Un altro anno di cinema: i film del 2024

Cinema, immagini, visioni. Una selezione di film che raccontano il 2024.

Parthenope

Paolo Sorrentino

Nel 2024 Sorrentino ci ha regalato Parthenope, una dichiarazione d’amore malinconica e sensuale a Napoli, alla giovinezza e agli amori mancati. Col senno di poi il film andava fatto decantare, come si fa con il vino buono. Difficile ad oggi spiegare cosa abbiamo visto (o cosa ancora non avete visto).

Dialoghi taglienti e sussurrati che girano intorno ai protagonisti, malinconia, lussuria: Parthenope non è solo un film, ma una celebrazione struggente della bellezza che resiste anche nella sofferenza. Forse è un po’ quello che ci serve per affrontare l’anno nuovo.

Valentina Carlucci | Recensione

 

 


Anora

Sean Baker

Tra i film del 2024 non si può non citare Anora, ultimo lavoro di Sean Baker. Palma d’oro a Cannes e asso piglia tutto nella categoria di miglior attrice per la sua protagonista Mikey Madison. Anora è un film sul sex-work, sul potere, sulla lotta di classe e sui sentimenti. La protagonista Anora, il cui nome dà il titolo al film, lavora come spogliarellista e ballerina in un locale notturno di New York. La sua vita cambia quando, data la sua vaga conoscenza del russo, viene incaricata dell’intrattenimento del giovane Ivan Zacharov (Mark Ėjdel’štejn). Anora, anche spinta da un’attrazione per il ragazzo, decide di “frequentarlo” fuori dal locale attraverso ripetuti incontri sessuali a pagamento che si svolgono all’interno della casa di Ivan. Come si capisce immediatamente dalla dimora del ragazzo, Ivan non è un tipo qualunque, bensì l’erede di una famiglia di oligarchi russi con un patrimonio letteralmente sconfinato. Proprio grazie all’assenza di limiti di denaro Ivan può permettersi di fare ad Anora un’offerta che vada oltre gli incontri che già avvengono. Rilanciando sull’offerta iniziale del ragazzo, al prezzo di 15.000 dollari, Anora diventerà infatti la sua “horny girlfriend” per una settimana. I sette giorni trascorrono tra deliri alcolici, gioco d’azzardo e rapporti sessuali consumati in ogni dove sino a giungere al punto di svolta: Ivan chiede ad Anora di sposarlo. Da qui in poi il film assume una piega completamente differente giocando su continui ribaltamenti di situazione e su quella che è una vera rappresentazione di quello che è un “rapporto di forza”, soprattutto quando all’interno della storia entra con prepotenza (e violenza) la mano della famiglia Zacharov. Baker non fa mancare momenti comici e surreali rendendo il film qualcosa a cavallo tra un dramma col sorriso e una dark-comedy con gli elementi di un road movie, costellandola però di riferimenti politici e umani che trainano lo spettatore verso un finale struggente che, rifuggendo ogni visione favolistica, mette chi guarda davanti alla dura realtà: alla fine gli ultimi perdono sempre.

