Grand Final | Daughter @acieloaperto

Report a cura di Erika Fiumi

Foto di Alise Blandini

Come dovrebbero finire le cose? Come ci si lascia, per poi andare a capo? La quinta edizione di acieloaperto è finita con una luna piena a disegnare un punto sopra le nostre teste, rossa all’orizzonte e poi alta e luminosa nel mezzo del cielo.

Il festival romagnolo ha scelto due band della sua terra per aprire la serata: lo shoegaze tutto d’un pezzo dei Tunguska e le ballate folk spezzate dal’irriverenza delle chitarre dei Sunday Morning. Poi Villa Torlonia ha fatto da perfetta cornice allo show che tutti stavamo aspettando, quello dei Daughter. Fan seduti ad occupare le prime file, poi, ore dopo, tutto è iniziato senza tanti fronzoli: luci fredde a illuminare il palco e subito si attacca con New Ways e le sue ipnotiche strofe ripetute come un mantra, arrivate a prenderci per mano. Ci aveva già pensato settembre a ricordarci che l’estate sta finendo, ma l’outfit lupetto maniche lunghe total black di Elena Tonra ci ha richiamato alla realtà nuda e cruda: forse non possiamo più farci cullare dalle onde del mare, ma abbandonarci alla sua splendida voce sì.

 

 

Il trio inglese è accompagnato sul palco da una quarta musicista jolly che dà corpo alle canzoni principalmente da dietro le tastiere e ai cori, ma anche in alcune parti di chitarra e basso. Dopo una prima parte di concerto votata ai loro pezzi più “d’atmosfera”, si ingrana la marcia e i Daughter danno prova di aver trovato il giusto equilibrio tra suggestioni intimiste e potenza del suono. Ascoltando i loro dischi e ricordando le lacrime che ci hanno rubato, ci saremmo aspettati uno show forse più etereo, mentre durante il live ogni pezzo esce dal vaso di Pandora con una decisione inaspettata. To Belong è stato il momento in cui ci siamo resi conto dell’incanto della sirena: inutile negare che l’attenzione è spesso rapita dalla voce di Elena, ma paradossalmente le sue parole sono anche la sola cosa che ci ha tenuti coi piedi saldi a terra, per poi lasciarci soli a navigare nel mare dei nostri pensieri con l’arrivo delle parti strumentali. Finalmente liberi di perderci.

Youth, singolo che ha segnato la carriera del trio, è stato un momento di assoluta pace: il miracolo di un pubblico che ne conosce ogni parola, ma anche ogni esatto attimo di silenzio. Traccia dopo traccia, da Winter a Smother, da Medicine a Mothers, i Daughter hanno costruito un mondo ovattato, fatto di ombre e spigoli addolciti puntualmente dal calore della musica. Tra chitarre che graffiano e ritmiche che, anche quando si fanno più incalzanti e spezzate (No Care, Fossa), non tolgono mai spazio alla profondità della voce, lanterna guida coi suoi giochi di eco e riverbero.

 

 

Un’ora e mezza di concerto in cui i Daughter hanno suonato quasi tutti i pezzi di Not To Disappear (2016) e buona parte di If You Leave (2013), senza inserire in scaletta nessuna traccia del loro ultimo lavoro Music From Before The Storm, soundtrack originale del videogame Life Is Strange: Before The Storm, prequel dell’acclamata avventura grafica della Square Enix.

Nessun visual accompagna la performance, solo qualche luce e pochissimo fumo sullo sfondo a tracciare le linee delle loro silhouettes. Di certo non è la presenza scenica il loro punto forte, ma la pacatezza di chi non ha bisogno di urlare per farsi sentire. La bellezza diafana di Elena Tonra, la sua timidezza dietro al microfono, rendono ciascuna parola di una tenerezza unica. Ogni canzone è una stanza scura, con le pareti fragili come il cristallo e il soffitto aperto sulla notte.

È così che dovrebbero finire le cose ed è così che è finita anche quest’edizione di acieloaperto, con una luna coraggiosa che prende la rincorsa fino ad arrivare più in alto che può per bisbigliarci un arrivederci e lasciare spazio al giorno.

 

 

 

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