“Mi è mancato ciò che lui rappresentava nella mia vita. Un padre per le bambine. Un uomo nella sua casa. La sicurezza di essere in coppia. Ma nel profondo… no, non mi è mancato. Avrei sofferto meno la solitudine se mi fosse mancato in quel senso. E poi sento come di averlo abbandonato. È la prova che non lo amavo.”
Queste parole, pronunciate da una delle protagoniste femminili del libro, Esme, e rivolte al suo vecchio/forse nuovo amante Felix, racchiudono tutto il senso di All’Ombra di Julius, il nuovo, bellissimo romanzo di Elizabeth Jane Howard regalato ai lettori italiani da Fazi editore. Un romanzo permeato dall’assenza, da una sottaciuta mancanza, dalla pesante ombra, appunto, di un uomo che non c’è più, solo parzialmente rimpianto, ma che in qualche modo non se n’è mai andato: Julius, marito di Esme, padre di Cressy ed Emma (al momento della narrazione ormai due donne adulte di età, meno di atteggiamenti e psiche), editore bibliofilo eroicamente caduto durante l’evacuazione di Dunkerque. Un personaggio che può agire sulla scena solo tramite i racconti e i ricordi di chi l’ha conosciuto, ma che mantiene una profonda, attiva e duratura influenza sulla trama, indirizzando le esistenze tribolate e gli amori spesso sbagliati, incerti, nevrotici e capricciosi delle tre donne.
Il grande successo ottenuto dalla saga dei Cazalet, edita in Italia sempre da Fazi nel corso dello scorso quinquennio, poteva creare non poche ansie da prestazione, non certo nella scrittrice, scomparsa nel 2014, bensì nei suoi lettori. Perché la domanda aleggiava, timorosamente non detta, fin dalla copertina (come sempre in casa Fazi stupendamente retrò): dopo aver vissuto, per cinque lunghi tomi, l’epopea borghese della famiglia Cazalet, si sarebbero ritrovate le stesse sensazioni, le stesse atmosfere, gli stessi meandri psicologici anche in questa opera di più breve respiro? La risposta, si tiri un sospiro di sollievo, è sì. Anche perché, a dispetto delle tardive date di pubblicazione italiane, All’Ombra di Julius precede in realtà di ben venticinque anni l’uscita de Gli anni della leggerezza, primo volume della saga.
Vi si trovano quindi gli embrioni di alcuni elementi e topoi, cari anche biograficamente all’autrice, che saranno poi sviscerati e approfonditi nelle vicende dei Cazalet: la centralità delle donne, con le loro forze, fragilità, i sentimenti tempestosi ma entro i rigidi paletti borghesi, le loro ambizioni di emancipazione che ne fanno delle eredi delle suffragette e delle proto-femministe da #timeisnow; il sostanziale egoismo maschile, che vede messo in crescente dubbio il suo primato e per questo tenta di imporlo con forza arrogante; e soprattutto il cambiamento, lento e macchinoso, della società inglese che, dopo il fulgore prebellico culminato nell’epos della II guerra mondiale (la cui eco non è ancora sopita, come testimonia il pluripremiato Dunkirk di Nolan), fatica ad affacciarsi e adeguarsi alla modernità.
La grandezza di Elizabeth Jane Howard come scrittrice, in questo come negli altri suoi libri, non consiste tanto, o soltanto, come potrebbe apparire a superficiali recensori, nella sua minuziosa padronanza psicologica (ché altrimenti i saggi di Freud sarebbero inamovibili number 1 bestseller da far inverdire di invidia Fabio Volo) bensì nell’essere cantrice delle piccole cose, della realtà quotidiana e minuta fatta di sentimenti, sogni, speranze spicce, da tutti i giorni, non eclatanti e quindi trasversali e vicine a tutti. E questa piccola quotidianità, minuziosamente descritta anche negli oggetti, nell’abbigliamento e nelle abitudini, è più illuminante di qualsiasi descrizione dell’epoca raccontata, talmente vivace e puntuale da immergere il lettore, in maniera naturale quanto totale, in un’atmosfera british.
Leggendo le pagine della Howard si è avvolti dal profumo di tè, si avverte sulla lingua il sapore di bacon e uova strapazzate; le ossa scricchiolano per l’umidità del clima, si vedono davanti ai propri occhi le sterminate e verdi brughiere così come le anguste brick house tappezzate di moquette. Nella sua prosa, straordinariamente attuale, non si vive congelati nella nostalgia, ma si ritrovano armonicamente accostati Charles Dickens e Jonathan Coe, canti popolari inglesi e What’s your story morning glory, giacche di tweed da campagna e chiodi in pelle da suburbs londinese, Winston Churchill e Theresa May. Il tutto a meraviglioso sfondo di storie intense e travagliate, moderne nelle loro emozioni come se fossero state scritte oggi.
Per chi fosse già fan della Howard, All’Ombra di Julius rappresenta pertanto un imperdibile e inedito ritorno nella terra e nella scrittura dei Cazalet; per chi non la conoscesse, un invito allettante come una schiumosa birra scura a scoprire l’autrice e ad addentrarsi nel suo mondo. God save Elizabeth Jane, quindi, ma God save Fazi as well, perché questo illuminato editore indipendente, in controtendenza all’attuale aridità letteraria, continua a scovare e pubblicare piccoli capolavori imperdibili.