Un filo invisibile lega le dieci canzoni che fanno parte di High As Hope, il quarto album dei Florence + The Machine che tornano a distanza di tre anni da How Big, How Blue, How Beautiful. In questo nuovo disco c’è molta fame, fame di tutto, di vita, di speranza, ma soprattutto di amore. Florence Welch si mette a nudo, si scusa, piange, ride e ci fa sognare esattamente come dieci anni fa, all’epoca del suo esordio con Lungs.
Non è, però, sempre facile cantare di fronte a milioni di persone provenienti da ogni parte del mondo ed esporsi inevitabilmente al loro giudizio. La pressione mediatica ha distrutto talenti straordinari, smontato certezze e assassinato sogni nei casi più sfortunati. Le difficoltà che negli ultimi tre anni la cantautrice londinese ha dovuto fronteggiare sono state tante: la fine di un tour e di un amore, la dipendenza dall’alcol, ma soprattutto il confronto con se stessa e con gli spettri del passato.
Dopo aver superato il temuto ostacolo dei trent’anni, Florence Welch sembra ringiovanita, più schietta e finalmente serena. Ci sono tempeste che non si esauriscono mai e che rappresentano il motore delle menti geniali, ma in certi casi la vera linfa è data dalla quiete tra due fasi diverse della vita. High As Hope è il più autentico disco di transizione dei Florence + The Machine e allo stesso tempo è la tenera promessa di volersi bene che Florence Welch ha siglato prima di partire per questo nuovo viaggio.
L’estate entra con prepotenza da ogni finestra, le tende oscillano sinuosamente come il corpo di una ballerina classica intenta a fare esercizi alla sbarra, June è una delicata brezza che si trasforma in un vento caldo arrivato dal Sahara:
I hear your heart beating in your chest / The world slows ‘till there’s nothing left / Skyscrapers look on like great, unblinking giants (oh) / In those heavy days in June / When love became an act of defiance / Hold onto each other
Versi che sembrano stati concepiti come atto di resistenza al mutare delle stagioni, allo srotolarsi dei sentimenti e alla fine delle relazioni. La canzone termina in un turbinio di voci che si sovrappongono tra di loro perdendo il timbro originario fino ad affogare in Hunger, un colpo al petto all’improvviso, senza se e senza ma. Basta poco per capire che questo disco ripercorrerà le nostre storie d’amore e ci farà sentire vicini parlando direttamente alla bocca dello stomaco:
At seventeen, I started to starve myself / I thought that love was a kind of emptiness / And at least I understood then the hunger I felt / And I didn’t have to call it loneliness
L’amore è una specie di vuoto che costantemente cerchiamo di riempire di esperienze, sorprese e di nuove persone. Apriamo l’album dei ricordi e a stento tratteniamo le lacrime, incapaci di reprimere le emozioni. La magia sta per iniziare. Abituati ai chiaroscuri dei due precedenti album non è facile credere che qui, invece, possa intravedersi la luce. Forse è presto per dirlo, ma da qualche parte c’è.
Catapultati nella pellicola scritta e diretta da Florence Welch troviamo South London Forever e i luoghi della sua infanzia, così simili a quelli dell’adolescenza e della giovinezza. I prati verdi tutti uguali e un paio di occhi scuri sono le fondamenta sicure per una casa da costruire. Certe immagini sono in realtà soltanto bolle di sapone.
Florence Welch cerca la libertà e noi la cerchiamo con lei. Chiudiamo gli occhi mentre guardiamo il sole tramontare dietro le silhouttes dei palazzi e le loro ombre si muovono a intermittenza sulla superficie ondosa del fiume che taglia la città. Dalle tinte fosche di Big God alla lucentezza di Sky Full Of Song il passo è breve.
Nella voce di Florence ci sono i tavolini dei bar, il chiasso della sera e il silenzio avvolgente della notte. Quando le casse dell’autoradio prendono il posto delle cuffie anche i ritmi cambiano: meno ovattati e finalmente riconoscibili tra le pieghe dell’oscurità.
L’amore ha diverse forme ed è anche quello per una sorella minore che in tante situazioni è stata costretta a vestire i panni della maggiore. Non è mai troppo tardi per chiedere scusa, soprattutto a chi non ci ha mai voltato le spalle. Se Grace è una dichiarazione di affetto appesa a testa in giù, Patricia è uno dei brani più coinvolgenti e movimentati della raccolta. Una canzone da urlare, potente, che risveglia i sensi quasi come una secchiata d’acqua fredda in testa:
Oh Patricia, you’ve always been my North Star / And I have to tell you something / I’m still afraid of the dark / But you take my hand in your hand / From you the flowers grow
Una bellissima confessione da parte della cantante inglese alla sacerdotessa del rock, Patti Smith, vista come modello indiscusso, la stella polare da seguire nei momenti di smarrimento. Intanto l’aria calda dell’estate continua a muovere i lunghi capelli rossi di Florence Welch e i suoi vestiti pieni di ruches e stampe floreali. La immaginiamo davanti a noi con lo sguardo serio mentre recita 100 Years come se fosse una poesia:
Hubris is a bitch / A hundred arms, a hundred years
Certe voci sembrano state create per infondere fiducia nel prossimo, una boccata d’aria fresca da respirare a pieni polmoni. La voce diventa più che altrove la regina indiscussa, l’elemento su cui focalizzare la propria attenzione. In questo blues energico c’è tutta la saggezza infusa da mamma e papà Welch, studiosi e professori della civiltà occidentale, un bagaglio culturale da cui Florence ha dimostrato in parecchie occasioni di avere attinto, rielaborando le informazioni e organizzando le idee secondo il proprio pensiero.
Gli archi rendono l’atmosfera più intensa passando da The End Of Love all’ultima traccia, No Choir, il lieto fine che attendevamo. High As Hope è un disco che si ascolta distesi su un letto mentre le pale della ventola a soffitto girano vorticosamente, muovendo masse d’aria incandescente. Gli occhi rigorosamente chiusi per carpire meglio le sfumature di colore che emergono da ogni singola nota.
La musica di Florence Welch è un incentivo a sapersi ascoltare, a vedersi attraverso gli occhi di uno sconosciuto che parla la tua lingua all’angolo di una strada. L’estate ci vibra addosso e respiriamo più lentamente quando il vento torna a soffiare. Questo disco è stato scritto per notti come queste: notti di libertà, di silenzi e di voci che riecheggiano nel buio. Non possiamo che farci travolgere, guardando al passato con un sorriso e al futuro senza troppe aspettative. Il presente è in queste dieci canzoni, non lasciamocelo sfuggire.