Guido Guerrieri è un avvocato penalista, ha poco più di 50 anni, i primi capelli bianchi, sa boxare, ama i libri, le citazioni e gira per Bari in bicicletta. Guido è una delle creature letterarie di Gianrico Carofiglio, quella con cui l’ex magistrato barese si è affacciato al mondo del romanzo. Correva l’anno 2002 quando Sellerio pubblicava Testimone inconsapevole, il primo caso di Guerrieri, all’epoca giovane penalista alle prese con la difesa del venditore ambulante Abdou contro l’accusa di omicidio, un matrimonio appena finito e tutto il senso di inadeguatezza che ne conseguiva.
Ero in ascensore, di ritorno dal tribunale e salivo al mio studio, all’ottavo piano quando, d’improvviso e senza una ragione, fui assalito dal panico. Uscito dall’ascensore, rimasi sul pianerottolo per un tempo indefinito, col respiro affannoso, sudori freddi, nausea, lo sguardo fisso su un estintore. E una paura terribile. […] cominciai ad essere ossessionato dall’idea che potesse succedere di nuovo. Così smisi di prendere l’ascensore. Fu una scelta stupida che contribuì ad aggravare le cose. Dopo qualche giorno, invece di stare meglio cominciai a temere che il panico potesse assalirmi dappertutto e in qualsiasi momento. (Testimone inconsapevole, pag 20-21)
Eccolo “l’eroe” di Carofiglio e del nuovo legal thriller italiano: un uomo a pezzi alle prese con un attacco di panico in ascensore, cosa che accade già nelle prime venti pagine del romanzo, quasi per mettere subito le cose in chiaro. L’avvocato Guerrieri non sarebbe stato l’eroe romantico tutto d’un pezzo del romanzo giudiziario americano, non avrebbe sfoggiato l’intuito brillante di Maigret, ma sarebbe stato un professionista di talento e un uomo incrinato vittima dell’insonnia, dell’ansia e del rimuginare frenetico. Fa un tentativo con uno psichiatra, ma la cosa non funziona e da quel momento affida soprattutto a Mr Sacco, il sacco da boxe malandato che ha in casa, i suoi monologhi interiori fatti di rimorsi e ironia.
Confesso di chiamare l’avvocato Guerrieri per nome sin dal primo romanzo, in uno slancio prepotente di affetto, perché quando ho iniziato a leggere Testimone inconsapevole ero a pezzi anche io, non prendevo l’ascensore e avevo dalla mia solo più fortuna con lo psicoterapeuta. E trovare in un uomo adulto, con una carriera avviata e di successo, lo specchio del mio smarrimento nelle stesse strade che percorrevo per smaltire i ciclici drammi esistenziali, è stata un conforto inatteso. Si dice che i libri salvino la vita, ma io non darò questa responsabilità a Guido né a Carofiglio, sebbene in un firmacopie di Dicembre a Bari ho cercato di dirglielo balbettando. Non si trattava di cristi isterica da fangirl di ritorno, alla mia età poi, ma mi premeva comunicare che le incrinature di un animo in bilico lentamente si sanavano anche grazie a dei romanzi. Guido Guerrieri, mio fedele compagno di crisi, ha contribuito a proteggere la mia mente dal dolore di alcuni ragionamenti, aprendo la finestra su un mondo in cui, finalmente, anche gli uomini hanno uno spessore diverso dallo stereotipo del maschio bianco eterosessuale infallibile. I dodici romanzi di Carofiglio che ho letto in breve tempo mi hanno riconsegnato anche quella Bari splendente che l’ansia e le crisi esistenziali mi avevano tolto. Per questo sorrido “ferita” quando, a proposito di Carofiglio, si cita solo il romanzo giudiziario e lo si riduce a un caso vinto o fallito a seconda del titolo in questione. Mai come in questo caso l’espressione “andare a fondo” ha avuto più ragione di esistere.
La misura del tempo, Einaudi editore, è l’ultimo romanzo dell’autore barese, una candidatura al Premio Strega per un Guido Guerrieri invecchiato che si mantiene bene, ma è ancora più incline alla malinconia mentre si pone nuove domande sulla vita e sul lavoro.
