Green book: se la segregazione razziale è bieca ignoranza

Potremmo dire che Green book, il film di Peter Farrelly candidato a cinque premi Oscar (tra gli altri miglior film e miglior sceneggiatura originale) è una storia ambientata in America negli anni Sessanta, nel pieno della segregazione razziale che, feroce e brutale, non può ostacolare il germogliare di sentimenti come amicizia, stima, orgoglio, riscatto, giustizia. Ma potremmo dire anche che Green book è un film attuale, che sembra lo specchio di un’Italietta beota che finge di non sapere cosa significhi essere straniero in terra straniera, che non ha più memoria dei compaesani emigrati negli Stati Uniti, accomunati agli uomini e alle donne di colore, in una bolla di intolleranze e violenze. Siamo davanti a temi sociali che hanno fatto la storia, soffiando sulle coscienze del mondo.

Farrelly entra dentro queste dinamiche e sceglie due personaggi per sviscerarle: Don Shirley (Mahershala Ali), un pianista virtuoso di colore e Tony Vallelonga (Viggo Mortensen), un siciliano trapiantato a New York con la famiglia che lavora come buttafuori ed è noto per la sua capacità di districarsi tra i problemi e i piccoli grandi imprevisti. Un furbone, insomma. Don Shirley è una celebrità nella Grande Mela e in tutta l’America, sebbene lontano dal palco e dai tasti bianchi e neri del piano soffra per le discriminazioni a cui lui e gli afroamericani sono sottoposti. La scelta di spingersi fino in Sud America e arrivare in Iowa, Alabama, Tennessee è dettata dal desiderio di sfidare il non sense del momento storico, di andare al cuore di quella rabbia razzista che poneva i neri in una condizione di sofferenza e sottomissione.


Per questa ardua impresa Don Shirley ingaggia Tony come autista, spiegandogli di aver bisogno non solo di un guidatore ma di un accompagnatore abile, conscio delle avversità che avrebbero potuto dover gestire lungo il viaggio. Pronto per l’uso c’è il green book, una guida e al contempo un prontuario che Don Shirley consegna a Tony affinché lo studi e ne faccia un riferimento per il tragitto e le tappe in programma. Come spesso accade, il viaggio è metafora di conoscenza, non solo del circostante, ma anche di sé stessi. Don Shirley e Tony apprenderanno tantissimo l’uno dall’altro e impareranno ad esseri amici, nonostante coloro che li vorrebbero uno schiavo e l’altro padrone. Le conversazioni tra i due sono spassose, ironiche, ma anche intense.

Il sarcasmo e l’ironia sono un codice espressivo del film, l’altro è la musica: rockabilly, jazz, blues, da questo punto di vista siamo nel cuore di un’epoca esplosiva. La leggerezza aleggia magistralmente su quanto di turpe accade oltre la volontà dei protagonisti, oltre il loro animo, e conquista lo spettatore che non potrà far altro che sorridere e commuoversi, riflettendosi in un tempo che è più vicino di quel che potrebbe sembrare in apparenza. Imperdibile.

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