“Piccole parti per piccole donne” – sembra questo il motivo principale che accende la rivoluzione che le magnifiche donne di Glow portano sul ring! Siamo nel 1985 in una Los Angeles capeggiata da uomini despoti e sessisti, in una Hollywood in cui introdursi è duro e riuscire a risplendere è impossibile, soprattutto per una donna.
La cinepresa si focalizza su Ruth Wilder, un’attrice che non ha ancora avuto la possibilità di farsi spazio nel difficile mondo dello spettacolo. Carina e con grandi occhi azzurri, Ruth non riesce a distinguersi, venendo identificata come la semplice ‘ragazza della porta accanto’. Il suo talento e la sua ambizione la trasportano in un vortice di decadimento e di insofferenza, dovuta al fatto che nell’immensa industria cinematografica non ci sia posto per ruoli femminili rilevanti, e si ritrova a fare audizioni per parti come quella della segretaria del boss.
Fin dalle prime scene, la serie traccia molto bene quali sono i confini che vuole varcare e fino a che punto ci si vuole spingere. La faccenda sembra molto chiara, le giovani attrici come la nostra protagonista hanno essenzialmente due scelte: abbassare il capo e interpretare ruoli all’ombra del grande e vittorioso ‘uomo’ o dedicarsi alla cinematografia a luci rosse. La vita di Ruth continua tra delusioni e gravi errori finché non viene chiamata per un insolito provino. Arrivata nel luogo indicato scopre che il provino è per trovare ragazze disposte a mettere su il primo show di Wrestling femminile, sotto la direzione di uno stravagante regista con problemi di dipendenza. Così il regista mette insieme un team di 14 donne, totalmente diverse tra loro e assolutamente estranee al mondo del Wrestling e a tutto ciò che ne comporta.
La serie, delinea i profili caratteriali e psicologici di ogni singola lottatrice, permettendoci di conoscerle nelle loro più intime sfaccettature, di entrare a far parte delle dinamiche che tra di loro si consumano quando sono costrette a vivere a stretto contatto. I loro diversi modi di approcciarsi ad un’avventura così nuova e insolita in cui sono obbligate a metterci tutte loro stesse e a interpretare dei ruoli stereotipati dell’America anni 80. Ad ogni donna, infatti, viene assegnato un personaggio che identifica l’estremizzazione e la canonizzazione di ciò che loro, a primo impatto, possano sembrare. Secondo il produttore, solo la versione stereotipata di loro stesse fornirà allo spettatore la giusta curiosità ed immedesimazione per continuare a guardare. È così che la ragazza dai tratti orientali diventa ‘Fortune Cookie’ e all’atleta muscolosa con lunghe e bionde trecce viene dato l’appellativo di Vicky the Viking. Le ragazze, inizialmente irritate, capiscono che rivestire i ruoli da cui cercano di sfuggire da una vita intera può essere un mezzo per farne una critica, trasformando la loro interpretazione impeccabile in una provocazione alla società odierna.
Tra problemi comportamentali, litigi, ansie da prestazione, vizi e dipendenza queste fantastiche donne rimangono in piedi e con l’aiuto l’una dell’altra, facendosi forza e lottando per riuscire a realizzare quello che finalmente le gratifica: poter utilizzare il loro corpo come fosse un’arma per loro stesse, averne padronanza, decidere quale sarà la storia da recitare e riuscire ad essere grandi e invincibili, dentro e fuori dal ring. Quattordici donne che si spalleggiano perché tutte, in un modo o nell’altro, sono state vittime silenziose di un crimine conosciuto e accettato da tutti. Tutte loro rappresentano la voglia di uscire fuori dagli schemi e di sbattere in faccia la loro forza ai mariti che le vogliono in casa ad accudire i bambini, ai padri che vedono per il loro futuro il matrimonio come unica condizione di felicità e ai datori di lavoro che le sfruttano senza riconoscerne i meriti.
Tutte queste tematiche ci sembrano però parte di una battaglia già combattuta e vinta. Ai tempi di grandi donne politiche che dirigono grandi paesi, di scienziate che hanno cambiato la vita al mondo intero con le loro scoperte, e di filosofe, scrittrici e pensatrici che con e loro idee e le loro parole hanno concesso al mondo un altro punto di vista, ai tempi in cui essere donna non dovrebbe essere una condizione di inferiorità, ma solo di parità, si sente ancora il bisogno di fare un passo indietro e di ricalcare le strade già battute in passato.
La serie mette in luce la volontà e le personalità di donne che il mondo non l’hanno cambiato, ma con la loro forza e la loro volontà di emanciparsi dall’universo fallocentrico in cui sono vissute, hanno contribuito al cambiamento di cui noi tutte beneficiamo. Nell’ottica innegabile in cui le grandi rivoluzioni vengono fatte quotidianamente da persone comuni, la trama di questa nuova serie tv esalta le donne, le ragazze, le madre e le mogli che si sono aggrappate ai loro diritti d’uguaglianza e hanno mostrato con perseveranza la loro forza e rispettabilità.
La dieci puntate delle prima stagione di Glow ci conferiscono una nuova chiave di lettura del femminismo che punta lo sguardo sulle ‘donne normali’ che hanno combattuto, anche inconsapevolmente, giorno per giorno. Non esaltando i personaggi noti e iconici del femminismo, ma mostrandoci le grandi piccole imprese fatte da donne, tanto normali quanto esemplari, nel mondo distorto in cui si sono trovate a vivere. Ci mostra le battaglie che le portano a risplendere in un contesto totalmente maschile come quello del Wrestling.
Le ideatrici Liz Flahive e Carly Mensch hanno scritto una serie che racconta il Wrestling degli anni 80 come allegoria della condizione femminile di quegli anni, con la produzione di una veterana del genere come Jenji Kohan che nella sua lunga e gloriosa carriera costellata da femminismo ci ha accompagnate da Sex and the City fino ad Una mamma per amica, passando per Will&Grace fino ad arrivare al più recente Orange is the New Black, fornendoci esempi di grandi figure femminili ed invitando le donne di ogni età e generazione a sentirsi gratificate, forti, mai sottomesse o inferiori, mai deboli, sempre indipendenti.