Francesca Woodman e l’arte della sensibilità

Francesca Woodman Self portrait talking to vince, Providence, Rhode Island, 1977-1999
Schwarz-Weiß-Silbergelatineabzug auf Barytpapier/ Black-and-white gelatin silver print on barite paper
Courtesy George and Betty Woodman, New York SAMMLUNG VERBUND, Wien

a cura di Mario Cipriano

La sensibilità è un concetto delicato all’interno del lessico fotografico. Si tratta di un valore che, agendo come perno, unisce l’artista alla sua fotografia. La sensibilità ha però un doppio effetto sull’artista, proprio come sul mezzo fotografico. All’aumentare della sensibilità, la pellicola fotografica riesce a catturare più luce, così come l’artista che riesce ad avere un occhio più ampio sul mondo. Ma la sensibilità rende anche più vulnerabili, così come per la pellicola che esponendosi di più alla luce si espone di più anche ai relativi rischi.

Cresciuta in una famiglia di artisti puri, Francesca Woodman porta dentro di sè la benedizione e il flagello della sensibilità. Nata a Denver dall’amore tra l’artista George e dalla famosa ceramista Betty Woodman, Francesca trascorse molto tempo della sua breve esistenza anche in Italia, tra Firenze e Roma dove ebbe modo di entrare in contatto con il vivo fermento artistico dell’epoca. Di Roma, città che frequentò durante la maggiore età, amò la capacità di creare un filo diretto col passato con leggerezza, grazie ai mercatini dell’usato, i bar in cui sembrava che il tempo non fosse mai passato, i vicoli di Campo de’ Fiori dove abitava, il fermento che trovava i suoi teatri in pastifici e vecchie sedi di aziende riconquistate dalla cultura.

Francesca integrò questo mondo in cui era immersa all’interno delle sue foto, indossando quei vestiti che trovava ai mercati di Porta Portese o Piazza Vittorio, vecchi oggetti e perfino animali, come le anguille (capitoni in romanesco) che trovarono spazio all’interno di alcuni suoi scatti. Nelle sue fotografie è da subito evidente la dissoluzione di qualsiasi tipo di limite. Così il corpo umano, il suo per la maggior parte degli scatti, attraverso l’uso delle lunghe esposizioni lasciava che il suo valore intrinseco l’abbandonasse lentamente e divenisse tutt’uno con l’ambiente circostante, con i concetti che l’artista aveva intenzione rappresentare.

L’adesione ai canoni del surrealismo è evidente anche grazie al suo rifiuto nei confronti delle didascalie. Francesca Woodman si rifiutò sempre di spiegare le proprie opere. Questa azione era parte integrante di una forza artistica così potente che non riusciva a contenersi entro dei limiti, una forza artistica che sfondava le convenzioni, le oltrepassava con naturalezza. Una forza artistica che andava oltre la cornice, i limiti del frame fotografico.

L’arte di Francesca era così potente, così strettamente collegata alla sua vita, al suo mondo interiore che, proprio come accadeva nei suoi scatti, era difficile capirne i limiti, era ed è difficile capire (come succede per gli artisti puri) dove finisse la rappresentazione artistica e dove iniziasse l’artista. Questa fusione così radicale con la sua arte, frutto di una sensibilità fuori dal comune, portò la Woodman a togliersi la vita a soli 23 anni.

Pochissimo tempo prima del suo ultimo gesto estremo, vide la luce Some Disordered Interior Geometries, prima e unica pubblicazione dell’artista. Questa raccolta ha la forma di un diario apparentemente disordinato, complesso, introspettivo e profondo. Le fotografie sono incollate sulle pagine di un vecchio libro di geometria. Questo tipo di impaginazione ha un significato essenziale per un’artista come Woodman che è alla continua ricerca della rappresentazione concreta di concetti astratti.

Francesca Woodman è un astro luminoso; un’artista così pura che non è riuscita a separare la sua arte dalla sua vita, diventando parte integrante della sua opera; un’artista delicata e sensibile, che metteva al centro delle sue fotografie il suo corpo, non per vanità o per la tipica auto affermazione retorica legata ai primi auto-ritratti della storia, ma semplicemente perché lei stessa era, a sua detta, il soggetto più disponibile che avesse a disposizione per le sue foto.

La sua arte è leggera come un soffio di vento d’estate, intensa come il calore di un falò, dolce e delicata come solamente un’artista pura riesce ad essere. La sua vita breve fu presagita dalle sue parole alle quali è difficile aggiungerne altre: ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate.

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