Qualcuno ha scritto che bisognerebbe essere capaci di morire giovani. Non nel senso di morire davvero. Nel senso di smettere di fare quello che fai quando ti accorgi di avere esaurito la voglia di farlo, o le forze; o quando ti accorgi di avere raggiunto i confini del tuo talento, se ne possiedi uno. (La misura del tempo, pag 4)
Pur nelle incertezze che avanzano, Guido rimane il solito “eroe riluttante” i cui monologhi interiori finiscono con il suo proverbiale «Non dissi nulla di tutto questo», mentre un po’ parla a sé e un po’ al lettore nei suoi attacchi di inadeguatezza. È capace di riflessioni enormi con un collega incontrato per caso e poi subito brillare nella professione quando parla ad una platea di tirocinanti. I giuristi devono «nutrirsi di buone storie», dice loro, perché solo così si potranno rendersi conto che «non esiste una sola risposta di fronte ai dilemmi umani». Guido è saggio anche se non lo sa, è competente, incline alla battuta facile, ma ciononostante continua a non essere un eroe assoluto. All’inizio de La misura del tempo c’è l’incontro con Lorenza, una donna conosciuta nel 1987, per la quale aveva subito una forte fascinazione e che ora chiede il suo aiuto per scagionare il figlio accusato di omicidio. Il profilo di Lorenza è impietoso. In gioventù «apparteneva ad una dimensione esistenziale diversa» da quella di Guido, ora è una donna appassita, fumatrice incallita e triste, emblema di tutti coloro per i quali abbiamo intravisto, con una punta di invidia, un futuro fulgido e superiore, e che poi a distanza di anni sono sfioriti schiacciati dal peso di sfortuna, inconsistenza e bollette. Il tempo, quell’entità sfuggevole che Carofiglio rincorre per tutto il romanzo, è stato duro con Lorenza, le ha spento la fantasia e lo stupore di Guido è sincero quando se la ritrova davanti. Sul filo di questo tempo sfuggevole e antico, Carofiglio costruisce un romanzo che viaggia sul doppio binario del presente e del ricordo: nel passato è un romanzo di formazione in cui Guido insegue, invano, lo splendore di Lorenza; nel presente è la vicenda giudiziaria a prendere forma in tutta la sua complessità. L’impianto generale dei romanzi di Gianrico Carofiglio, soprattutto della serie dedicata a Guido Guerrieri, rimane quello del thriller legale, il piano più evidente ai lettori, ma anche il più superficiale. C’è tutta un’altra dimensione, quella emotiva, che vede crescere più personaggi nell’arco di sei romanzi e confeziona per Guido uno spessore umano invidiabile nella sua solidità apparente e nelle grandi contraddizioni. Guerrieri non è solo tecnicismi giuridici e bellezza dell’eloquio, principe del foro che nobilita la professione di avvocato; Guido, in realtà, è un uomo così ben scritto da sembrare reale. Perché dopo la lettura dei sei romanzi la sensazione è che in questa Bari luminosa, fresca e piena di vento, ci sia davvero Guido a vagare sicuro in bici o coi piedi a mollo nel mare in attesa di una sentenza.
Foto: Alessia Ragno
La Bari di Guido Guerrieri è una città verace e accogliente e Carofiglio, narratore instancabile della sua terra, l’ha accompagnata nella sua trasformazione rompendo gli schemi del romanzo italiano che ha di fatto dimenticato la Puglia. Tuttora Bari e provincia sono relegate ad essere luoghi “esotici” di vacanza, sopravvivono per una stagione estiva di qualche turista annoiato e poi vengono dimenticate. In questi romanzi, invece, Bari non solo assume una dimensione elegante e noir, ma Carofiglio la eleva senza mentire. C’è la Bari del mare, della pineta San Francesco, del centro elegante e moderno (soprattutto in quest’ultimo romanzo), ma anche quella più violenta e spigolosa del dialetto stretto e gutturale, della malavita locale; o, ancora, quella media del maschio che parla solo “della Bari”, la squadra di calcio, e dei migliori frutti di mare crudi. A girare per questa città multiforme c’è la netta sensazione di poter incontrare Guido perché è un personaggio tangibile come Montalbano e non muore sulla carta. Speri di ritrovarlo tra i professionisti in giacca che popolano il Murattiano assolato, il quartiere di Bari più centrale e antico, oppure seduto nei ristoranti biologici del centro a studiare le sue carte, o ancora a leggere in libreria sui divanetti neri stretto ad altri lettori pensierosi come lui. Ma Guido è anche nelle pizzerie della periferia, di quelle in cui a penna ti segnano il conto sulla tovaglietta di carta, dove il panzerotto fritto è una religione e sono i pizzaioli più anziani a girarli ritmicamente in vasche di olio bollente con due forchette deformi. Bari è nei luoghi fittizi che la penna di Carofiglio ha inventato, che son quasi reali anche loro, e nel maestoso lungomare di pietra e ghisa che i baresi di nascita e adozione hanno ora il privilegio di poter ritrovare sulla carta.
Il lungomare era di una bellezza metafisica. L’aria era nitida, leggera e palpabile a un tempo. La prospettiva dei lampioni di ghisa suggeriva l’idea di un esercito di spiriti guida posto a difesa della città. In una giornata del genere […] avrei potuto vedere, netta il lontananza, la sagoma del Gargano. (La misura del tempo, pag 166)
Guido è Bari e Bari è tutta dentro Guido, nei suoi passi pesanti e nelle pedalate leggere mentre si muove in questo profondo Sud antico che impara a essere moderno e che, prendendo in prestito le parole di una Lorenza giovane e ispirata, a noi lettori, e anche ai baresi, «non ce lo potrà togliere più nessuno. Nostro per sempre».