L’anarchia dei Godspeed You! Black Emperor

Nei pochi scatti che li ritraggono i Gospeed You! Black Emperor sono come delle ombre lontane e sfumate, tuttavia – nonostante i loro nascondigli imperfetti – gli riesce di accendere il fuoco con una miccia invisibile fatta di puro suono. Restii a rilasciare dichiarazioni e interviste, si esprimono con la musica, e con la musica sono tornati a parlare per tempi cupi. G_d’s Pee AT STATE’S END!, il nuovo album dei Godspeed You! Black Emperor è un’allucinogena ode sinfonica del rumore per la fine dei tempi. I GY!BE ci tengono a mettere in chiaro la natura politica (e anti-politica) del disco: scritto per strada e registrato in mascherine durante le ondate della pandemia, G_d’s Pee AT STATE’S END! è una colonna sonora per l’apocalisse del presente, un contro canto al fallimento dei governi, e ancora un grido contro l’imperialismo, le guerre di approviggionamento e le disuguaglianze di ricchezza e potere che viviamo quotidianamente sotto gli occhi. Un disco che nasce in strada e sulla strada vuole tornare: ma su quella strada vuole tornarci portando un messaggio duro, che può essere solo raffinato attraverso distese di rumore, tamburi, violini, chitarre.

Il rumore assordante si apre con A Military Alphabet, un alfabeto militare dai retaggi velvet-undergrandiani (estetica del rumorismo alla John Cale), chitarre elettriche droniche che tessono post-rock perfora-timpani. Il nuovo album dei GY!BE procede in avanti per incanti e intagli, perforazioni che si iniettano dirette: G_d’s Pee AT STATE’S END! è un’esperienza in cui lasciarsi andare, cadere – annichilire dolcemente a sbandate. Con il loro ultimo capitolo sonoro l’anarchia creativa dei GY!BE raggiunge una vetta artistica: un’anarchia che non è solamente l’effetto di un disco che sin dal titolo vuole essere una dura stilettata ai governi, ma che si sente con prepotenza anche nella libertà creativa a cui continuano ad afferrarsi i GY!BE, totalmente incapaci di scendere a compromessi con la musica. A distanza di tanti anni dal loro esordio i Godspeed continuano a mordere e essere autenticamente sé stessi. Il nuovo disco ha dei sali/scendi di tensione – degli scalini emotivi che erompono dalle lunghe suite, degli sbalzi tra miserie e splendori – da cui è facile lasciarsi trascinare, come accade nella prima titanica traccia che avanza attraverso il bell’episodio di Job’s Lament, la cui conclusione è un’epica cavalcata, un grido in forma di musica che prima si rimodula sulle note di First of the Last Glacier e poi sfinisce per un lungo minuto di quasi pausa-silenzio. È una sirena di ambulanza a riaprire il suono su Fire At Static Valley, e sembra quasi di vederli i Godspeed su un’alta collina a suonare immersi nello scenario di un tramonto di fiamme mentre aspettano la fine dei tempi, o quella svolta che i tempi li cambia.

Il nuovo album dei Godspeed You! Black Emperor si porta dietro un messaggio finale che sembra tutto sommato ottimista – Our Side Has To Win – o forse quel titolo è solamente un augurio per il futuro che il gruppo dedica ai suoi ascoltatori e agli abitanti di questa terra arsa, un futuro che torna sulla strada dove le distanze si annullano a poco a poco, e l’apocalisse distruttiva ha l’effetto di una fiamma che purifica. Del resto l’intero nuovo album dei GY!BE ha un effetto purificatorio: i piccoli assalti del suono – chitarre, batterie, violini di Sophie Trudeau – sono come una benedizione caduta dalla collina che sta bruciando. Il tramonto scende, e non resta che attendere l’alba nuova. Ecco come sfuma il disco, come la neve che cade al suolo e purifica tutto con la sua luminosità.


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