Il laboratorio letterario dell’Iran è il cuore di “Iran Under 30”, raccolta di racconti di giovani autrici e autori esordienti iraniani curata da Giacomo Longhi, con le traduzioni di Melissa Fedi e Federica Ponzo, ed edito da Polidoro editore. Dodici storie frutto dei laboratori di scrittura di Mahsa Mohebali e Mohammad Tolouei, entrambi pubblicati in Italia nelle traduzioni di Longhi – Mohebali autrice di “Tehran Girl”, edito da Bompiani, Tolouei di “Le lezioni di papà”, edito da Ponte33. Un’operazione unica e di pregio questa di “Iran Under 30”, la prima raccolta di giovani penne iraniane mai pubblicata in Italia, penne capaci di tracciare una mappa ideale e contemporanea a cavallo tra rappresentazione urbana, echi del passato e quello che Longhi definisce «realismo straniato», il fil rouge dei dodici racconti. Il risultato è uno sguardo sorprendente su un paese la cui cultura, ampia e straordinaria, subisce il contraccolpo impietoso delle notizie di cronaca e della politica internazionale. Con questi racconti, invece, si scopre un mondo fatto di individualità e talenti letterari ben definiti che aspirano alla modernità e al futuro.
I temi portanti riguardano, quindi, la «narrazione urbana» dell’Iran, come la definisce la scrittrice Ginevra Lamberti nella sua prefazione alla raccolta, la modernità possibile di un paese governato da un regime di fortissima impronta religiosa e la distanza fra il potere e le giovani e i giovani che in Iran sono rimasti, a protestare anche quando possono. E proprio dalle proteste che nasce l’esigenza di questa rappresentazione della letteratura più giovane, perché il volume viene ideato all’indomani delle proteste di fine 2022 per la morte di Mahsa Jina Amini, giovane donna fermata dalla polizia morale iraniana per il velo, a loro dire, non indossato correttamente.
Nei racconti di “Iran Under 30” c’è tanta famiglia, donne moderne come quella rappresentata nella bellissima copertina – una foto di Pietro Masturzo -, padri padroni, ma anche anziani scrittori vicini di casa che incoraggiano il talento altrui, fratelli dal rapporto complicato, voci bambine che si raccontano in prima persona e quel tocco imprevedibile dell’insolito che sbuca qua e là senza mai stridere con lo scopo principale della narrazione: raccontare un paese «isolato e tendenzialmente isolazionista», nelle parole di Longhi, ma in qualche modo ancora collegato al resto del mondo tramite i social media e la tv satellitare. Ma soprattutto, in “Iran Under 30” c’è il profondo rispetto del lavoro di scrittura testimoniato anche dalle singole biografie di presentazione di ciascun autore e autrice che contestualizzano vite, talenti e ne svelano l’ironia e la vitalità.
Giacomo Longhi è un ricercatore ed esperto di letteratura persiana, nonché traduttore dall’arabo e dal persiano, ed è a lui che sono rivolte le Tre domande.
Le autrici e gli autori dei racconti contenuti in “Iran Under 30” sono persone che vivono in Iran e in esso provano a portare avanti un dialogo culturale. Nell’introduzione, inoltre, racconti il movimento che si è creato intorno ai corsi di scrittura, ora grazie al web possibile anche con autrici e autori della diaspora iraniana, cioè coloro che hanno lasciato il paese per ragioni politiche. Cosa racconta dell’Iran di oggi questa nuova letteratura e soprattutto come lo fa, che scrittura usa e che cosa dice dell’immaginario di ognuno dei partecipanti? E infine: qual è il motore ultimo, a tuo avviso, di questa giovane narrativa iraniana e come influisce la censura su di essa?
Esatto, con questa antologia ci tenevo proprio a dare spazio alle voci di chi vive in Iran. In Italia siamo ancora molto abituati a leggere la letteratura di questo paese quasi esclusivamente attraverso le voci della diaspora, e in particolare della diaspora che scrive nelle lingue occidentali e non in persiano. Conosciamo grandi autrici e autori come Azar Nafisi, Marjane Satrapi, Kader Abdolah, che scrivono in inglese, francese e olandese ma sappiamo poco di Shahrnush Parsipur e Abbas Maroufi, per esempio, anche loro esuli ma popolarissimi in Iran, dove i loro libri, scritti in persiano, circolano tuttora e sono dei best-seller e dove, come accennavi, hanno molte e molti allievi che seguono i loro corsi online.
