It Was. Inizia con solo voce e chitarra, illustrando così la pienezza e la ricchezza del timbro di Hozier, e ci pensano poi pianoforte e violino ad infondere alla traccia un senso di vulnerabilità ed emotività.
Un sound ispirato e in alcuni casi dolce e delicato accompagna tutto il disco. Talk seduce con chitarre orgogliose che si intrecciano al baritono liscio di Hozier, e che si ritrova anche, ora accompagnato dal battito regolare e dalle chitarre distorte, nel successivo Be: un invito a sentirvi vivi, a dare ed accettare amore amore, senza lasciarsi sopraffare dalle incertezze.
I won’t deny
I’ve got in my mind now all the things
I would do
So I’ll try to talk refined for fear that you find out how
I’m imaginin’ you
Dopo una lunga pausa Hozier aveva bisogno di Wasteland, Baby! (e probabilmente ne avevamo bisogno anche noi) per riconquistare l’energia creata dalle sue precedenti uscite, e confermare ulteriormente la sua credibilità come artista. In questo disco il cantante irlandese si è creato uno spazio per elaborare le sue tensioni creative ed ha cercato nuovi modi per rendere il suo lavoro più accessibile a tutti, senza per questo perdersi lungo la strada.
“That’s it” sussura dolcemente Andrew al termine dell’ultima traccia che da il nome all’album, e così questo è quanto, questo è tutto. Si tratterà pure di una Wasteland, una terra desolata, ma grazie ad Hozier verrebbe voglia di tornarci di tanto in tanto anche solo per assaporare ancora la bellezza della sua voce e la sensualità di ogni movimento armonico che l’accompagna.