E’ sabato sera e come ogni sabato sera il quartiere di San Salvario si trasforma in una giungla pullulante di macchine in doppia fila, di pedoni barcollanti e di biciclette sfreccianti. Da qualche anno, a pochi passi dalla stazione di Porta Nuova, la movida torinese ha preso ormai residenza in quel quadrato quasi perfetto delimitato da Corso Vittorio Emanuele II e Corso Marconi da una parte e da Via Nizza e Corso Massimo D’Azeglio dall’altra. Sudare per il parcheggio fa pressoché parte di un rituale a cui è praticamente impossibile sottrarsi, ma stasera i Be Forest suonano all’Astoria e non possiamo perderceli, così decidiamo di sfidare la cara ressa urbana, appellandoci a tutti i santi per conquistare un minuscolo posto dove far sostare la nostra auto.
Reduci da un tour coast to coast negli Stati Uniti che li ha visti esibirsi in ventidue delle principali città americane e da un never-ending tour italiano che si concluderà solo quando l’irriducibile trio pesarese si imbarcherà nuovamente ai primi di marzo per una serie di date negli States, ad oggi i Be Forest sono una delle realtà più interessanti della scena musicale italiana, capaci di riscuotere successo lontano dai confini nazionali e allo stesso tempo di rimanere coi piedi ben ancorati a terra.
Non sono ancora scoccate le undici e sulla rampa di scale che conduce al Basement del locale di Via Berthollet, 13, la fila è lunga, ma entriamo senza troppa attesa. I Melampus, il duo bolognese che apre la serata e che ha accompagnato in diverse occasioni i Be Forest, hanno già cominciato a scaldare l’aria tra profondi respiri e schitarrate acide. In poco più di due anni Francesca Pizzo e Angelo Casarrubia hanno portato alle stampe tre dischi giocando con suoni grezzi e sperimentali e raccogliendo consensi e attenzione da parte della critica. Sono emozionati, la mimica facciale non mente, ma come biasimarli: parte proprio da qui il tour che li porterà da nord a sud in venti città italiane, al fine di presentare il loro terzo album, Hexagon Garden.
La voce di Francesca si fa un tutt’uno con le strumentazioni, mentre ogni rumore, anche il più stridente o il silenzio più acuto viene regolato dall’infinita distesa di pedali che si trova ai piedi di Angelo, il quale ha il compito di sistemare il caos e di mettere insieme le parti del puzzle sonoro. Nel frattempo, il pubblico si è lentamente scongelato, i Melampus si congedano, lasciando spazio ai Be Forest che danno inizio al loro spettacolo con la strumentale Totem e l’alchimia di Ghost Dance. Le prime tracce forse sono ancora calibrate sulle vibrazioni acustiche del gruppo precedente, ma tra Captured Heart e Lost Boys, il trio inizia a ingranare come un diesel, diventando sempre più preciso e veloce a scalare le marce.
Qualche piccola incomprensione con la regia, che tende ad abbassare o ad alzare troppo i volumi è l’unico inconveniente della serata, ma di certo non è un motivo sufficiente per rovinare il concerto. Uno dei momenti più stimolanti è invece, quando voci dal timbro così diverso come quella di Costanza Delle Rose al basso e di Erica Terenzi alla batteria si scontrano in Hanged Man, mentre Nicola Lampredi continua integerrimo ad oscillare ipnoticamente la chitarra che potrebbe tramutarsi da un attimo all’altro in un pendolo.
Ogni brano è una viaggio senza fine, basta chiudere gli occhi e anche lo svantaggio di stare sotto cassa può sembrare più accettabile. Da Airwaves in avanti la pulizia dei suoni è impeccabile, ogni aspetto è curato nei minimi dettagli come se si trattasse di una registrazione. I Be Forest sono dei fuoriclasse: gli sguardi che si scambiano tra di loro e quelli che rivolgono al pubblico sono un linguaggio che corre parallelo a quello della musica, portando ad alti livelli l’emotività in sala. Tra il pubblico quasi nessuno è attaccato al cellulare e mettersi anche a fare due foto pare una mancanza di rispetto, come a rompere un incanto che si è creato e che non si vorrebbe mai infrangere. Per le ultime due canzoni prima del bis Erica e Nicola si scambiano i ruoli e probabilmente sarà l’unica circostanza in cui si sentirà qualche mormorio.
In soli cinquanta minuti, il trio alterna le tracce di Earthbeat a quelle di Cold, passando da Totem II, Colours e Sparkle a Wild Brain, Hideway, fino alla conclusiva Florence, quando tutti vengono davvero conquistati. D’altronde, l’Astoria è per i Be Forest come una seconda casa. A dircelo sono loro stessi quando ci siamo messi a chiacchierare tra uno scatto e l’altro, mentre Nicola, con il suo occhio fotografico, decideva la location davanti all’edera, Costanza, con un dolce sorriso ci ripeteva quasi cantando i nomi delle città americane in cui avevano suonato ed Erica, armata di santa pazienza ci scriveva su un taccuino la scaletta. In conclusione, non possiamo che augurarci che una band così giovane e determinata, non perda il suo lato semplice e naïf, che è forse la parte più bella di quando si compra un biglietto, si esce di casa e per qualche ora si stacca Spotify.
Fotografie di Alessia Naccarato