Ep. 5. Le dimissioni forzate di Marco

La storia di Marco è l’emblema della flessibilità intesa come strumento per scaricare il rischio d’impresa sui propri dipendenti.

In linea di principio, il profitto che, su ogni singola merce venduta, l’azienda riesce a realizzare si giustifica, appunto, per l’assunzione del rischio che la produzione non trovi sbocchi sul mercato. In altre parole, lo scambio liberale tra capitale e lavoro, in teoria, sarebbe questo: chi detiene i capitali compra la forza lavoro che è necessaria per realizzare l’investimento e incamerare quei profitti che diventeranno così nuovo capitale da accumulare; la forza lavoro non partecipa alla divisione degli utili perché non partecipa alla condivisione del rischio d’impresa (la certezza e la stabilità del salario vs il rischio d’impresa correlato all’investimento).

Nel passaggio dalla teoria alla pratica, però, diventa ogni giorno sempre più evidente come il rischio d’impresa gravi in realtà tutto sulle spalle degli stessi lavoratori: se il mercato non risponde alle aspettative di profitto dell’impresa, infatti, sono i lavoratori a pagare immediatamente il prezzo in termini di riduzioni salariali e/o peggioramento delle condizioni di lavoro, fino ad arrivare alla definitiva perdita del posto di lavoro (tanto più facile, quest’ultima, quanto meno è stabile la tutela contrattuale di ciascun singolo lavoratore).

Marco, dopo la laurea in scienze biologiche, ottiene il suo primo impiego in una multinazionale del settore farmaceutico:

indubbiamente Lei ha ottime referenze, ma noi le prime assunzioni siamo abituati ormai a farle quasi sempre a tempo determinato. Ma, di solito, chi lavora bene qui da noi ottiene la stabilizzazione e il contratto a tempo indeterminato nel giro di pochi anni. Dipende tutto da Lei e dal suo impegno.

Questo, a grandi linee, gli venne detto dall’ufficio personale e questo effettivamente accade dopo circa tre anni di servizio pressoché impeccabili.

Nei sette anni successivi, quindi, Marco si sentì tutto sommato in via di realizzazione e con prospettive di carriera: il contratto era stabile e con un trattamento da secondo livello nella categoria di riferimento.

Anche i primi anni della crisi del 2008 passarono indenni, ma nel 2011 l’azienda cominciò ad avere i primi problemi di bilancio e per lo stabilimento di Marco scattò la cassa integrazione, in attesa della ripresa economica o di una ridefinizione delle posizioni contrattuali.

Arrivò quest’ultima e per mantenere il lavoro, i dipendenti accettarono una serie di peggioramenti che per Marco significarono addio al tempo indeterminato e riposizionamento in azienda con un contratto a progetto di livello inferiore al precedente:

la posizione contrattuale è peggiore e pure il trattamento complessivo, certo. Ma intanto Lei mantiene il suo posto in azienda. E, chiaramente, se il nuovo farmaco che è in fase di lancio supererà i test clinici, la sua posizione sarà tra le prime a essere ridefinite: noi ci fidiamo di Lei ed è anche nostro interesse ricollocarla nuovamente nella posizione precedente e migliore, non appena ci sarà possibile farlo.

Peccato, però, che il nuovo farmaco non riuscì a ottenere l’autorizzazione per la produzione e questo comportò un’ulteriore stretta sulle condizioni dei lavoratori.

Stavolta anche i posti di lavoro vennero messi in gioco e i primi ad andarsene furono i vari dipendenti a tempo determinato: lavoratori a cui il contratto, semplicemente, non fu rinnovato una volta scaduto.

Ma pure i contratti a progetto nel disegno di ristrutturazione aziendale andavano eliminati. E queste figure contrattuali dovevano sparire subito e in maniera indolore (ossia senza gli strascichi legali, che si potevano venire a creare se si fosse proceduto con una serie di licenziamenti):

la soluzione che Le stiamo proponendo è la migliore anche per Lei. Ci pensi bene. Se firma le dimissioni, noi Le verseremo ugualmente l’importo pattuito. Subito e in contanti. Nei prossimi mesi, così, avrà modo di trovare un altro lavoro, con quel minimo margine di sicurezza che la somma ottenuta Le può garantire. Alla fine conviene anche a Lei, non crede? Sempre meglio del licenziamento con cui perderebbe il lavoro subito e, per ottenere un eventuale risarcimento, poi, dovrebbe comunque aspettare i tempi di giustizia.

Fu così che Marco chiuse l’esperienza con la multinazionale farmaceutica che aveva deciso di scaricare tutti i costi della crisi e degli investimenti sbagliati sui propri dipendenti. Fu così che ricominciò a cercare lavoro a dieci dalla laurea.

Oggi Marco lavora presso un’azienda del settore chimico. Con un contratto a tempo determinato di quinto livello. Sei mesi di lavoro, per ora. Sempre più precario e con condizioni di lavoro decisamente peggiori di quelle precedenti. Gli effetti della crisi che si ripercuotono direttamente sulla pelle di chi lavora come dipendente, nell’Italia in cui continuano a crescere le diseguaglianze tra ricchi e poveri (con i primi che continuano a diventare sempre più ricchi).

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