Cosa consente ad un essere umano di sfuggire alle mancanze e di non precipitare in un pozzo di violenza e di distruzione? Gli Affamati (Ponte Alle Grazie editore), esordio narrativo di Mattia Insolia, come me nella squadra dei redattori di questo magazine che è anche un laboratorio di narrazione, indaga la sorte di due fratelli senza niente e il loro tentativo di stare al mondo.
Siamo in un paese del Sud Italia, un posto stantio, asfittico, scontato, verso il quale i protagonisti nutrono biasimo e desiderio di separazione. Paolo e suo fratello minore Antonio vivono da soli in un appartamento fatiscente, pregno della loro inconfessabile disperazione, pena i pettegolezzi, le chiacchiere, le occhiate dei compaesani. La regola per entrambi è scacciare la sofferenza e non attraversarla: è una legge non scritta che ha fissato Paolo. Il loro padre è morto in circostanze che si chiariscono sul finale della storia. Di lui sappiamo che era alcolizzato e che sapeva trasformarsi in una bestia. La madre è scappata per salvarsi e li ha abbandonati. La vita non è stata gentile con questi due ventenni che si aggrappano l’uno all’altro per non annegare.
Antonio è il più giovane (diciannove anni), non lavora, bada alla casa e si fida ciecamente di Paolo. A differenza di quest’ultimo, non nasconde la sua vulnerabilità e ha scoperto che leggere storie gli fa del bene, in qualche modo gli sistema le idee. Paolo, ventidue anni, si spezza la schiena in un cantiere. Disprezza sé stesso e disprezza il suo capo, un uomo losco e viscido. Per Paolo sognare è un lusso e probabilmente è qualcosa che evita per non soffrire di più. Prova rabbia: in lui è un sentimento dominante. La tendenza all’annientamento che sente crescere e premere sul petto, l’assenza di benevolenza e di amor proprio ne fanno una mina pronta ad esplodere. Di Paolo non si scorge il fondo: è un pescecane insaziabile, un cacciatore di emozioni senza metodo, in equilibrio instabile tra luce ed oscurità e sa essere crudele. Antonio lo osserva, lo tiene d’occhio, talvolta lo segue ma se ne discosta: non vuole sguazzare in un pantano di impossibilità e frustrazioni.
Mattia Insolia e i suoi Affamati
L’amore negato è il loro anatema, un’emozione da cui stanno alla larga perché sanno che può graffiare. Si circondano di amici per niente speciali, massificati. Nessuno di loro è stato mai condotto oltre il proprio naso, oltre il proprio assedio quotidiano. Elevarsi non ha niente a che fare con l’anima, ma è uno status che si conquista con i soldi. È uno dei motivi per cui Paolo detesta Italo, un amico del fratello. Italo è benestante ed incarna le limitazioni e le disuguaglianze che incontra chi nasce e cresce povero in un luogo dove la precarietà esistenziale è direttamente proporzionale a quella delle strade e dei palazzi.
Certe periferie sono non luoghi, sono assedi, prigionie mascherate da sfortuna. Sono crinali, sono un modo di vedere. La metropoli è una sirena e in questo libro rappresenta l’alternativa. Le pagine di Mattia sono tragiche perché tragica è la traiettoria di questa storia familiare e di formazione. I personaggi ardono come torce e appiccano incendi ai quali non sanno sottrarsi. Frantumarsi e ricomporsi è ciò che fanno di continuo, finché non è più possibile tornare indietro ed annullare gli effetti di gesti irreparabili.
Gli Affamati mette in chiaro che non tutte le adolescenze si assomigliano e che diventare adulti è una strada tortuosa, ambigua, lungo la quale è facile smarrirsi senza avere idea su come scavalcare l’angoscia per una dannazione imminente. Leggendo il libro ho ripensato a Tondelli, ho ritrovato certe risonanze dello scrittore emiliano. Qualcosa nel fraseggio e nell’impetuosità dei protagonisti, credo. Tondelli come Insolia affonda le mani nell’irrequietezza che diventa scandalo e aggressione, nella bramosia e nella penuria. Nel sentimento che diventa foga e poi negazione. La lingua di Mattia è precisa, dinamica, non fa una grinza. Il modo in cui srotola la trama, la gestisce, la padronanza nel ricreare riflessi tra i gesti e i pensieri dei personaggi e ciò che gli si contorce dentro, la fiducia che infonde nel lettore fin dall’incipit, testimoniano che Mattia è un narratore: la sua voce non si dimentica, i suoi ragazzi neanche.