Ciò avviene banalmente anche solo per il fatto che il persiano, qui da noi, non è una lingua molto conosciuta e quindi è meno accessibile per i nostri editori, ma così restiamo all’oscuro della vivace realtà culturale che concretamente anima il paese. Perché in Iran si scrive, si pubblica e si legge in persiano, con risultati spesso inaspettati per un contesto soffocato dalla censura. Le autrici e gli autori di “Iran Under 30” rappresentano l’ultimo tassello di una tradizione letteraria millenaria che da circa un secolo si sta rinnovando come non mai. Sono gli eredi della poesia sublime e raffinatissima di Hafez, Khayyam e Sa‘di ma anche di grandi sperimentatori del Novecento che hanno nutrito la letteratura persiana di influenze francesi e americane come Sadeq Hedayat e Sadeq Chubak. E proseguono ormai sull’onda di un ribaltamento che a partire dal 1969, con Simin Daneshvar, ha visto le donne emergere e imporsi come la nuova forza trainante del panorama letterario persiano, dopo secoli in cui erano state una minoranza. Il risultato è oggi una letteratura che veste un’immagine moderna, contemporanea, che spesso si ispira alla short-story americana nella sua concisione di linguaggio, nella costruzione del racconto, ma sempre profondamente radicata nella propria tradizione, in un gioco di detto e non detto, di significati impliciti che pongono un’affascinante sfida al lettore italiano.
In questa antologia troviamo un Iran molto più sfaccettato di quello che probabilmente occupa il nostro immaginario, meno appiattito sulla rappresentazione di un paese in conflitto con sé stesso ma dove invece emerge una quotidianità attraversata da desideri universali, con il desiderio di amore, di amicizia, di affermazione e anche di normalità. Le autrici e gli autori di questa raccolta si nutrono sia dell’esperienza del loro vissuto – c’è chi vive in provincia e chi a Tehran – sia delle loro passioni letterarie e cinematografiche. Il motore ultimo di questa letteratura infatti direi che è la passione per l’arte, per la letteratura, la voglia di entrare a far parte del gioco letterario che in Iran è costellato sì di ostacoli, come la censura, ma è anche fatto di premi (a Tehran pochi anni fa è stato istituito un premio per gli autori con meno di quarant’anni e uno per il migliore racconto sulla capitale), è fatto di serate di lettura, di rapporti con le riviste che sono spesso il primo trampolino di lancio, di negoziazioni con le case editrici, di competizione e voglia di avere successo.
La censura è spesso autocensura, spesso le linee rosse non vengono superate volontariamente da chi scrive per non alienarsi il mercato interno, quindi non troveremo in questi racconti provocazioni esplicite contro la religione, scene di sesso, manifesti politici. Eppure, tra le righe, emergono dei messaggi ambigui, provocatori? Forse. Le linee rosse sono sfiorate, forse, forse sono perfino superate, là dove una frase sfuma e sottrae l’argomento dalla luce del sole. Tocca a noi lettori aguzzare l’occhio e accorgerci. È una letteratura di zone d’ombra.
Hai raccontato che l’idea del progetto è nata all’indomani delle proteste per la morte di Mahsa Jina Amini. Come si è sviluppata, poi, la costruzione della raccolta a partire da quell’idea?
Sì, l’idea di fare un’antologia dedicata alle nuove generazioni dell’Iran ce l’avevo già da un po’, ma dopo le proteste che hanno scosso l’Iran al grido di “donna, vita, libertà” ho sentito l’urgenza di doverla realizzare. Ho pensato che fosse importante affiancare alla cronaca di quei tumultuosi giorni, in cui le giovani e i giovani iraniani si sono distinti per il loro sacrificio e per il loro grido di protesta, un racconto che ci permettesse di accedere a uno spazio più intimo e profondo, non per forza legato alla dimensione politica.
