La narrativa post punk dei Fontaines D. C.

La prima cosa che bisogna fare nell’ascolto e nella comprensione dei Fontaines D.C., in A Hero’s Death come nell’esordio clamoroso di appena un anno fa, è aggiungere una premessa poetica alla valutazione finale, questo perché i Fontaines D.C. fanno parte di quel numero ristretto di band che, se ci si dà il tempo di conoscerli un po’ meglio, riescono ad affascinarti al di là del gusto e la passione per un determinato genere.

La loro storia personale, del resto, va in questa direzione. Un culto per le parole e l’espressione in ogni sua nota – di un disagio, dei momenti di alterazione, di un tono generalmente oscuro ma romantico – che li ha portati ad affrontare la realtà e la tradizione di un’Irlanda grigia, confrontandosi ma senza combattere la loro appartenenza e rivendicando una sorta di diritto alla sofferenza e all’emarginazione sentimentale. Proprio per queste ragioni non deve sorprendere il fatto che i Fontaines D.C. si siano costituiti prima come collettivo poetico pubblicando due raccolte ispirate – non a caso – a Beat Generation, Joyce e Yates. Proprio in questo immaginario, fatto di nervi, accordi dissonanti e voci malinconiche, li ha portati a costituirsi come band e a produrre due album destinati a segnare la direzione del rinascimento post punk inaugurato da IDLES e Shame.

 

 

Il caso dei Fontaines D.C., per una serie di motivi, è ragionevolmente distante dai testi politicizzati e di opposizione sociale di Idles e Shame, ma non per questo perde la radice punk. Si focalizza su testi strappati, sul cut-up burroghsiano, la ripetizione ossessiva, il rendiconto di una concentrazione personale che alimenta il sentimento di necessaria rivalsa. Si muove in un campo ritornato adolescente, tappezzando le pareti con poster di Ian Curtis e Kurt Cobain, riempiendo le librerie con strofe decadenti e allucinate, le orecchie con note spezzate e ossessive. Così come accaduto in Dogrel, i Fontaines D.C. utilizzano la musica per rappresentare uno stato di rabbia confusa che si muove su più strade, non appartiene a nessuno eppure torna sempre a casa. C’è questo dietro A Hero’s Death, il percorso di un’euforico e monumentale crollo, della caduta nell’oblio, così come Dogrel era un decadente racconto sulla working class irlandese, riassunta magistralmente in Dublin City Sky, i cieli pesanti, pieni di fumo in una simil-ballad folk e oscura. Lo stesso sangue irlandese che ritorna anche in A Hero’s Death.

La caduta di questo eroe è un percorso tendenzialmente buio, una richiesta di certezze e ripetuti addii a se stessi, ai colpi della pioggia di un incontro con una persona scomparsa, la descrizione di un paesaggio in cui non sembra trovarsi anima viva. Se in Dogrel i Fontaines D.C. si confrontavano con una storia – musicale, letteraria e poetica – aggiornandone le coordinate su termini post moderni, in A Hero’s Death trovano una linearità sonora che diventa presupposto per testi struggenti (Oh Such a Spring), perdite di orientamento (A Televised Mind) o a orrorifiche rivendicazioni di libertà, quel diritto alla sofferenza – e, contemporaneamente, alla possibilità di essere felici – che trasforma la title-track in un’invocazione, un mantra per cui Life ain’t Always Empty. È Sisifo che parla al masso che è destinato a portare su una salita per l’assurda eternità camusiana, per cui trovare un senso alla vita significa inevitabilmente trovare una motivazione per sfuggire alla morte (Don’t give up too quick / You only get one line – you better make it stick / If we give ourselves to every breath / Then we’re all in the running for a hero’s death).

 

 

La parte finale della lacerazione di questo eroe trova lo spazio per un’ultima rivendicazione – questa volta politica – in I was not Born, un momento di rifiuto che si oppone ai luoghi di Living in America, e che si condensa nell’addio compiuto e definitivo di Sunny, forse il tratto più poetico ed esplicito sulla rabbia di cui parlavamo. La rassegnata elencazione di un problema, quello della sensibilità, che non vuole ridursi in uno stato di apatia impossibile da superare. L’ultimo attacco dell’eroe, ormai morente, che risulta sconfitto e contemporaneamente vincitore per non essersi abbandonato.

Even when you don’t know
Even when you don’t
You feel, you feel
Even though you don’t know
Even though you don’t
You feel, you feel

Quello dei Fontaines D.C. è un bestiario fatto di situazioni e sentimenti di una modernità sperduta e a volte incapace di comprendersi. La loro lotta è evidente e passa dal recupero di una voce che non rassicura ma scava, senza sosta, fra gli incubi e le paure, per dare un nome a ciò che non riesce a spiegarsi. Una pretesa poetica in cui le parole sono la differenza fra vivere e morire.

 

 

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