a cura di Andy McFly
Seguo silenziosamente il lavoro di Giulia da un paio d’anni, da quando ho visto per la prima volta un suo scatto su Instagram e ho avuto la consapevolezza di trovarmi davanti un’immagine che mi ha completamente affascinata, che non sentivo per forza mia, ma che in qualche modo rappresentava uno sguardo sul mondo in cui potevo riconoscermi. Tra immagini di nudi femminili, ritratti e street photography, colori e forme inizia il viaggio visivo di Giulia che incanta e seduce, che riesce a valorizzare l’attimo del silenzio e la rumorosa vita quotidiana. Sto pensando in particolar modo alle sue foto di street photography, alla luce e alla brillantezza di come appare la vita ai suoi occhi (nel bene e nel male, senza moralismi), e ai suoi autoritratti in cui spesso e volentieri mostra i dettagli delle case che abita, degli hotel e delle strade che percorre, in cui tutto e niente accade, ma esiste in quel preciso istante. Da adolescente si avvicina dapprima alla pittura e solo dopo sviluppa la sua passione verso la fotografia a pellicola, che la porterà a partecipare a diverse mostre in Italia e all’estero e che è al momento il suo mezzo di espressione principale.
Ciao Giulia, è un piacere poterti intervistare. Prima di tutto, vorrei chiederti in che modo il linguaggio della pittura e quello della fotografia interagiscono con il tuo lavoro o il tuo modo di concepire un’immagine fotografica. Si alimentano o si respingono?
Sicuramente la pittura e l’arte figurativa, in particolare quella del primo Novecento mi hanno sempre affascinata e poi influenzata. Ricordo quando al liceo c’era la modella/o nuda/o dal vivo: erano le ore che preferivo. La fotografia è capitata un po’ per caso e tra i primi soggetti c’ero io. In modo piuttosto naturale mi sono ritrovata a fotografare altri corpi, a volte persone a me vicine, altre modelle, o ancora personalità di diversi ambiti artistici, e mia zia, mio padre, persone per strada. Mi interessa tutto.
Che importanza ha nel 2020 scattare a rullino?
Ha importanza nel 2020? Non so. Io sono andata al contrario, nel senso che ho iniziato con il digitale (compattine da 8mpx) per passare in modo definitivo all’analogico. Una delle cose che mi tiene legata allo scattare in pellicola è il margine di errore, cioè la possibilità di sorpresa che solo la chimica può darti. Mi piace sperimentare e lavorare con quello che trovo. Voglio dire che si possono fare delle ottime fotografie anche con una usa e getta.
Le tue fotografie ritraggono spesso momenti intimi del quotidiano, dal gusto voyeuristico. Che valore hanno per te la sessualità e l’eros raccontati attraverso una foto? Questi due elementi fanno parte di un racconto identitario?
Come ti dicevo prima uno dei primi soggetti ero io stessa. L’autoritratto può avere un gusto voyeuristico come dici tu e allo stesso tempo introspettivo. La componente la aggiunge lo spettatore in modo quasi inevitabile – cioè inevitabile come quando vedi un corpo nudo.
Tra le tue tante foto di donne ci sono anche soggetti maschili. Non penso che i tuoi ritratti siano esclusivamente legati al genere, anzi, credo siano legati molto di più all’idea in sé di ritratto e di quella che potrei chiamare “bellezza” in senso kantiano, ossia legate a qualcosa che ha a che fare con il puro piacere visivo. Per te che cos’è la bellezza?
Sì, tutti noi vediamo già quel che abbiamo davanti, la fotografia, o meglio, il ritratto in fotografia ci aiuta a vederlo meglio, a soffermarci. La bellezza per me è qualcosa che ha a che fare con la verità. Mi spiego meglio: quello che sto cercando di dire è che quando hai qualcuno davanti e lo guardi attraverso il tuo obiettivo è come avere la possibilità di togliere tutto il rumore attorno e cercare senza troppe pretese di fermare in qualche scatto il silenzio che resta.
