Il ritorno di Germanò con Piramidi

a cura di Giulia Gallo

Si era fatto conoscere (ed apprezzare) ormai tre anni fa con il suo album di debutto, Per cercare il ritmo, con cui aveva dimostrato il suo potenziale. Alex D’Andrea, in arte Germanò, il 10 aprile è tornato con Piramidi, il suo secondo lavoro, che in gran parte conferma ciò che avevamo già intuito. Il cantautore romano, sotto l’ala della Bomba Dischi, mostra infatti la sua personale crescita artistica attraverso un album che, nonostante prosegua in maniera evidente sulla scia del suo predecessore, evolve in atmosfere ancor più curate che in precedenza, dove l’elettronica diventa la protagonista (forse anche per il fatto di aver composto il tutto interamente al computer). Va detto inoltre che nella produzione è stato coadiuvato dalla mano sapiente di Matteo Cantaluppi, già collaboratore di alcuni dei nomi più famosi della scena itpop come TheGiornalisti, Ex-Otago, Canova e Dente.

In Piramidi sussiste quel particolare mix di pop, elettronica, disco music e cantautorato italiano, che strizza l’occhio anche all’indie-pop nostrano (soprattutto per quanto riguarda i testi, che in alcuni punti risultano forse ancora un po’ acerbi; inoltre, lo stile di canto ricorda, a tratti, quello di Tommaso Paradiso); è meno forte la presenza del jazz, che invece si avvertiva maggiormente nel primo disco. Gli elementi che compongono questo nuovo album sono molteplici e anche molto differenti tra loro: troviamo la sua abilità di “cantastorie”, soprattutto in Matteo non c’è (e che avevamo già imparato a conoscere con le scorse Grace e Dario), ma anche la sperimentazione, in Macao (un pezzo elettronico tutto giocato su un messaggio vocale), sentiamo gli echi dei Daft Punk in Enchantè e percepiamo quella soffusa malinconia di fondo tipica dell’indie-pop italiano, specialmente in Stasera esco e Ti sorprenderebbe. Questa eterogeneità si combina armonicamente nelle 10 canzoni che compongono il disco, caratterizzate da un sound accattivante e da ritornelli catchy, che non si riesce a smettere di canticchiare.

Vale la pena di scoprire e ascoltare Germanò, dato che si meriterebbe di essere più conosciuto di ciò che è ora: pur rientrando nella citata schiera dell’itpop, la sua musica dalle mille sfaccettature lo fa uscire un po’ dagli schemi già tracciati e rivela un talento non comune. In particolare, con questo album, riesce a definire meglio la sua identità, trovando quel ritmo di cui era alla ricerca nel primo disco. Si tratta dunque di una buona riconferma, che fa ben sperare per i suoi prossimi lavori.

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