Caro lettore, con un titolo così vogliamo munirti anche delle istruzioni all’uso del pezzo. Ci è arrivato questo contributo di un collaboratore sul romanzo Opus Pistorum di Henry Miller, che apre un po’ di questioni a proposito del rapporto tra arte e censura. Da queste parti siamo naturalmente a favore dell’intero vocabolario delle parole a disposizione per la scrittura e l’arte in generale, e della libera espressione artistica. Ma anche per questo accogliamo l’antica questione che si porta dietro il contributo (che si chiama a favore della censura di Miller): esistono dei limiti all’arte? alle parole? alla letteratura? alle immagini?
Vogliamo servirvi la domanda, e sapere cosa ne pensate voi del rapporto tra arte e censura, e del limite delle parole. Esistono parole che non dovrebbero essere scritte, dette, cantate, oppure l’arte non ha limiti espressivi, e la sua forza sta anche nella libertà? Potete contribuire scrivendo a lindiependente@gmail.com – saremo felici di darvi voce nello spazio Lettere
“Si spoglia… e perché mai debba togliersi le scarpe per mostrare le tette, lo sa solo Dio. Ma non posso lamentarmi… Eccomi qua, a casa mia, con l’affitto pagato, ubriaco e con due belle fiche nude fra le mani. Gesù, mi sembra di essere il signore del castello…”
Nella storia della letteratura, sono molte le opere, spesso celebri, che sono state censurate. Si passa dal Decamerone di Boccaccio, ai più moderni Ulisse di James Joyce, Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, Tropico del Cancro di Henry Miller, Lolita di Nabokov, American Psycho di Easton Ellis, e via dicendo.
Fu George Orwell, autore di 1984 e La fattoria degli animali, a descrivere proprio Tropico del Cancro di Henry Miller come “il libro più importante della metà del 1930”.
“Finalmente un libro non pubblicabile che si può leggere”, disse invece Ezra Pound.
La censura a cui mi sto riferendo è la censura cosiddetta morale: un ente preposto, statale, si occupa di impedire che opere ritenute scorrette, o moralmente offensive, possano raggiungere i cittadini. Va da sé che non dovremmo considerare la censura una cosa positiva, o una male necessario. La società, a mio avviso, dovrebbe autoregolarsi, e nel caso della letteratura, se i parametri fossero gli stessi di quelli degli anni pre-rivoluzione sessuale, oggi non avremmo la possibilità di leggere dei capolavori della letteratura, ma anche romanzi buoni per accendere il fuoco, come “50 sfumature di…”.
Ho fatto questo piccolo cappello perché, dopo aver letto poche pagine di questo romanzo di Henry Miller, mi vergogno, ma non lo nego, ho pensato “questo romanzo avrebbe dovuto essere censurato”. Pur avendo – in buona parte – apprezzato il Miller di Tropico del Cancro, non capisco come si possa stampare un romanzo come Opus Pistorum: per più di 210 pagine, Miller ci fa da guida nella Parigi decadente di fine anni ‘30, in cui il sesso, e solo il sesso, è protagonista assoluto. Tra minuziose descrizioni di rapporti incestuosi, stupri, sesso di gruppo, consenziente e non consenziente, zoofilia, sadomasochismo e perversioni di qualsiasi tipo, credo che chiunque ne uscirebbe tanto sconvolto quanto annoiato.
“Se le donne non avessero la fica da dar via, sarebbero una razza insopportabile. Per un po’ di sollazzo del cazzo, a noialtri ci tocca tollerare questi mostri dolciastri, queste piattole invereconde, queste zozzone.”
Henry Miller scrisse questo romanzo quando aveva 50 anni: essendo in fortissime ristrettezze economiche accettò l’invito del suo amico Milton Luboviski, proprietario di una libreria sulle colline di Hollywood, a scrivere un romanzo erotico. Lo avrebbe pagato un dollaro a pagina. Dopo circa un anno Opus Pistorum era terminato; Luboviski vendette le prime quattro copie, tenendo per sé il manoscritto originale.
Un libro scritto dalla necessità, difficilmente sarà un buon libro.
Quello che maggiormente mi ha infastidito di Opus Pistorum è la sua completa dissolutezza e vacuità. Non vi è infatti nulla di apprezzabile, di umano, di emozionante: solo una lunghissima sequela di atti sessuali fini a se stessi. Il libro scorre lento, lentissimo, incredibilmente monotono, e le 210 pagine sono un macigno difficile da digerire.
A parte una evidente misoginia, non vi è alcuno spazio per le emozioni, o per capire cosa l’autore pensi dell’umanità in generale, a differenza per esempio dei romanzi del Marchese de Sade, in cui la sua misantropia e la diffidenza per il genere umano sono evidenti.
Ma, come ho scritto poc’anzi, nella maggior parte dei casi la società si autoregola. Non prendete queste mie parole come un attestato di fiducia nel genere umano. Solo, quando un romanzo non è buono, è scritto male, nella maggior parte dei casi non vende, e non diventa celebre, perché chi legge, molto spesso è esigente. Questo è il caso di Opus Pistorum, che seppur scritto da un grande scrittore non riesce a reggere il confronto con altri romanzi migliori, come i Tropici dello stesso Henry Miller.
“Io non cerco più di capirle, le donne. Le chiavo e basta. Si risparmia un bel po’ di fatica, così.”
Come colonna sonora ho scelto l’album “S” dei Drink To Me, quei simpatici ragazzi torinesi, che hanno dedicato una canzone proprio ad Henry Miller.