Ho visto alcune foto che hai scattato a New York e Napoli, che sono a mio parere bellissime. Mi piace molto il tuo approccio alla fotografia di strada, sembra in qualche modo che tu sia invisibile e riesca a cogliere l’attimo esatto in cui quel qualcosa succede o semplicemente esiste. A questo proposito vorrei chiederti se sei più affezionata alle fotografia di strada o al ritratto, e in che modo queste due tipologie riescono a soddisfare il tuo bisogno di scattare.
Si tratta esattamente di questo. L’esigenza di scattare è sempre lì, anche se a volte si prende delle pause di riflessione, come un bisogno di rielaborare tutto quello già fatto per ricaricarsi. L’approccio è lo stesso in quanto si segue sempre un istinto. Per anni mi sono chiesta come potevo dividere le due cose, come presentarle ma oggi ti dico che sono una cosa sola.
Scorrendo il feed del tuo profilo Instagram ho notato una foto che fa parte di un progetto ancora inedito, iniziato prima dell’emergenza Covid, che raffigura una signora in un’impeccabile mise total blu assemblata solo attraverso l’acquisto dei capi in mercatini o negozi di seconda mano, e mi sono subito ritrovata affascinata da questo personaggio. Puoi parlarci e introdurci meglio il progetto e la sua idea?
Io e Alessia Beraldin abbiamo iniziato questo progetto che è attualmente in corso. Le immagini che ho pubblicato sul mio profilo Instagram sono un’anteprima del lavoro che appunto si è interrotto per via dell’emergenza Covid e che riprenderemo a breve. Il fulcro del lavoro sono quelle figure atipiche incrociate per strada, a un mercatino o in coda al supermercato che ci hanno incuriosito per la loro “uniforme” , per la particolarità di come si presentano, per la loro originalità, trasmettendo in modo più o meno consapevole il concetto di Moda e Colore (con ampio spettro sui temi che ne derivano nei dibattiti attuali sulla fast fashion – riciclo – e canoni estetici). Nella breve didascalia sotto il post a cui ti riferisci abbiamo riportato in breve la sua storia, ovvero la totale dedizione di Anna nella ricerca di capi usati, finalizzati ai suoi outfit che sono caratterizzati da palette di singoli colori e di come Anna scelga di acquistare ogni singolo accessorio (da capo a piedi, borse gioielli, ferma cappelli etc) esclusivamente in negozi di seconda mano, tutto è riciclato.
Dal Covid alle proteste per i diritti civili del movimento Black Lives Metter, passando per le proteste in piazza dei lavoratori, il mondo e la realtà come la conoscevamo, stanno cambiando molto velocemente sotto gli occhi di tutti. Questi avvenimenti hanno interagito con il tuo modo di fare e pensare alla tua fotografia? Per esempio, il lockdown ti ha posto davanti ad una “sfida” espressiva? Come hai affrontato artisticamente questi ultimi mesi?
Durante la quarantena ho disegnato, cercando di recuperare i materiali che avevo nei vari cassetti e acquistando le uniche cose possibili al supermercato, ovvero pennarelli carioca scatola da 36 colori. Ho fatto un paio di rullini in casa. Uscivo per fare la spesa ma non per fare foto. Ho visto che diversi colleghi sono riusciti a raccogliere materiale. Io ho passato delle intere giornate in paranoia. Però ho quasi concluso il mio libro. La morte di George Floyd ha dato inizio a uno dei movimenti di protesta più partecipati degli ultimi 50 anni negli Stati Uniti. Anche in Europa sono state organizzate manifestazioni contro il razzismo. Ho partecipato alla manifestazione BLM di Treviso e sono rimasta colpita dalla marea di giovanissimi presenti. In quanto bianca privilegiata e essendo parte del problema, sto cercando di documentarmi e di imparare ascoltando i miei amici afro discendenti. Non basta non essere razzisti ma bisogna essere anti-razzisti. Il silenzio da parte dei bianchi è complice di questo sistema di oppressione perverso.
Quali sono in questo momento i riferimenti artistici (fotografici e non) a cui ti ispiri o che semplicemente apprezzi?
Negli ultimi mesi sono stati Nobushyo Araki, Tillmans, Tom Sandberg. Alcuni film di Antonioni, Fincher, e poi c’è sempre Stanley Kubrick.
Trovate i lavori di Giulia Agostini QUI e QUI.