Il 2 dicembre prossimo uscirà in Italia per Black Candy Records Endless, il secondo album dei Soviet Soviet, mentre fuori dai confini nazionali sarà ancora una volta l’etichetta californiana Felte a curare la promozione del disco. Il trio marchigiano è partito da Pesaro nel 2008 per un lungo viaggio attraverso l’Europa e gli Stati Uniti, in cui sono rimbalzati da un fuso orario all’altro per calpestare ogni palco che li potesse accogliere. Dopo essersi fermati soltanto per registrare il nuovo disco, oggi sono di nuovo on the road in attesa della pubblicazione ufficiale del loro ultimo progetto. Li abbiamo raggiunti per avere qualche anticipazione e per capire quali percorsi sonori stiano seguendo.
Endless, il vostro secondo disco, arriva a tre anni di distanza dal precedente Fate, che ha accolto immediatamente l’approvazione da parte di critica e pubblico, così come era successo già a partire dal 2009 per l’uscita degli EP No Title e Soviet Soviet, che sono stati scoperti e raccontati dai media esteri prima ancora che da quelli italiani. Sebbene godiate di consensi, quali sono, però, le difficoltà che incontrate quotidianamente come musicisti?
Diciamo che non sono poche, e si differenziano su tanti aspetti. Ci sono spese da controllare, report da visualizzare (e capire soprattutto), ordini da preparare e spedire, contatti con l’etichetta americana che non sono sempre dei più facili, e così via… Insomma, lo stress a volte non manca perché ci sono un sacco di cose da fare, e a volte è anche difficile capirle tutte per noi che suoniamo. Ma insieme e con l’aiuto di alcuni siamo sempre riusciti a cavarcela in maniera egregia.
Tra le nove tracce dell’album c’è una canzone a cui siete particolarmente legati e in caso affermativo per quale motivo?
Andrea: Io sono legato personalmente a Blend, traccia che chiude l’album, perché è il pezzo che ho scritto e dedicato alla persona che mi sta accanto.
Alessandro F.: Io preferisco Remember Now perché è un pezzo che mi ha subito conquistato ed è molto energico.
Alessandro C.: Il mio pezzo preferito è Star per la particolarità dei suoni di chitarra dovuti all’utilizzo di un amplificatore rotto in fase di registrazione. Ora che l’ho riparato faccio davvero fatica a riprodurre quel tipo di distorsione a cui ormai ero affezionato, ma pian piano ci riuscirò…a costo di rompere nuovamente l’amplificatore.
Quali sono state le influenze che hanno condizionato la resa sonora di Endless e quali, invece, sono state le problematiche che avete dovuto affrontare sia durante il processo creativo sia in fase di realizzazione?
L’influenza principale secondo me è il volersi mettere sempre in gioco, cercando di rinnovarsi e di ‘sperimentare’ cose nuove. Ovvio che gli ascolti musicali di ciascuno e le esperienze che si vivono in tour contano tanto, ma se non hai la voglia e la freschezza di scrivere del nuovo materiale in modo ‘diverso’ sarebbe noioso e non avrebbe senso continuare. E come abbiamo già detto in altre interviste, Endless ha avuto un percorso di scrittura molto più lungo rispetto ai precedenti. Ci siamo voluti prendere tutto il tempo che serviva per tirar fuori un album che ci soddisfacesse a pieno, e questo ha comportato delle belle fatiche. Dall’arrangiamento dei pezzi alla registrazione finale, ma è stato tutto molto bello e siamo stati tutti molto contenti del risultato finale.
Ci sono dei momenti che sono stati fondamentali per la vostra crescita artistica e senza i quali probabilmente non vi trovereste oggi a questo punto?
Assolutamente sì. In breve ti potrei rispondere tutti, perché dal primo concerto, dalla prima prova e dal primo tour abbiamo raccolto ogni minima esperienza, positiva e non, per maturare e crescere, sia come persone sia come musicisti. Avere avuto la fortuna di visitare e vedere posti magnifici, aver conosciuto tantissime persone, (grazie alla nostra musica) ha contribuito a quello che siamo oggi.
Ascoltando la vostra musica penso spesso che abbiate la grande capacità di suggestionare gli ascoltatori soprattutto attraverso immagini sonore paragonabili a quelle proposte dal cinema. Se aveste la possibilità di riscrivere la colonna sonora di un film su quale titolo ricadrebbe la scelta?
Innanzitutto sarebbe un’esperienza fantastica. Sinceramente la nostra musica (specialmente con l’ultimo album) la vedrei collocata su più generi, che sia un ambito sportivo piuttosto che un thriller o perché no, anche nella moda. Bisogna vedere come la si interpreta. Prima di chiamarci Soviet Soviet uscì, in modo del tutto scherzoso, un nome ‘bizzarro’ che potrebbe (chissà) far parte di un ipotetico titolo: The new sport legend.
Sareste in grado di definire quale sia il filo conduttore che lega la vostra produzione?
La nostra amicizia e la voglia di condividere la nostra passione in giro per il mondo.
Anche se voi appartenete a un genere musicale di nicchia che si trova tra il post-punk e la new-wave, e probabilmente siete più abituati a dialogare con le realtà internazionali, credete che il panorama indipendente italiano stia uscendo dalla sua condizione di isolamento?
Crediamo che sia così e lo speriamo. Di questa considerazione ce ne accorgemmo in modo più significativo quando uscì Fate, alla fine del 2013. Ci si rese conto che, a partire dagli addetti ai lavori fino ad arrivare al pubblico, l’interesse generale era cresciuto. Come per noi, anche per altre band italiane che esportavano ed esportano tuttora la loro musica all’estero, e ci auguriamo continui.
Pensate che sia superato parlare di concetti come indipendente e mainstream, dopo aver visto personaggi come Calcutta o gruppi come i Thegiornalisti scalare le vette delle classifiche musicali e ribaltare in qualche caso il proprio status?
No, non credo. È giusto e normale che ogni artista inizi dal basso. Le realtà indipendenti esistono e sono quelle che ciclicamente sfornano delle nuove e promettenti band. Se poi si ha la bravura e la fortuna di crescere fino ad arrivare ad una major, bè, ben venga.
Siete famosi per essere (perdonatemi la definizione che forse non vi rende giustizia) ‘animali da palcoscenico’, che cosa ci dobbiamo aspettare dalla prima parte del vostro tour che è cominciato il 18 novembre scorso a Milano e che terminerà il 17 dicembre a Torino?
Quello che, chi ci conosce e ascolta sa benissimo, ovvero, tanta energia. Siamo sempre stati una band che il live se lo vive a pieno, e penso che continueremo così, anche perché non è una cosa studiata e pensata a tavolino. È il nostro modo naturale di vivere quello che abbiamo creato.
In conclusione, se doveste sintetizzare in tre parole Endless quali usereste?
Dolce, grezzo e riflessivo.