Non so voi, ma crescendo nel profondo Veneto negli anni ‘90, Napoli era sinonimo di colera (in curva), di monnezza (in tv), di camorra (al cinema).
Mia nonna, pugliese, veniva chiamata affettuosamente dagli allora compaesani “Africa” o “Marocco” e a scuola il mio compagno delle medie napoletano aveva imparato presto a bestemmiare in veneto per essere accettato.
La prima volta a Napoli mi avevano consigliato di non portare orologi o collanine. Di non tenere la valigia verso la strada. Di non dar retta a nessuno. Oggi la più grande seccatura che ho quando scendo in città è l’over tourism e l’onnipresente odore di fritto quando vorrei essere a dieta.
In breve: sono cresciuto in una terra dove il meridionale veniva visto quantomeno con sospetto e il napoletano peggio.
Rapido fast foward. 2021, anno in cui credo di aver ascoltato Geolier per la prima volta. Era un feat con Guè, Blitz! su GVESUS. Quel pezzo che per intenderci fa: “Spero non facciano un blitz, spero non facciano un blitz…” ripetuto all’infinito nel ritornello. Ora immaginatelo urlato, un anno dopo, da 8mila persone, in faccia ad un cordone di sbirri che circonda il live dei due artisti, su un palco nel cuore di Scampia.
Forse è lì che mi è scattata la scintilla. Forse in quel momento ho capito che Emanuele Palumbo, in arte Geolier, era speciale. Un principe di Secondigliano nel suo elemento naturale e nel contempo un enfant prodige dell’industria che stava prendendo il volo.
Geolier poi lo ritrovo in altri feat. Noyz, Night Skinny, Emis, Luchè, Mace e moltissimi altri. È la dose di napoletanità di strada che arricchisce e indurisce le tracce, con quella voce bassa e roca e il dialetto stretto.
Credo che Geolier per un periodo abbia rappresentato un plugin che alcuni artisti hanno utilizzato per attirarsi la fanbase di Napoli. E nel contempo un modo per condire la loro street credibility, aggiungendo un ingrediente esotico per gli ascoltatori del nord.
Perché nel frattempo Napoli è diventata uno street brand di successo, congeniale al rap game. Geolier è forse il ragazzo giusto al momento giusto. Si ritrova ad essere il rappresentante più dotato ed efficace per portare quella roba ad un livello più alto.
E poi c’è poco da fare: per un non partenopeo il contenuto entry level per avvicinarsi a certi generi sono i cliché che, vuoi o non vuoi, sono la quotidianità dei quartieri difficili sotto il Vesuvio. Storiacce di strada, criminal vibes, storytelling del disagio. Il feticcio napoletano è il guilty pleasure di nuovi ascoltatori nella nebbiosa Padania.
E così, nel 2022, faccio di tutto per essere a Scampia. Alla Red Bull 64 Bars Live ci sono artisti come Fibra, Marra, Guè, Madame, Ernia. Non che abbia tutto questo background verticale sul rap. Le mie radici subculturali sono più nel punk (ma sono sempre stato molto curioso). Eppure la cornice delle Vele e la presenza di tutti quei big mi convincono a farmi 700 km.
In una line up così ricca sono soprattutto incuriosito da Geolier, il local hero che arriva in moto con un giubbetto antiproiettile e una scritta di Swarovski sul petto. Il live è una bomba e l’evento ha una portata storica. Così come la seconda edizione del 64 Bars. Così come il Marrageddon, dove Emanuele partecipa, sempre accanto agli stessi king, ma questa volta con le spalle più grosse. Perché nel frattempo è uscito Il coraggio dei bambini che ha conquistato 4 dischi di platino ed è l’album più venduto in Italia.
Sempre nel 2023 tocca il miliardo di stream su Spotify e tocca i 5,8 milioni di ascoltatori mensili. In tutto arriverà a 45 dischi di platino e 21 dischi d’oro. Geolier è forse nel suo prime ed è anche al centro di un’interessante convergenza di fenomeni culturali e sociali.
Primo punto. Il rap in Italia arriva ad essere il genere più popolare, partendo dalle piattaforme, arrivando a tutti i media, prendendosi qualsiasi spazio. Mega festival dedicati. Date di artisti internazionali. Un fiorire ininterrotto di hit che battono ogni record. Il rap, in tutte le sue sottocategorie e contaminazioni, sostituisce i precedenti generi dominanti. Diventa quello più ascoltato dalla Gen Z. Muove soldi (tantissimi). Attira i brand.
Secondo punto. Nel 2023 il Napoli vince il suo terzo scudetto dopo 33 anni. Non si tratta solo di una vittoria sportiva. È qualcosa di epico, è l’epifania di una città e di un intero popolo (Napoli è la quinta città con più napoletani al mondo). Un evento di portata storica, soprattutto nella misura in cui, per la prima volta, una generazione che aveva vissuto i precedenti scudetti, assieme ad una generazione di Millennials e di Gen Z, che non avevano mai conosciuto la vittoria ed il riscatto sociale, sempre all’ombra di Maradona, dio patrono della città, sfiorato o mai conosciuto, ecco, tutte queste generazioni si ritrovano per la prima volta unite nel celebrare un trionfo senza precedenti.
