Avete presente quella sensazione che vi arriva addosso in quei momenti in cui la vostra vita sembra la scena di un film? Siete sul bus e guardate fuori dal finestrino, siete in casa stesi sul letto con un libro a farvi compagnia, siete in macchina da soli, il mondo intorno è buio, se solo ne aveste il coraggio potreste lasciare tutto e partire lontano. Quei momenti in cui l’unica cosa che manca è una colonna sonora azzeccata, così cercate nella vostra memoria la canzone che più potrebbe rendere epico, o semplicemente cinematografico quel particolare momento e schiacciate PLAY nella vostra testa. A volte succede anche il contrario però, succede di ascoltare un album e chiedersi quanti momenti, quante avventure andrebbero vissute proprio con quella traccia in sottofondo.
Ecco, questa è esattamente la sensazione che si prova ascoltando il nuovo album dei Girlpool. Fuori il 1 febbraio, What Chaos Is Imaginary segna un decisivo passo in avanti per il duo indie-rock californiano, un terzo album che forse più degli altri risulta potente, ammaliante, intrigante. Traccia dopo traccia la band conferma di avere ancora lo stesso talento per la scrittura di un tempo e quello spirito ribelle capace di catturare il disagio della vita moderna, dove non ci sono certezze e l’unico modo per cavarsela è smettere di seguire le regole.
Everything’s overrated
I’m watching from too close
I’ll take one ticket to heaven
Dress up as the Holy Ghost
Il ritmo esplora molteplici sfumature di strumentazione e struttura, conseguenza del fatto che il duo, già dal precedente album Powerplant, si è arricchito di una band che tuttavia non ne ha snaturato la potenza iniziale. Si riconosce chiaramente lo stile Girlpool, ma ora c’è forse qualcosa di nuovo, ma non troppo, figlio del dream-pop e della musica anni ’90 al confine tra l’emo e l’indie rock.
Inizia con synth dai suoni freddi prima di gonfiarsi con chitarre e un’orchestra d’archi, singolo What Chaos Is Imaginary, che dà il nome all’album e che ne ha anticipato l’uscita. Ma alla dolcezza della voce in falsetto che come una carezza accompagna tutto il brano, si alternano momenti di rock più tradizionale nei 3 minuti di Hire con la voce rotta e graffiata di Cleo, che sta attraversando un percorso di terapia ormonale e che ha un vago ricordo di Elliot Smith. Senza ombra di dubbio questo album segna una crescita: Cleo e Harmony non sono più due adolescenti che si accontentano di voce e chitarra per comunicare un disagio esistenziale. I suoni sono diversi, così come lo sono le voci, e sono diversi anche i temi di cui canta la band. Insomma l’intero contesto si è evoluto. Fino ad ora non c’era mai stata una distinzione chiara tra Tucker e Tavidad, ora invece si sente nella voce, nei testi, nel sound.
Eppure What Chaos Is Imaginary funziona ancora perfettamente come un insieme coeso. Le armonie sognanti sono capaci di creare immagini precise, che durante l’ascolto permettono un viaggio tra posti sconosciuti e non familiari, prati erbosi, domeniche. O forse posti ancora peggiori, quelli del lato oscuro che emerge in Chemical Freeze, un gelido sussurro guidato da una chitarra elettrica. Un mondo che alterna una futile ma divertente mondanità ad una solitudine spaventosa, dove ogni sentimento viene nascosto, tenuto segreto.
I’ll meet you in the morning
Figure out what gets me past
A second in the shade
Fucking up a useful place
Purgatory please me
What Chaos Is Imaginary è un album che segna un progresso, un nuovo livello di profondità del suono che si spinge verso nuovi e stimolanti territori e trasporta con sè chi l’ascolta. Qualcosa di chiaro e diretto però resta della vecchia formazione e dei teenagers di ieri: una vulnerabilità e un lirismo poetico forti abbastanza da rendere questo album multi-dimensionale.
a cura di Fiorella Di Cillo