Ci sono alcuni album capaci di colpire subito le parti più intime del cuore di chi l’ascolta. Forse dipende da un sound accattivante, da una voce sussurrata e sensuale, dal modo in cui gli strumenti si amalgamano per diventare un unicum. Fatto sta che alcuni album colpiscono sin dalle prime battute e This Wild Willing è uno di questi.
Già anticipato dal singolo I’ll Be You, Be Me, che è anche la prima traccia, Glen Hansard dà inizio a questo suo quarto lavoro da solista con una tranquillità apparente, una voce sussurrata che lentamente si trasforma in un litania dalle tendenze drammatiche e sembra quasi trasformare la canzone in qualcosa di diverso dalla sua idea iniziale. L’orchestra e le voci si gonfiano sul finale attraverso un crescendo di tre minuti mentre la voce di Hansard rimane misurata.
I’ll be you, be me and I’ll be you
I’ll take your truth, your lies, your secrets
And how ‘bout you be me and I’ll be you
I love your strength, your pride, your weakness
È un modo potente per iniziare un album, un modo abbastanza esplicito per far capire all’ascoltatore che in questo lavoro l’obiettivo è stato anche un po’ quello di spingersi oltre determinati confini stilistici.
Il sound è ancora quello tipico della musica folk con chitarre acustiche che incontrano pianoforte, violino, organi e altri strumenti, ma qualcosa è cambiato: il focus infatti non è tanto nel testo o nella storia ma più nelle suggestioni che l’unione di musica e parole sono capaci di provocare.
This Wild Willing rappresenta un decisivo passo in avanti nella carriera “post-Once” di Hansard, che resta comunque fortemente legato alle sue radici irlandesi seguendo ritmi a volte leggeri ma sempre tendenti all’ipnotico, a volte struggenti che culminano in vere e proprie esplosioni come in Fool’s Game. Proprio questa è una delle canzoni più riuscite del disco: il racconto di Glen è dolce e delicato ma è l’aggiunta, sul finale, della voce di Aida Shahghasemi a rendere il tutto incantevole. L’artista iraniana infatti, come ha raccontato lo stesso Hansard, durante una delle registrazioni è passata dal suonare le percussioni al cantare un ghazal (componimento poetico) del celebre poeta persiano Rumi. Il risultato è un momento magico, come un’epifania.
It’s a speeding train
Beating through the pouring rain
With no way to slow or stop it
And the tracks are broken
E così l’album continua, e la sua seconda parte sembra più intima della prima. Tracce come Weight of the World, Who’s Gonna Be Your Baby Now e Leave a Light, sono un mix vincente di innovazione e nuovi suoni mentre Brother’s Keeper segue una melodia che ricorda quelle esecuzioni dal vivo fatte da un amico particolarmente bravo nell’arpeggio, così come Mary, che vanta però un’aggiunta di note dal tocco mediorientale.
A colpire non sono solo le diverse sperimentazioni sonore che pervadono il disco, che in effetti è stato inciso a Parigi ed è frutto di diverse collaborazioni tra cui quella con i fratelli iraniani Khoshravesh, ma è anche la capacità di seguire un racconto non convenzionale, giocando anche sulla durata dei pezzi, tanto che molti superano i 4 minuti.
E proprio Good Life of Song, il penultimo brano, è il più lungo nella durata e racconta una voglia di rivincita con una chitarra acustica accarezzata in modo accattivante ed armonie che diventano complete grazie all’intervento di pianoforte, flauto arioso e fisarmonica. I molteplici arrangiamenti si fondono perfettamente per mettere a fuoco ogni strumento ed è difficile non lasciarsi trasportare dalla bellezza e dalla tranquillità di questo puro talento per poco più di sette minuti.
La voce di Glen Hansard è così rasserenante che nell’ascolto di questo disco sembra quasi di trovare riparo dal caos vorticoso che a volte si scatena nella nostra testa e nella nostra vita. E se queste 12 tracce non dovessero riuscire a scacciare del tutto la confusione, possono senza dubbio renderla dannatamente piacevole.