Giardini di Mirò – Rapsodia Satanica

Non so d’amore: solo so di languori musicali, d’aride ebbrezze dentro il pugno chiuse; or ora io suonava un notturno di Chopin, poiché tutto silente s’era fatto il castello più grigio del dicembre: un mondo di fantasimi avvolgeva la fronte, scaturiti dalla musica: onda di sogno, onda d’amore, lenta onda d’oblìo… (Fausto Maria Martini, Rapsodia Satanica)

Rapsodia Satanica è la storia faustiana di Alba d’Oltrevita, anziana aristocratica che vende l’amore a Mefistofele in cambio dell’eterna giovinezza. Dal soggetto di Fausto Maria Martini il regista Nino Oxilia, nel 1917, ricavò uno dei lungometraggi più importanti della sua generazione, la cui colonna sonora fu realizzata, neanche a dirlo, da un certo Pietro Mascagni. Quasi cento anni dopo, proseguendo la direzione intrapresa con Il Fuoco del 2009, i Giardini di Mirò ricreano la colonna sonora del film, realizzando un album profondo e sconvolgente, pensato per accompagnare le immagini di Oxilia e il testo di Martini, ma tutt’altro che dipendente dalla parte scenica. Il pregio di avere un canovaccio da cui attingere è quello di poter creare una trama funzionale a quello che si racconta ma, a volte, rischia anche di influenzare così tanto da limitare lo spazio in cui intervenire artisticamente. Non è, però, il caso di questo album, capace di prendere quella trama e stravolgerla in tutto il suo percorso.

Le ricercate sonorità post rock ed elettroniche, tipicamente nello stile dei GDM, sono impreziosite da sfumature di blues psichedelico e ipnotico e da inaspettate punte di shoegaze malinconico che consentono il continuo mutare di sensazioni, senza che, davvero, la tensione venga allentata. L’atmosfera si fa buia a più riprese, seguendo gli ossessivi climax delle armonie, per poi riprendersi in un percorso di andata e ritorno in un inferno dalle tinte miltoniane: (O empirei Troni, O progenie del ciel, ben a ragione, Ancorché in noi l’usato ardir non manchi, Profondamente taciti e sospesi Stemmo finor: lungo è il cammino e duro Dall’Erebo alla luce, John Milton, Il paradiso perduto, II, 550-555). Quello che viene disegnato è un complesso intreccio musicale, oscuramente accogliente come solo alcuni sentimenti estremi sanno suscitare. Viene ripresa, innovandola, la composizione originale di Mascagni, a cui viene dato un timbro più profondo e contemporaneo. I Giardini di Mirò non lasciano che la composizione del compositore livornese si impadronisca del palco, trasformando la sua struttura classica in una sperimentale, mantenendo così le mani salde sulla direzione intrapresa, realizzando un omaggio, più che una rielaborazione.

Estremo e complicato come tutti i dischi dei Giardini di Mirò, questa Rapsodia Satanica si muove da un estremo all’altro senza sosta, buttando l’ascoltatore nel vortice della vanità di Alba e nel sacrificio di Sergio, la cui storia d’amore non corrisposto e doloroso sembra conquistare, per intensità, il ruolo di protagonista nella trama del disco. Un album insidioso, capace di trascinare e abbattere e non lasciare più le cose com’erano prima.

Fermatevi un attimo ad ascoltare. Rapsodia Satanica è la terra perduta e ritrovata, i Giardini di Mirò i Virgilio del vostro cammino, non chiedetevi perché, fatelo e basta.


 

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