Ecco che una Napoli con un immaginario cristallizzato negli anni ‘80, può rompere finalmente il legame con il proprio passato “ingombrante”. Perché forse è finalmente giunto il tempo di credere in nuovi eroi (o semplicemente in se stessi) per raccontare con nuovi linguaggi una nuova storia. E portare Napoli oltre, avanti.
È questo l’aspetto catartico che mi aveva affascinato di più. L’opportunità di crescita, di evoluzione, di cambiamento di mindset. Quella di una Napoli senza complessi di inferiorità, che non dev’essere più seconda a nessuno.
Ora non saprei dire se questa epifania ha davvero ottenuto i risultati che mi ero augurato, ma quel che è certo è che Geolier si trova in questo crocevia, dove il rap è diventata una forza accentratrice totale e dove il soft power napoletano è ai suoi massimi storici.
Chi pensa che Geolier sia un fenomeno solo di e per Napoli significa che non ha capito Geolier. Nel suo successo ci vedo più qualcosa di generazionale che di territoriale. Perché nel frattempo i gusti musicali in Italia sono cambiati. La lingua non è più un ostacolo. Anzi il napoletano è piuttosto un detonatore.
Non devo essere io a spiegare la nobiltà di questa lingua (sì lingua, non dialetto) e far presente artisti come Pino Daniele (ma non solo lui) che è riuscito a portare quella lingua in tutto il mondo. Proprio perché la musica è un linguaggio universale.
Capire Geolier significa capire tutto questo. Con la particolarità che Emanuele si distingue come un ragazzo umile, cosa più unica che rara nel rap game. E questo aspetto, oltre a renderlo simpatico, denota intelligenza.
Singoli come Money indicano un’incredibile maturità artistica (il beat old school, il coro di bambini), dove a prevalere è la qualità rispetto alla volontà di vendere un cosplayer di Gomorra.
In un’industria in cui ogni prodotto viene gonfiato dall’hype e ogni nuovo artista viene mediamente sopravvalutato, Geolier spicca per talento e umiltà, tecnica impeccabile e flow efficace.
Sui social girano questi video incredibili dove c’è lui che fa freestyle da bambino. Un artista predestinato. Oggi, a ventitré anni, Geolier ha ottenuto tutto ciò che la maggior parte degli artisti non raggiunge nell’intera carriera. Manca solo una consacrazione, per la verità più formale che altro.
E in Italia quella cosa si chiama Sanremo. Sul palco dell’Ariston porta un pezzo che mi piace davvero molto e che in questi giorni ho ascoltato ripetutamente senza mai annoiarmi. La formula è quella già percorsa da Lazza, lo scorso anno in quello stesso palco, e prima ancora da Liberato (rap + urban neomelodico + pop elettronico, tutto rigorosamente in napoletano).
Prova del nove: scrivo su WhatsApp a mia madre, chiedo se le piace il pezzo di Geolier. Lei mi risponde: molto (così come Lazza l’anno prima). Capisco che, mia madre a parte, qualcosa nella formula di Emanuele ha funzionato ancora una volta.
Geolier il suo Sanremo l’ha vinto. Brano più ascoltato, video più visualizzato. In finale prende il 60% del televoto, percentuale più alta nella storia. Non è bastato per vincere (pazienza).
Oggi c’è da chiedersi: e adesso?
Geolier riempirà quattro stadi. Parla di un nuovo album prima del tour (quello indoor del 2023 è andato completamente sold out). A solo un solo anno da Il coraggio dei bambini, spero possa avere davvero nuovi pezzi all’altezza e contenuti di qualità, che non si costringa a droppare cose solo per cavalcare il momento e cadere vittima dell’hype.
Ma c’è dell’altro. In questi giorni mi hanno fatto riflettere le parole di Jonathan Bazzi. Polemiche di Sanremo a parte, è evidente come ci sia qualcosa di esagerato e di opprimente nel mondo che sta attorno a Geolier. Un amore smisurato, onesto, incondizionato, ma che nasconde delle insidie.
L’augurio che posso fare ad Emanuele è proprio quello di non indulgere nel fanatismo del quartiere e di non impantanarsi nel “Napolicore”. La rivendicazione identitaria partenopea è un acceleratore impressionante ma alla lunga è un limite. Prima o poi Geolier dovrà evolvere, “volare più alto”, giocare su una contaminazione intelligente e “tradire” l’ortodossia tossica.
Non è per niente una cosa banale. Credo sarà la più grande prova che dovrà superare, ma spero che un giorno possa raggiungere questo obiettivo, mantenendo il rispetto di quel popolo che ora lo sostiene illimitatamente come fosse un re. E se lo dovrebbero augurare pure i napoletani. Più per il suo bene che per il loro.