GRANDI SPERANZE – film apprezzabile…se ci si dimentica di Dickens

Uno dei più popolari romanzi di formazione della letteratura di tutti i tempi è senz’altro Grandi Speranze, opera della maturità di Charles Dickens. Il regista inglese Mike Newell ha girato l’ottava trasposizione cinematografica della storia dell’orfano Pip che, destinato a fare il fabbro come il marito della sorella che l’ha allevato, per amore della bella Estella e grazie a una cospicua eredità donata da un misterioso personaggio aspira a divenire gentiluomo nella Londra di inizio ‘800…con tutto quello che scelta e destino comporteranno nella sua come nell’altrui esistenza.

La trama di un capolavoro letterario come questo o la si accenna riducendola all’osso come appena fatto, oppure la si deve narrare con dovizia di particolari per come merita; se si deve trasporre in immagini poi è ancora un’altra questione perché lì subentra la possibile blasfemia nei confronti dell’autore sia nel caso che volendo rendere la storia in maniera originale ci si allontani dal libro prendendolo solo come spunto, sia che, cercando di essere quanto più fedeli all’opera letteraria, si rischi di tralasciare interi frammenti adorati dai lettori per chiari motivi di tempistica cinematografica provocando in tal modo un odio profondo verso il film e una conferma al pregiudizio che accompagna quasi tutti i lavori su grande schermo tratti dalla letteratura.

Il pregiudizio è ciò che deve assolutamente mancare in chi come il sottoscritto deve “criticare”, parlare dell’opera come del prodotto cinematografico associandola magari a ciò che l’ha ispirata ma non confrontandola ad essa: non esiste metro di paragone plausibile tra un film e il libro da cui è tratto se non sul piano di trasmissione emotiva.

Mike Newell è un regista dalla filmografia piuttosto varia e in alcuni casi di ottimo livello, basti pensare che è autore allo stesso tempo di una delle migliori commedie brillanti e di uno dei cult movie sulla malavita degli ultimi trent’anni, rispettivamente Quattro matrimoni e un funerale e Donnie Brasco . Il suo Grandi Speranze è un buon film, girato con maestria e con particolare attenzione alle atmosfere e alla centralità dei personaggi che circondano il protagonista Pip, tanto che punta di diamante di questo lavoro sono le interpretazioni di altissimo livello, su tutti Helena Bonham-Carter in uno dei classici ruoli oscuri e cinici a lei più congeniali, e Ralph Fiennes le cui doti camaleontiche non stupiscono più oramai. Se il protagonista interpretato dal giovane Jeremy Irvine così come in War Horse di Spielberg pare eccessivamente imbalsamato, il contorno di attori britannici tra cui Robbie Coltrane, Ewen Bremner e Jason Flemyng è a livello dei due interpreti più celebri già menzionati.

Questa trasposizione è piuttosto fedele al romanzo di Dickens, anche se la sceneggiatura così come la messa in opera privilegiano la trama misteriosa e travagliata della storia evidenziando il sentimentalismo ed eludendo quasi totalmente l’umorismo e la satira anche decisa che per lunghi tratti dell’opera di Dickens la faceva da padrona. Tale appunto è utile non per fare quel paragone definito precedentemente improponibile tra libro e film, ma per tirare in ballo la migliore trasposizione cinematografica in assoluto di Grandi Speranze, quella girata da David Lean nel 1946 che a differenza di Newell e dello sceneggiatore Nicholls puntò molto sullo spirito vivace della storia di Dickens.

La grande letteratura per il Cinema è fonte inesauribile di storie da raccontare per immagini sul grande schermo, e allo stesso tempo diventa un rischio non indifferente per chi decide di addentrarsi in scenari che già esistono nell’immaginario collettivo e in differenti punti di vista e chiavi di lettura  per ogni individuo; e quindi girare un film tratto da un romanzo celebre diventa una vera e propria sfida che spesso non ha possibilità di vincita, nonostante un lavoro decente, perché la lotta è impari e difficilmente chi ha apprezzato, adorato un libro amerà di più la sua trasposizione cinematografica.

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