Antonio Gatto

La zona d’interesse

Jonathan Glazer

La zona d’interesse di Jonathan Glazer – tratto dall’omonimo libro di Martin Amis – non è un film tout-court sulla Shoah, in quanto cerca di andare oltre la tipica rappresentazione del male del Ventesimo secolo, focalizzandosi unicamente sui carnefici diretti e sulla loro quotidianità, su chi ormai il male lo ha più che ingerito e metabolizzato. Lo spettatore è immerso nella routine della famiglia Höss, tra le gite a cavallo per raggiungere il fiume e giocare immersi nella natura, le feste in piscina, le ore trascorse nel bucolico giardino, le giornate spese con le amiche a spettegolare tra scambi di pellicce e gioielli. Solo che gli Höss non sono una famiglia tedesca qualunque: Rudolph Höss (interpretato da Christian Friedel) è il comandante del campo di sterminio di Auschwitz e la casa sorge di fianco al campo. Seppur relegati a sfondo, Auschwitz e la Shoah non sono così facili da ignorare o da cancellare. Basta prestare attenzione ai dettagli: dagli stivali del comandante impregnati di sangue alla cenere che viene utilizzata nell’orto e che pervade il fiume in cui i bambini nuotano insieme al padre, fino all’odore stesso di cui è pregna l’aria e, in qualche modo, sembra infastidire alcuni membri della famiglia, insinuandosi nel loro ambiente paradisiaco solo all’apparenza, smascherando la loro farsa. Con questa decisione autoriale, La zona d’interesse mette continuamente alla prova lo spettatore, che si trova immerso nelle vicende banali e noiose di una famiglia borghese a due passi dall’orrore. La sfida vera di chi guarda, però, è non perdere mai di vista quello che si riesce a intravedere oltre quel giardino, riuscire a sentire le urla di dolore dei prigionieri e i colpi di fucile e pistola, per non arrendersi o, peggio, abituarsi alla banalità del male.

Nicole Erbetti | Recensione

Marcello mio

Christophe Honoré

Scritto e diretto da Christophe Honoré, Marcello mio è un omaggio a Marcello Mastroianni nel centenario della sua nascita. Stanca e delusa da provini nei quali riemerge, inevitabile, l’ombra paterna, la figlia Chiara decide per un’estate di diventare suo padre, vestendosi come lui, portando i suoi occhiali, imitandone – meglio sarebbe: riappropriandosene – parlata, modi, eleganza e ironia. Quello che in un primo tempo sembra quasi un gioco comincia, però, a sconcertare amici e familiari, dalla madre Catherine Deneuve a una pletora di attori che interpretano sé stessi – Fabrice Luchini, Stefania Sandrelli e il cantautore Benjamin Biolay – costringendoli al confronto con l’attore, l’amico, l’amore perduto. Grazie a una prova d’interprete straordinaria e complice – e qualcosa che da sempre va ben oltre la mera somiglianza –  Christophe Honoré e Chiara costruiscono scena dopo scena una fotografia in movimento commovente, dolcissima, ironica, malinconica che celebra uno dei più grandi attori del cinema mondiale. Divertissement sui generis, condensazione dell’amore di una figlia per un padre, calembour che si muove con giocosità sottile e talvolta infantile tra i set cinematografici e le icone attoriali interpretate da Marcello come anche tra i ritratti di un’artista figlia di artisti provando a cancellare tutte le distanze: tra privato e film, tra genitori e figli, tra passato e presente e – più importante di tutte – quella tra (dolce) vita e la morte.

Fabio Mastroserio

Confidenza

Daniele Luchetti

Confidenza è un romanzo di Domenico Starnone del 2019 che dal 2024 è diventato, per mano del buon Daniele Luchetti, anche una trasposizione cinematografica. Divisiva, a sentire l’opinione pubblica, perché fedele nei contenuti, ma non nella resa su grande schermo. In questo Luchetti è bravissimo a rendere l’immaginario di Starnone in maniera assolutamente non didascalica. Pietro Vella, interpretato da Elio Germano, è appunto un maschio starnoniano: un uomo mai amabile, sempre molto amato e desiderato, un professore di lettere al liceo sempre modesto, che più tende a svalutarsi e a ridurre tutto quello che fa a delle sciocchezze, dei momenti di lezione alternativi, più viene amato e cercato dai propri alunni ed ex alunni. Un uomo fallibile che fa l’errore di rivelare un segreto a Teresa per poi vivere con questo pensiero martellante in testa per molti e molti anni.

– Perché m’è venuto questo desiderio.

– Te lo dovevi tenere per te, è una sciocchezza, non si dicono tutti i desideri.

