Quando abbiamo letto la notizia del tour acustico dei Fine Before You Came un po’ siam rimasti spiazzati: una band dall’attitudine hardcore che si misura con un altro modo di arrangiare i propri pezzi. La domanda che circolava nelle nostre teste, mescolandosi a un po’ di curiosità, era: cosa ne verrà fuori dalla rivisitazione semi-acustica di un repertorio che ha sempre fatto del sound duro ed elettrico il suo marchio, difficile da tradurre in una performance accompagnata da violoncello e contrabasso? Sono 11 le date del tour acustico di gennaio dei FBYC, e attraversano l’intero paese dall’alto in basso (con una scontata sproporzione tra date a Nord e Sud). Abbiamo scelto Napoli per vederli dal vivo e raccontarli, nello scenario suggestivo del Lanificio 25, locale a pochi passi dalla stazione centrale e Porta Capuana, nascosto nei palazzi bui di una Napoli misteriosa e affascinante. Il live conquista il pubblico con le sue suggestioni, ma in parte tradisce le aspettative di chi era abituato ai loro live più graffianti e di chi era in cerca di hardcore.
Il clima è suggestivo, quasi al limite del lugubre, attraversato da toni cupi, teatrali e drammatici, strutturati da arpeggi studiati e composizione ragionate. Questi importanti, seppur poche, elementi ci ricordavano di tanto in tanto che sul palco si stava esibendo uno dei gruppi italiani più interessanti dell’ultimo arco di tempo. Il cantato tipico dell’hardcore tuttavia sembra uscir fuori più blando accompagnato da strumentazioni semi-acustiche: quello che sembra mancare è l’attitudine casinista da stage-diving che caratterizza la band milanese.
L’attacco del live risulta immediatamente soffice, tant’è che le prime canzoni sono state gradevoli, ipnotiche e misurate, a tratti addirittura toccanti: a poco a poco si tocca un po’ di insofferenza per la ripetitività delle melodie, unite ad un cantato che con l’atmosfera acustica aveva decisamente poco feeling. I vocalizzi dei FBYC sono infatti strutturati per essere accompagnati da una potentissima base elettrica, violenta e tragica e nel corso del live si è potuto percepire in modo ingombrante uno scostamento innaturale: melodia strumentale che tentava (senza comunque riuscire troppo) di ricordare le glorie elettriche dei dischi passati; linea vocale che invece si ritrovava completamente fuori contesto. Una polarizzazione che ha distrutto tutto il buon lavoro iniziale lasciando spazio solo ad un’aria pesante, quasi insostenibile.
Un esempio centrale da prendere in considerazione per comprendere cosa stiamo dicendo è la bellissima Dublino: una delle canzoni più profonde e di spessore della band milanese, che ha contribuito fortemente a inscrivere Orme nella costellazione dei dischi più importanti del panorama nostrano hardcore. Il live acustico è riuscito nel difficile intento di svuotare completamente di senso la composizione lirica di Dublino, privandola dello spessore qualitativo della versione elettrica del disco, lasciando al suo posto soltanto l’ombra sbiadita dell’ottimo lavoro originale. I pezzi risultavano dunque venir fuori sulla linea di un unicuum vero e proprio, in cui la forma sonora sembrava quasi sbiadita e dimenticata dentro una litania. Nello stesso tempo ci siamo trovati di fronte a un esperimento coraggioso, che in qualche modo conferma la base del talento dei FBYC. I riarrangiamenti, seppur a tratti poco efficaci nel coinvolgimento, risultavano comunque melodici. Ma che ne è della rabbia convulsa, e della violenza sonora?
Il concerto si è concluso con Distanze, ultimo brano pubblicato dalla band e presentato con emozione dal cantante Jacopo Lietti che ha più volte ribadito come il pezzo parli più di qualunque altro del loro progetto musicale e di quello che lega veramente i 5 componenti del gruppo. A fine serata il pubblico ha ballato sul dj-set di Ror, che è riuscito a riscaldare una pista che aveva voglia di muoversi.
Report a cura di Eugenio Maddalena e Giovanna Taverni
Fotografie di Michela Sellitto