Gli scatti di Salgado mostrano il grido silenzioso alla tutela del pianeta

Entrare in una sola stanza e, stando fermi, girare il mondo alla scoperta di luoghi del nostro pianeta che, mai come adesso, deve essere salvaguardato. È la mostra Genesi, in esposizione alla Reggia di Venaria a Torino: il silenzioso grido di allarme del fotografo documentarista brasiliano Sebastião Salgado, a cura di sua moglie Lélia Wanick Salgado, su progetto di Contrasto e Amazonas Images. Con più di duecento immagini in bianco e nero, la mostra racconta il mondo vergine, quello delle origini, immortalando luoghi del pianeta ai più irraggiungibili, dove la mano dell’uomo ancora non ha lasciato impronte indelebili. Con un obiettivo: che si lotti perché continui a essere così.
Cinque sezioni distinte, quante sono le aree geografiche attraversate, racchiudono il viaggio fotografico che narra un solo patrimonio, in un progetto iniziato nel 2003 e durato 10 anni. Scoprendo tribù sconosciute, animali maestosi e soprattutto paesaggi immensi, regioni del pianeta in cui la vista non viene interrotta dai grattacieli e le uniche buche del terreno sono rifugi creati dagli animali, con un clima così sfavorevole che solo poche caparbie tribù hanno deciso di stabilirvisi.

È lo stesso autore che, grazie all’audioguida, racconta le emozioni e le difficoltà vissute per raggiungere angoli dimenticati e luoghi così lontani da sembrare paralleli. Il suo è uno sguardo appassionato sui paesaggi che cambiano, sulle varietà di specie che mutano, in un’immersione che accompagna i visitatori dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, della Nuova Guinea, dell’Indonesia agli iceberg dell’Antartide, dalla foresta boreale dell’Alaska alle dune dei deserti americani, alle tribù africane fino a raggiungere l’America, il Cile e la Siberia.

Il viaggio inizia nel Pianeta Sud, con i 750mila pinguini, le foche e gli elefanti marini che lo abitano. Spostandosi a piedi con le tende nelle Ande meridionali, o su imbarcazioni per settimane, il fotografo ha immortalato il costante “brontolio dei ghiacciai” e il clima rigido. Nonostante gli ostacoli è riuscito nell’obiettivo di scovare balene di 40 tonnellate e “accarezzarle”, dovendo affrontare le leggi della natura, così crudeli quanto intoccabili, anche di fronte a un’orca che mangia un cucciolo di leone marino. “Avevo davvero l’impressione di essere arrivato in capo al mondo”, ricorda Sebastião Salgado.

Lasciato l’Antartide il viaggio prosegue tra i Santuari, nelle Galapagos – “straordinario laboratorio naturale che ispirò la teoria di Charles Darwin” – e nel Madagascar, con le sue oltre 100 specie di lemuri. Negli scatti, la varietà territoriale con formazioni geologiche simili a stalattiti alte dai 50 ai 100 metri, quella vegetale con i Baobab e infine la ricchezza umana, incontrando nelle foreste alcune delle oltre 1000 etnie del territorio, tra la Papua Nuova Guinea e la Papua occidentale.

Il salto fino al continente africano, terza tappa della mostra, è breve: “Con Genesi ho documentato un’Africa apparentemente eterna”, scevra delle difficoltà che il fotografo aveva già raccontato nei suoi lavori passati, come carestie o proteste sociali. Ha immortalato “i paesaggi maestosi e la natura selvaggia mozzafiato”, raggiungendo Namib, deserto della Namibia, con dune alte fino a 300 metri e sfidando i rinoceronti neri “troppo minacciosi” per avvicinarsi e fare una foto. Ostacoli passeggeri sul viaggio che, in Africa, è proseguito con i 55 giorni di camminata verso l’Etiopia settentrionale e il volo in mongolfiera sullo Zambia dove “la natura quasi non si accorgeva della nostra presenza”.

Le Terre del Nord, di ghiaccio, permafrost, tundra e nulla incarnano la quarta tappa. Sorvolando crateri fumanti e ghiacciai che “si allungano come dita di una mano” sulle rocce fino a scurirsi, Salgado racconta le tribù che migrano per inseguire stagioni e vita. Fino alla rigogliosa foresta Amazzonica con cui cala il sipario nell’ultimo capitolo. Amazzonia e Pantanal, la vita in tutti i sensi in quanto culla di innumerevoli specie vegetali e animali. E ancora vergine, mentre intorno industria, legname e urbanizzazione stanno lentamente intaccando la foresta, “lasciando enormi cicatrici”.

Quelle stesse cicatrici che in tutto il pianeta gli uomini lasciano attivamente e accettano passivamente, ma che hanno spinto Salgado ad agire. Perché se quel che è lontano dalla vista spesso non rientra tra le priorità, la mostra lo sbatte in faccia come un monito, una chiamata alle armi: cambiare per proteggere la vita, qualsiasi forma essa abbia. Per tornare alle origini, alla Genesi.

“Non possiamo continuare ancora a inquinare terreni, acqua e aria. Dobbiamo agire adesso per preservare le terre e i mari incontaminati, per proteggere i santuari naturali di animali e antichi popoli. E possiamo spingerci oltre, cercando di riparar ai danni che abbiamo causato”.

Salgado e sua moglie hanno contribuito alla causa con l’organizzazione no-profit Instituto Terra, riforestando una proprietà nel sud-est del Brasile e piantando circa due milioni di alberi di oltre 300 specie diverse. Ora con la mostra passano il testimone.

La mostra è visitabile fino al 16 settembre 2018 presso la Reggia di Venaria Reale, vicino Torino.

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