Quando misero dentro Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio qualche giorno dopo i giornali pubblicarono la notizia che il presunto assassino postava foto di gattini su Facebook. All’epoca dei 56k con Stevanin o Jeffrey Dahmer ci saremmo limitati a un “Salutava sempre” nei commenti alla tv prima di Maurizio Costanzo. Poi è arrivata l’Adsl, i gattini sono diventati i catalizzatori del web humour e Costanzo ha passato il testimone a Maria De Filippi.
Ma con questo non volevo dire nulla di apodittico, perché se la vogliamo mettere su questo piano allora va specificato che i LOLcats esistevano anche prima dell’internet a 56k, dei serial killer anni ’90 e del click bait. Per fare una prova basta che googolate “Harry Pointer Cats” (Pointer non Potter).
Ma qualcuno si ricorderà anche, che so, di Cats, il musical di Broadway, che è stato tratto da Old Possum’s Book of Pratical Cats di T.S Eliot, oppure The Master and Margarita di Bulgakov. Potrebbe essere divertente scovare micetti in molti altri maestri di ogni luogo e tempo, da Soseki a Capote, da Andre Norton a Burroughs, solo per poter affermare che la letteratura mondiale è piena di palle di pelo e che, insomma, questa cosa della popolarità di gattini & puppies ha radici profonde come l’antisemitismo, proprio perché nella nostra cultura esiste un’attrazione verso tutto ciò che è adorabile. Un aspetto che poi l’internet e i vegani avrebbero amplificato in modo massivo e politico.
Dice, perché? Per mille ragioni. Ad esempio perché dal ‘900 in poi noi esseri umani tendiamo sempre più ad odiare gli esseri umani -per quello che rappresentiamo e per quello che siamo riusciti a dimostrare di essere capaci di fare- e per questo a identificarci con gli animali. Il che, se ci pensate, è un atteggiamento piuttosto postmoderno e paradossale: ci disprezziamo e diciamo che siamo delle bestie, salvo poi assolvere i nostri amici a quattro zampe dal punto di vista etico e morale. Facebook è pieno di considerazioni e user-generated contents pronti a “enfatizzare” il lato umano degli animali (alle volte persino più umani degli umani).
Eppure la natura è orribile (#RememberLeopardi). E il mondo animale è una spietata orgia di evoluzionismo brutale e violenza gratuita. Ad esempio i pinguini sono dei depravati: abusano dei loro piccoli e sono dei necrofili e si fanno a loro volta stuprare dalle otarie, eppure nel nostro immaginario vincono i simpatici Pinguini di Madagascar. I leoni sono degli stronzi sessisti, divorano i cuccioli per rendere le leonesse nuovamente in calore, ma niente, la Disney ha fatto i miliardi raccontandoci la parabola del Re Leone. Le scimmie sono coprofaghe, i polpi cannibali e le nutrie contribuiscono a peggiorare il dissesto idrogeologico del nostro paese, tuttavia la popolarità degli animali non è mai stata così alta.
Avranno assunto gli stessi spin doctor di Papa Francesco.
L’apice di tale fenomeno è direttamente proporzionale alla diffusione dei new media, ok, ma a dirla tutta a far la parte del leone è sicuramente l’educazione che abbiamo ricevuto. La storia della formazione, in ambito contemporaneo, ci insegna che abbiamo rafforzato la presenza degli animali nei nostri processi ideativi (strumenti per distinguere il bene dal male), sin dai primi mesi/anni di vita. Probabilmente anche le mamme dell’antichità tanto quanto dell’ancien regime raccontavano novelle ricche di animali parlanti ai propri piccini, ma è solo in età contemporanea che sono arrivati i libri da colorare, i pupazzetti e i cartoni animati. Io stesso posso dire di aver avuto come nonno Piero Angela.
Questo per dire che difficilmente riesco ad immaginare una Paola Maugeri, metti pure in pieno Rinascimento fiorentino, dedicare un proprio saggio ai tacchini o parlare ad un uditorio interessato di “fantastici lombrichi” ai quali offrire i nostri avanzi di cibo opportunamente sminuzzati per favorire la loro digestione e quindi per aiutare il pianeta, ma può essere che mi sbaglio.
Credo piuttosto che queste fenomenologie, così come il positivo e costante aumento del numero di persone che tendono a cibarsi solamente di esseri viventi che non sanguinano e che non fanno gli occhi dolci, siano le prove più o meno tangibili di una società sempre più animal friendly e cruelty free oltre che borghese e post consumista.
