Scritto nel 1999 e ora ripubblicato da Fazi, Il Bufalo della Notte è il secondo romanzo scritto da Guillermo Arriaga, messicano, classe 1958, noto al grande pubblico soprattutto come sceneggiatore della Trilogia della Morte di Alejandro González Iñárritu (Amores perros, 21 grammi e Babel) e de Le tre sepolture di Tommy Lee Jones (Premio alla miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2005) oltre che come regista, a sua volta, di The Burning Plain – Il confine della solitudine (2008).
La pallottola attraversò in diagonale il cervello facendo esplodere al suo passaggio arterie, neuroni, desideri, tenerezze, odii, ossa. Gregorio stramazzò sulle mattonelle con due buchi nel cranio. Stava per compiere ventitré anni.
Il Bufalo della Notte, terzo romanzo di Arriaga, che ha continuato ad affiancare al lavoro di sceneggiatore quello di scrittore, è la storia di un’amicizia, di un triangolo amoroso spazzato via da un colpo di pistola con il quale Gregorio, schizofrenico, si toglie la vita dopo aver abilmente camuffato la sua guarigione nei mesi passati in manicomio. A ricordare gli eventi e a vivere in prima persona gli sviluppi di questa storia sarà Manuel, amico fraterno di Gregorio con cui anni prima ha condiviso il tatuaggio di un bufalo, appunto, e in segreto l’amore e la passione per la stessa donna, Tania.
Su sua iniziativa, entrambi ci eravamo tatuati la sagoma di un bufalo americano sul braccio sinistro. Gregorio aveva anche preteso che ci tatuassero con gli stessi aghi, perché il colore si mischiasse col sangue e ci marchiasse per sempre.[…] Gregorio mi accerchiava lentamente, in silenzio. A poco a poco cominciò a controllare tutti i miei gesti quotidiani. La sua presenza – anche a distanza – mi soggiogava, mi imprigionava. Troppo tardi compresi che il senso di quel tatuaggio era quello di consolidare il suo assedio, di perseguitarmi fin dentro il mio corpo, attraverso il mio corpo stesso.
Il suicidio di Gregorio metterà in moto una catena di eventi in cui Manuel cercherà di mettere ordine in un continuo riflesso tra le difficoltà di un presente e il ricordo inevitabile di un passato che continua a parlare ai protagonisti. Il Bufalo della Notte è un noir dai toni metafisici, ambientato in una Città del Messico notturna, dove la violenza di quel colpo di pistola rimanda a una violenza molto più sottile come la pioggia che cade incessante lungo gli episodi della storia. La copertina della nuova edizione, bellissima, è rappresentativa di una storia, dove a dominare è la gioventù con tutto il suo carico di incertezze, di paure, di ancóre cui aggrapparsi, ma anche di sfrontatezza, desiderio sessuale, di violenza, di ricerca di un’affermazione di sé che sembra tagliare fuori gli adulti. I genitori, le famiglie si muovono sullo sfondo dentro case da cui sembra non esserci altra scelta che quella della fuga; genitori che nulla immaginano o conoscono della vita dei figli e che si affidano, invano, a una rete di continue chiamate telefoniche tra amici, compagni di classe che confondono e nascondono le tracce.
I giovani protagonisti de Il Bufalo della Notte sono irrimediabilmente già colpevoli, contaminati dai mali di una società più grande, sognano aspirazioni più grandi di loro che s’infrangono nella realtà quotidiana dello squallore di un Motel, quella stanza 803 che si fa personaggio a sua volta in cui si consumano le ore dei protagonisti. Il sesso sembra essere l’unica fuga, la nudità dei corpi come un rimando a un bisogno di sincerità che non può essere risolto fuori da quella stanza, nella vita di ogni giorno.
La fame di Manuel, di corpi femminili, di verità, nella ricerca di una vita da adulto è, insieme, una fuga dalla responsabilità, da un confronto con quello che lo circonda, e affermazione di uno spirito selvaggio; non a caso il romanzo è attraversato da animali: gli insetti (le forbicine) che Gregorio sentiva scorrere sotto la sua pelle, i giaguari nelle gabbie dello zoo dove Tania trascorre il tempo, le farfalle nere che Manuel torturava da bambino con uno spillo e il bufalo naturalmente.
All’inizio non prestai attenzione al tatuaggio, ma nel giro di qualche mese la figura del bufalo divenne un simbolo sempre più intollerabile. La sola vista del mio bicipite sinistro mi faceva imbestialire: ero caduto di nuovo in una delle trappole ordite da Gregorio nel suo frenetico gioco di ossessioni.
Pagina dopo pagina, ecco emergere la trappola di Gregorio dall’oltretomba, una serie di segni, di foglietti, di lettere che continuano il dialogo con i due lati del triangolo. Il bisonte (come ci ricorda Omar Rodriguez-Lopez, Se Dice Bisonte, No Bufalo, dal titolo del disco ispirato al film tratto dal romanzo e diretto da Jorge Hernandez Aldana) non è solo il legame con il passato che non può essere cancellato (Pur essendomi massacrato il braccio non riuscii a portare a termine il mio proposito e ancora adesso, sotto la pelle, si intravedono i tratti sfumati del bufalo azzurro) ma si fa metafora del presente, della vera parte di sé che la drammaticità degli eventi metterà a nudo.
Quella notte, comunque, non dormii tranquillo. Mi risvegliai più volte con la sensazione che un animale grande e collerico mi respirasse accanto. Ne sentivo i rantoli, il caldo delle esalazioni, allora mi alzavo a sedere e aprivo gli occhi. I respiri si spegnevano nel buio. Non c’era nessuno nella stanza. Quell’animale respirava dentro di me.
Come Gregorio intorno ai suoi amici, così Arriaga tesse abilmente la sua tela intorno al lettore: il linguaggio è sempre chiaro e asciutto, brevi i capitoli, delineati psicologicamente con concisi ma esaustivi tratti anche i personaggi minori, le piccole situazioni quotidiane e familiari. Nella prima parte sfrutta appieno tutti gli elementi del noir, costruendo un racconto da cui è difficile staccarsi. Nella seconda, complice l’assenza di un vero coup de théâtre perde qualcosa dello smalto iniziale e in tensione sul finale; del resto il noir iniziale assume sempre più le sembianze di una strada senza via di uscita che all’ansia e all’angoscia dei misteri iniziali lascia subentrare una più realistica e amara constatazione del destino misero in cui si muovono i personaggi.
Su tutto resta lo splendido affresco, come un murale notturno di una gioventù messicana bruciata, consumata nella banalità del quotidiano, di un male dal quale sembra impossibile fuggire via.
Presi il libro. Sulla pagina che era rimasta aperta, Tania aveva evidenziato con il pennarello azzurro una frase: «Prima che esseri umani, siamo animali»; al margine aveva appuntato con la sua grafia diseguale: «E molto prima siamo demoni».