Giovanni Lindo Ferretti @ Casa della Musica

22 Marzo 2012

Casa della Musica, Napoli


Questo è un report partigiano, nessun riferimento alla Resistenza, per carità, non c’è alcuna necessità di scomodarla, è molto più semplicemente, un’opinione di parte. Ritrovarsi a descrivere in una pagina, in un articolo, quelle emozioni che mi hanno attraversato nell’arco di due ore scarse di concerto e che mi hanno rimandato a ben altre storie di vita, la mia, non è cosa semplice.

Soprattutto se i brividi di una serata te li porti dietro fino al mattino dopo, perché era davvero troppo tempo che non ci si ubriacava con quelle parole, troppo profonde, troppo importanti. Ho pensato per un attimo che il muro ideologico che si è d’un tratto innalzato tra il pubblico degli anni ’90 e Ferretti,  a valle della sua presunta conversione, avrebbe frenato molti, che sarebbero rimasti a casa a sbottare sul presunto tradimento, perché la linea non esiste più ed è inutile restare fedeli. Non è stato così. Le sedie che riempivano un’insolita Casa della Musica erano tutte occupate e dico quasi perché molti hanno preferito provare in piedi, o adagiati sul pavimento, quelle stesse emozioni che il sottoscritto tenterà di descrivere. La scena è vuota, scarna, due leggii, due amplificatori, non c’è la batteria. Salgono in tre sul palco: Giolindo centrale, con le mani affondate nelle tasche, il capo chino, quell’esile figura che riempie la scena col suo salmodiare baritono, con la forza delle sue parole, il suo modo buffo di contorcersi. Ai lati non più Gianni Maroccolo e Giorgio Canali, ma altre due conoscenze di vecchia data: Luca Alfonso Rossi ed Ezio Bonicelli degli Üstmamò, ad alternarsi tra chitarre, violino, basso e programmazioni.

I primi sobbalzi ritmici introducono Depressione Caspica ed è subito un timido coro “No non ora non qui, no non ora non qui“, l’esecuzione è un po’ fredda, ma è il primo pezzo e un po’ di “riscaldamento” è comprensibile, soprattutto se dopo il primo brano, il sibilo della chitarra lascia preannunciare quello che è un vero inno generazionale: “A tratti percepisco tra indistinto brusio particolari in chiaro…“, mi volto e mi emoziono a vedere persone di tutte le età con quelle parole tra le labbra, sentirle proprie, bisognose di urlarle. Mi sento parte di qualcosa ed è un po’ come se la vita mi passasse davanti agli occhi. Sarà così per quasi due ore, perché ogni pezzo è un sobbalzo al cuore, portatore sano di stupore e bellezza. È tutto un alternarsi di brani dei CCCP e dei C.S.I., i P.G.R. non ci sono più, accantonati, sacrificati. E allora si può ricantare In viaggio, anche senza il controcanto di Ginevra, si possono sentire nelle ossa quelle frasi, ci si può ubriacare d’amore con Amandoti, e cantare Mi ami?, senza sentirsi all’ennesimo, nostalgico dj-set degli anni zero, così tanto amanti dei revival anni ’80.

Le canzoni di Giovanni sono duttili pezzi di plastilina, si plasmano tra le corde e nei campionamenti, assumono nuova veste, senza mai perdere la loro forza impositiva. Non c’è più il punk, ma quell’inconfondibile commistione di chitarra armoniosa e chitarra che disturba rimane, come rimane la poesia melodica di And The Radio Plays o di quel colpo al cuore che è Cupe Vampe, a ricordarci, per l’ennesima volta, che la storia negli ultimi dieci anni non è mai cambiata. Gli occhi sono lucidi e Annarella e Del Mondo non aiutano a trovare un po’ di pace. Ci penseranno i brani di Co.Dex, quei piccoli ritratti di modernità, depurati dall’elettronica, a riequilibrare l’anima prima dell’uscita di scena, prima di un bis che non lascia scampo alle poltroncine, che devi alzarti per andare sotto al palco. “Oggi è domenica, domani si muore, oggi mi vesto di seta ed amore“, sono le parole di Pier Paolo Pasolini a riempire le bocche, perché sul palco suonano Irata e non puoi non partecipare. Intenso il finale, con l’arabeggiante Radio Kabul e il pogo spontaneo che si sviluppa, coinvolgendo persone di ogni età, nel finale travolgente con Per me lo so.

Conforme a chi, conforme a cosa, conforme a quale strana posa“, nessuno potrebbe cantare queste parole con più dignità di Giovanni Lindo Ferretti, lui che non si è mai abbassato al pensiero dominante, che ha sempre ricercato una profondità e delle sfaccettature molto più grandi di quelle che, spesso, perfino i suoi ascoltatori riuscivano a sentire.

È stata una serata di sorrisi, di grande musica, di grandi canzoni, di ricordi di vita. Di cose che passano e lasciano il segno, che nemmeno il tempo, le idee, le mode, le opinioni e i pensieri possono scalfire. Resta e si sente sulla pelle, come un tatuaggio fresco, come una linea indelebile.


Foto a cura di Lucio Carbonelli


Setlist:

  1. Depressione Caspica
  2. A tratti
  3. In viaggio
  4. Amandoti
  5. Tomorrow (Voulez vous un rendez vous)
  6. Mi ami
  7. And The Radio Plays
  8. Ongii
  9. Cupe Vampe
  10. Annarella
  11. Del mondo
  12. Neukolln
  13. Cadevo
  14. Polvere
  15. Morire
  16. Barbaro
  17. Irata
  18. Tu menti
  19. Radio Kabul
  20. M’importa na sega
  21. Per me lo so
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