Se c’è una cosa che si nota subito nella scrittura di Edurne Portela è la sua capacità di entrare nei corpi delle sue protagoniste, per capirle e raccontarne a fondo la storia. Riuscire a sviscerarne il dolore. Avvicinarsi così sempre di più a donne costrette a prendere le distanze, scappano, si nascondono e finiscono a piangere in un armadio.
Non saprei dire quando è cominciato tutto. Quando la mia vita ha iniziato ad andare a rotoli e quella che ero ha smesso di esistere e si è trasformata in una donna che si chiude a piangere in un armadio.
Dei temi che affronta sappiamo già qualcosa. Se in Meglio l’assenza Edurne Portela ha messo al centro il peso e le profonde implicazioni psicologiche che l’assenza di un padre (il suo esserci-non esserci-tornare e sparire ancora per anni e anni) ha avuto nella crescita di una figlia, in Forme di lontananza, secondo romanzo dell’autrice di origine basca pubblicato in Italia sempre dalla casa editrice indipendente Lindau nella traduzione a cura di Thais Siciliano, si sposta ad indagare quell’allontanamento che diventa inevitabile quando si vive una relazione tossica. Quando ogni giorno ci si ritrova vittima di violenza psicologica e non se ne riesce a vedere la gravità.
Alicia si siede sul letto. Prova la sensazione familiare di qualcosa che le si sgonfia dentro, portando con sé tutto il suo corpo. Una sorta di paralisi, una sensazione di soffocamento, di impossibilità di esprimersi o di alzarsi, di uscire dalla stanza, di andare a cena, o di andarsene e basta.
Protagonista è Alicia, una giovane donna che si trasferisce dai Paesi Baschi negli Stati Uniti per conseguire un dottorato. Lontana da casa e dai suoi affetti, viene vista come straniera e molto spesso scambiata per messicana, fa fatica ad integrarsi, si sente sola. Lega con un ragazzo, spagnolo come lei, sono molto amici. Fino a che non conosce Matthew Novak, detto Matty.
Tra i due tutto corre, dopo poco si ritrovano in casa insieme, in un battito di ciglia persino sposati (c’entra vedersi riconosciuta la cittadinanza americana, certo, ma Alicia non ha avuto neanche modo di far sapere alla sua famiglia lontana del matrimonio). Matty le piace, ma già dall’inizio della loro storia porta questo ragazzo dentro di sé qualcosa che via via costringerà Alicia a sentirsi sempre più sola, intimorita, sbagliata. Fino a diventare una persona che si chiude in un armadio per piangere senza essere vista, per evitare che qualcuno, Matty, l’uomo che dice di amarla le faccia la voce grossa.
Le Forme di lontananza che si avvicendano nel romanzo sono tante, si manifestano in diversi modi e fanno male. A partire dal punto di vista che Edurne Portela sceglie per raccontare la storia di Alicia. Capitoli scritti in prima persona da Alicia si alternano a estratti dal suo diario e capitoli in terza persona in cui vengono raccontate le vicende di chi le si trova vicino, di chi finisce a farle del male.
A casa, dove, diceva sempre, lo aspettava il suo secondo inferno.
Quella lontananza evidente già dal titolo e presente pagina dopo pagina, da stato d’animo e condizione in cui si ritrova a vivere diventa un rifugio, un guscio in cui chiudersi per tentare di sfuggire alla violenza verbale e, a volte, persino fisica del compagno. All’inizio Alicia tende a non voler vedere, a giustificarlo in mille modi, viene da una famiglia violenta, ha un passato pesante che gli grava sulle spalle. Comincia letteralmente a vivere nel terrore, chiudersi a chiave è la regola. Quello che la salva è che non smette di raccontarsi, di raccontare la violenza.
Il fango che la sfuriata di Matty le lanciò addosso la ricoprì fino a soffocarla: doveva essere tarata, aveva un difetto di fabbrica, perché altrimenti non si spiegava come potesse dire di non aver mai sentito la necessità di diventare madre, che razza di donna non la sente, o magari era solo un’egoista perché non voleva cambiare la sua vita, quella vita in cui faceva tutto quello che voleva, alla quale non voleva rinunciare per dedicare tempo a un figlio, o forse era una bugiarda perché l’aveva ingannato e il problema non era che non volesse dei figli, ma non voleva averli con lui.
Nella drammaticità delle esperienze che riversa nei suoi romanzi, Edurne Portela lascia sempre uno spiraglio, una luce. Ed è così anche in Forme di lontananza. Ci vuole tanta forza per riuscire a staccarsi da certe situazioni, una spinta che accompagna chi legge e che travalica ogni possibile forma di isolamento. Perché se ne esce, Edurne Portela lo sa e ci arriva sviscerando il dolore e la solitudine, anche questa volta meravigliosamente.