La realizzazione è stata un lavoro di squadra. Intanto l’idea ha incontrato subito l’entusiasmo di Adriano Corbi, direttore editoriale di Polidoro, che già da tempo voleva arricchire il catalogo della casa editrice con un progetto sull’Iran. Per scegliere i racconti mi sono affidato a due autori iraniani che traduco, Mahsa Mohebali e Mohammad Tolouei, a cui mi lega una lunga amicizia e una sintonia di gusti letterari. Entrambi tengono da anni corsi di scrittura in Iran e ho chiesto loro di propormi i lavori migliori dei loro allievi. E per tradurli ho coinvolto due colleghe studiose di lingua e letteratura persiana, Melissa Fedi e Federica Ponzo, con la speranza di ingrandire le fila di chi si cimenta nel faticoso mestiere della traduzione letteraria da questa lingua.
Infine, ci tenevo tantissimo a coinvolgere una voce letteraria italiana che aprisse l’antologia con una sua personale lettura e ho pensato subito a Ginevra Lamberti, che seguo dal suo “La questione più che altro” dove tra l’altro si incontra un esilarante cameo della facoltà di lingue euroasiatiche dell’università di Venezia. Volevo avere un punto di vista italiano e puramente letterario, il punto di vista di qualcuno che non studia la scrittura ma la pratica.
Quando ho acquistato la mia copia di “Iran Under 30”, scoperta per caso nella mia libreria di fiducia, avevo da poco finito di rileggere “Persepolis” di Marjane Satrapi. La generazione protagonista della raccolta è successiva a quella della fumettista e non ha conosciuto la rivoluzione del ‘79 né la guerra contro l’Iraq del 1980 che “Persepolis” racconta. Cosa è cambiato da allora che si può dedurre dalla lettura dei racconti? Che seme c’è in questa generazione di autrici e autori?
Forse si può dire che è una generazione più globalizzata, che assomiglia di più ai suoi coetanei nel mondo occidentale rispetto alla generazione di Marjane Satrapi. La generazione di Marjane aveva attraversato la rivoluzione e la guerra, mentre chi è nato in Iran tra anni Novanta e Duemila è cresciuto in un clima di relativa calma. Sebbene segnato da un forte isolamento a livello internazionale, sebbene colpito dalle sanzioni, l’Iran in questi anni è andato avanti insieme al resto del mondo e con internet i giovani hanno accesso a qualunque tipo di contenuto culturale. Per loro vedere un film americano, ascoltare K-pop, chattare in inglese con un amico in Canada o in Svezia è qualcosa di normale, non è più una conquista ma una possibilità data per assodata, azzarderei scontata. Quando dico che è una generazione globalizzata penso anche al fatto che uno degli eventi traumatici più importanti che l’hanno segnata, la pandemia del 2020, è stato un evento mondiale. Credo che questo sia uno dei motivi per cui i racconti dell’antologia appaiono molto universali e forse poco iraniani, poco persiani, soprattutto per chi si aspetta atmosfere “altre”. Eppure c’è dentro tutto l’Iran di oggi, un Iran fatto di persone che si sentono alla pari con il resto del mondo, che vogliono vivere come in un qualsiasi altro paese del mondo.
Una domanda extra, eccezionalmente. In un post su Instagram di fine 2022, quando le proteste per la morte di Mahsa Jina Amini erano appena iniziate, hai pubblicato una galleria di titoli di saggi e romanzi per approfondire gli avvenimenti e spiegarsi l’origine del motto “Donna, vita, libertà”, scandito in ogni protesta. A distanza di un anno ti chiedo, se c’è, un titolo da aggiungere a quella lista per chi vuole aumentare la propria consapevolezza.
Sì, nell’ultimo anno in Italia sono usciti alcuni saggi molto utili per approfondire il contesto sociale e politico dell’Iran di oggi. Il primo è “Strade di donne in Iran” di Rassa Ghaffari (Astarte 2023), che tra l’altro potrà aiutare a mettere meglio a fuoco le specificità delle giovani generazioni che hanno animato le recenti rivolte; poi consiglio “Iran, donne e rivolte” di Sara Hejazi (Scholé 2023), che offre una visione di insieme e ha il pregio della sintesi, e anche Iran. “Il tempo delle donne” di Luciana Borsatti (Castelvecchi 2023) e il volume “L’Iran contemporaneo” curato da Carlo Cereti (Brioschi 2023).