Il fascino arrogante del Cinema incomprensibile
I film di Leos Carax non sono semplicemente strani, di più: sono fatti per sconvolgere, per creare disagio e per portare nella mente dello spettatore una miriade di dubbi vuoi sul significato di ciò che sta guardando, vuoi sulle reali intenzioni dell’autore in questione.
Holy motors è l’ultimo lavoro dello stravagante regista francese e racconta 24 ore della vita di un fantomatico signor Oscar che prelevato da casa da Celine, sua assistente (?) tuttofare, gira Parigi su una enorme limousine usandola come camerino per i suoi travestimenti e studio per ripassare ciò che dovrà fare nell’arco della giornata. Infatti Oscar veste i panni di nove differenti persone durante le 24 ore assumendo identità agli antipodi tra loro e confrontandosi con nove interlocutori diversi: Oscar pare vivere nove vite divise per frangenti, affrontando ognuno degli incontri come veri e propri appuntamenti prestabiliti e su richiesta di coloro che va ad incontrare.
Che interpreti il padre di famiglia o l’uomo d’affari, un killer spietato o una mendicante, uno sperimentatore cyber o un mostro delle fogne, un suonatore tzigano o un boss, Oscar non va mai al di là del ruolo da ricoprire nè esce mai dallo schema che si era prestabilito e preparato. Perchè? E’ il suo lavoro? Lo fa per condizionare e gestire le esistenze altrui? E’ uno dei tanti camaleonti di cui è piena la società contemporanea?
Questo non è dato saperlo: Leos Carax non solo non fa nulla per facilitare la comprensione della trama ma complica ancor di più la situazione con intrecci perversi tra il protagonista e alcuni personaggi che possono trarre in inganno, e ha un vero e proprio colpo di genio nel finale quando una volta accompagnato a casa Oscar, la sua assistente Celine riporta la limousine in una grossa auto rimessa con bene in vista la scritta Holy Motors, e come lei tante altre limousine entrano in garage per poi essere abbandonate al buio dai loro autisti…fino a che le auto non cominciano a dialogare tra loro lasciando intuire, tra discorsi filosofici e bonari allo stesso tempo, di temere per il loro futuro e per il cambiamento degli uomini.
Holy Motors è un’opera confusionaria che probabilmente raggiunge l’obiettivo di respingere gli spettatori sfidandoli sul lato della incomprensibilità narrativa e abbandonandosi ad uno stile di alto cinema autoriale, una tecnica registica spregiudicata che usa con arroganza tanto le immagini quanto la sceneggiatura cercando di servirsi di eclatanti comparse famose come Eva Mendes, Kylie Minogue e persino il grandissimo Michel Piccoli per forzare paradossalmente all’impopolarità alcune situazioni della storia.
Eppure c’è un indiscutibile fenomeno di bravura che convincerà anche chi si troverà ad odiare o semplicemente a non apprezzare il film di Carax: ovviamente si parla di Denis Lavant, impressionante nella capacità di impersonare la moltitudine di identità che va a ricoprire il protagonista della vicenda narrata, recitazione convincente, realista, attore mostruoso, teatrale, pirandelliano, e si spiega facilmente il perchè Leos Carax non riesca a fare a meno di lui per le opere che va a girare.