Il 6 e 7 luglio gli Eugenio in Via Di Gioia approdano a teatro, portando alla Lavanderia a Vapore di Collegno uno spettacolo dedicato al 40° anniversario della Legge Basaglia. Tra le più interessanti formazioni del panorama indipendente italiano, i quattro giovani musicisti torinesi hanno imboccato la via del successo grazie anche alla loro energia positiva e all’irrefrenabile desiderio di spingere i propri limiti sempre più lontano. Da musicisti di strada a protagonisti dei festival e oggi anche autori e attori teatrali. Dove arriveranno gli Eugenio in Via Di Gioia? E cosa li ha portati a teatro? Lo abbiamo chiesto direttamente a Eugenio Cesaro, voce della band.
Bella domanda! Con semiseriale si intende l’allestimento che è stato scelto per lo spettacolo. Non so se posso anticiparlo, ma ci saranno dei televisori sullo sfondo che proietteranno delle immagini di repertorio che raccontano, a seconda dei momenti dello spettacolo, diversi luoghi. La caratteristica di questi posti è proprio la serialità, come se fossero prodotti in una fabbrica seguendo dei criteri standardizzati. L’idea è proprio quella di ricreare il mondo in modo virtuale e gli attori non sapranno di essere in un mondo finto, però si muoveranno e crederanno di essere in un mondo vero.
Come e quando vi è venuta l’idea per questa rappresentazione teatrale?
Come tutto quello che nasce da noi, anche questo progetto è venuto alla luce come evoluzione abbastanza naturale del nostro percorso. Abbiamo iniziato a suonare per strada, mantenendo sempre un approccio molto interattivo con il pubblico che si tramutava spesso in interazione improvvisata. Con il tempo ho cominciato a scrivere dei monologhi che ho messo da parte e durante i concerti più tranquilli provavo a eseguirne qualcuno. In alcune canzoni riproponiamo già questi sketch come per esempio in Pam, dove il finale è sempre diverso ed è come se avessimo un canovaccio che modifichiamo ogni volta in base alla situazione e al pubblico che abbiamo di fronte. Abbiamo cercato di tradurre questo approccio nello spettacolo che metteremo in scena. Forse il momento in cui è scaturita l’idea è stato andare a vedere Brunori al Teatro Colosseo di Torino quest’inverno che, tra una canzone e l’altra, raccontava delle storie. Alla fine, invece, il nostro lavoro è molto più simile a un film con una vera e propria sceneggiatura.
Dalle strade, ai palchi dei locali e dei festival fino ad arrivare sui treni ad alta velocità e ai social, quanto è importante recitare e comunicare con la musica per gli Eugenio in Via di Gioia?
È importantissimo! Noi cerchiamo di utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione. Come hai detto tu, noi utilizziamo molto i social, sono uno dei nostri canali preferiti perché sono democratici, arrivano a chiunque voglia vederli. Mettere un video su un social network non è tanto diverso dal suonare per strada. La home di Facebook è un po’ come se fosse una lunga strada e ci fossero un sacco di persone che camminano e ognuno sceglie dove fermarsi. Ci piace molto l’idea di suonare per chi voglia ascoltarci, a differenza di un locale, per strada chi cammina può continuare a camminare decidendo autonomamente cosa vedere. La fruizione è diversa da quella televisiva e per quanto ci riguarda la preferiamo.
È stato molto diverso passare dai panni di musicisti a quelli di attori?
Siamo molto bravi a tenere il ritmo – ce lo ha detto anche il nostro regista che ci sta aiutando a mettere su lo spettacolo – un po’ perché siamo musicisti, un po’ perché siamo sempre stati abituati a farlo. Siamo, invece, molto indietro per quanto riguarda la recitazione e quindi propriamente per il mestiere degli attori. Quando si è abituati a essere spontanei è più difficile entrare in una parte. Abbiamo dovuto lavorare molto sulla precisione e sul dettaglio della parola, perché sul copione ogni singola parola diventa importantissima.
Il Flowers Festival quest’anno vuole raccontare il quarantennale della Legge Basaglia. Noi abbiamo pensato che se, nel 2018, ci sembra impensabile che quarant’anni fa la gente potesse essere rinchiusa in un manicomio, imprigionata quasi in un carcere per detenuti mentali, cosa, invece, tra quarant’anni sembrerà folle di quest’epoca che, però, oggi ci sembra normale? Il nostro è il racconto di un ipotetico futuro, nel quale i quattro attori principali (che poi siamo noi) si trovano a viaggiare in questo mondo che il pubblico non saprà fino alla fine se è un mondo reale o virtuale.
Parlando del quarantennale della Legge Basaglia, qual è secondo te l’insegnamento più importante che ha lasciato Basaglia e che cosa si potrebbe fare ancora con la legge 180?
I problemi andrebbero curati con più ascolto e si può ancora lavorare sulla limitazione dei farmaci per i malati mentali. C’è da dire che, almeno a Torino, esistono molti luoghi come Radio Ohm, il Caffè Basaglia o il Laboratorio Zanzara, dove si crea aggregazione e si fanno lavorare persone considerate in precedenza malati mentali. Attraverso l’amore e la responsabilizzazione si possono ottenere molti risultati. Semplicemente anziché dare medicine si potrebbero dare più posti dove stare e realizzarsi.
Qual è il motivo per cui le persone dovrebbero venire a vedere Altrove: opera metareale?
Invito tutti a venire perché credo che siamo riusciti, nei limiti delle nostre capacità, a mischiare molto bene musica e teatro. Infatti non ci saranno solo sketch teatrali, ma anche tanta musica. Ci saranno le nostre canzoni riarrangiate e suonate in situazioni diverse rispetto a quelle dei concerti, sotto una nuova veste. E vi anticipo che ci sarà anche un brano inedito!