Cresciamo con il bosco della nostra fantasia popolato da molti archetipi animali, non ha senso mangiare Bambi, ma credo che uno degli aspetti più rilevanti del social successo dei cuccioli sia da ricollegare al fatto che gli animali ci ricordano principalmente noi stessi, soprattutto negli aspetti più buffi e infantili (quindi depurati dagli aspetti più brutti della nostra memoria storica, da Hitler a Equitalia). Gli animali hanno un aspetto molto diverso dal nostro ma sono allo stesso tempo estremamente espressivi, senza contare, appunto, la nostra tendenza nell’antropomorfizzazione animale innervata nel nostro immaginario, dalle fiabe al mondo dell’arte, da Esopo a Beatrix Potter.
I cuccioli sono al centro della nostra attenzione anche perché li possiamo considerare, per certi versi, i primi slapstick comedians della storia. Probabilmente già i nostri lontani cugini neandertaliani sghignazzavano tra loro osservando il cazzeggio affettuoso dei cuccioli di mammuth così come noi oggi sorridiamo davanti a un filmato di piccoli panda patatoni che ruzzolano giù da uno scivolo (i Neanderthal i cuccioli di mammuth li cacciavano per sopravvivere, noi i cuccioli di panda no, ma li teniamo allo zoo dopo aver distrutto il loro habitat). Al giorno d’oggi cuccioli e animali costituiscono l’unità di misura di un intrattenimento immediato e trasversale come Fiorello.
Secondo alcuni prof l’eccessivo interesse umano per i cuccioli animali è rappresentato dalla somiglianza formale che molti piccoli animali hanno con i nostri neonati. Nasini, occhioni e testoline enormi che scatenano in noi, ma soprattutto nelle donne, un instintuale senso di protezione (materno). Inoltre le proporzioni esagerate di alcune specie di cuccioli accentuano esageratamente tale -inconscia- derivazione, aumentando di conseguenza l’intensità dell’affetto che noi esseri umani proviamo per queste creaturine (chiamamolo pure “The Awww Index”).
Insomma, l’intrinseca vulnerabilità di questi esserini scatena in noi un’incondizionata simpatia, un po’ come per i Palestinesi.
Altra spiegazione potrebbe essere la seguente: viviamo esistenze sempre più sedentarie, costantemente sotto un tetto, casa-ufficio, luoghi di lavoro o nel tempo libero. Stiamo perdendo il contatto con la natura e quindi anche con gli altri esseri viventi e, soprattutto nel caso dei gatti, non abbiamo molti spazi per manifestare il nostro affetto verso gli animali. È vero: chi ha un cane lo porta a spasso o al parco a fargli fare la cacca con la scusa di incrociare le mamme in leggins o per pubblicare alberi nella nebbia su Instagram. Ecco perché i gattini nel web hanno più successo di tutti: perché l’internet è il parco dei gatti. Il non luogo domestico e virtuale dove esprimere questo nostro bisogno sociale ed emotivo.
Il mondo è una merda e probabilmente sono insoddisfatto di me stesso, come tutti, ma guardate come sono adorabile con il mio adorabile e buffo amico peloso in tutte le salse. Ma non è solo questo. L’industria della comunicazione ha capito come trattare il fenomeno rendendolo di fatto un layout declinabile in qualsiasi maniera, sfiorando persino l’autoironia nella pubblicazione di post consapevolmente dementi. Le prove che i gatti vogliono ucciderci o che sono spie aliene & Co, associate alle gallerie melò e confettose, sono tipologie di post paraculi che hanno irrimediabilmente inquinato qualsiasi canale di informazione, tanto da rendere cuccioli e gattini dei toccasana del giornalismo digitale, con la funzione di assolvere il ruolo di antistress emotivo, di cosetti che sviscerano il lato più buono, tenero e positivo di noi stessi o dell’elettorato politico.
Prendi le tette di Drive In, le trasformi in cuccioli e li fai traslocare dalla tv commerciale all’Huffington Post. Mitragliate a dovere il villaggio globale di pucciosità e nessuno si farà del male. L’umanità sorriderà scrollando la timeline durante una grigia pausa caffé.
Anche se non sempre è così. Basti pensare al caso di Caterina Simonser, affetta da 4 malattie genetiche rare e coperta di insulti sul web per aver detto di essere viva grazie alla sperimentazione animale. Il macrofenomeno che emana spifferi sgradevoli e miasmi velenosi: la combinazione chimica tra puppy tenderness e ignoranza in grado di innescare cortocircuiti abominevoli che si manifestano poi nella stessa piattaforma di maggiore rifrazione: il social web. Che è lo stesso stagno dove noi tagghiamo e geolocalizziamo la nostra anima, i nostri gusti e i nostri principi estetici e morali. Lo stesso spazio dove pubblichiamo le foto dei nostri cuccioli del cuore per tutti i motivi di cui sopra, tanto loro non ci potranno mai dire se sono effettivamente d’accordo.
Chissà forse ci odiano, forse sono spie degli alieni, o forse sognano solamente di poterci instagrammare in scatti buffi per pura e semplice disperazione.