Daniele Luchetti riesce a rendere bene proprio questo aspetto, inchiodando lo spettatore alla poltrona del cinema e trasformando il romanzo in altro da sé, da affare confidenziale-sentimentale a thriller. Che dire della colonna sonora a opera di Thom Yorke dei Radiohead, poi? Un regalo graditissimo.

Federica Guglietta | Recensione

Vermiglio

Maura Delpero

Maura Delpero ci ha donato un regalo bellissimo e raro con Vermiglio. Una narrazione poetica che si addentra nei paesaggi dell’anima (e della sua lingua) e della montagna trentina. La storia di una giovane donna, sospesa tra il passato della sua famiglia e un presente che la proietta verso l’emancipazione (attraverso il perduto amore), si intreccia con la natura viva, senza tempo, imperturbabile e poco matrigna ma, anzi, molto madre.

Intimo, femminile, è come guardare un’antica fotografia ritrovata: Vermiglio è una poesia letta a lume di candela di sera, un viaggio nelle radici e nei desideri umani.

 

Valentina Carlucci

 


Kind of Kindness

Yorgos Lanthimos

Dopo Povere Creature! Lanthimos torna a fare il Lanthimos. Con un cast di stelle composto da Emma Stone, Willem Defoe, Jesse Plemons, Margaret Qualley e Hunter Schafer, il regista con Kind of Kindness restituisce alllo spettatore quelle atmosfere più cupe e disturbanti che lo distinguono ormai dai tempi di Kynodontas. Il film è diviso in tre episodi in cui Lanthimos indaga gli aspetti del potere e della sottomissione, il tabù del cannibalismo e del sacrificio, la cecità davanti alla fede e la sacralità del rito. I volti si intrecciano nelle interpretazioni dei protagonisti che impersonano ogni volta diversi personaggi. La pellicola risulta volutamente estrema in alcuni suoi passaggi, come a voler segnare la riappropriazione di uno stile che era stato parzialmente abbandonato per seguire le peripezie di Bella Baxter. Nonostante una lunghezza dilatata che sfiora complessivamente le tre ore, la durata di ogni singolo episodio fa sì che invece il materiale sia concentrato, elevando piccoli punti nodali a specchio del significato del film intero. Un film di Lanthimos per veri Lanthimosiani, per ritrovare tutti quegli elementi a cui il regista greco ha abituato il suo pubblico. E poi, chi non ha ballato con Emma Stone sulle note di Brend New Bitch?

Antonio Gatto

Past Lives

Celine Song

La cineasta sudcoreana nel suo film d’esordio Past Lives si interroga su uno dei temi più cari alla letteratura e al mondo dell’arte: le altre vite possibili. “Cosa sarebbe accaduto se…?” è la domanda che costella l’intera pellicola, che ha come protagonisti Nora (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo), due ex compagni di scuola che non si sono più visti per molti anni dopo che la ragazza si è trasferita insieme alla sua famiglia in Nord America. I due si ritroveranno dodici anni dopo, grazie ai social network: dopo un affettuoso ravvicinamento, Nora chiude bruscamente questa relazione a distanza e con il suo passato in Corea del Sud. Arrivati al presente, Nora è una promettente artista sposata con lo statunitense Arthur (John Magaro) e riceve la visita dell’ex compagno di scuola, che sta viaggiando negli States. Dal loro incontro, dopo circa due decenni dall’ultima volta che si erano visti, scaturiscono dubbi, domande, quesiti su come sarebbe potuto nascere tra di loro se la vita avesse riservato loro un destino diverso anziché dividerli. Celine Song regala una storia rara, fuori dalle logiche dei triangoli amorosi, anticonvenzionale e lo fa con una delicatezza disarmante in grado di dare forma a un amore sincero, libero e, proprio per questo, più doloroso che mai.

Nicole Erbetti

Grand Tour

Miguel Gomes

Presentato in concorso alla 77ª edizione del Festival di Cannes, premiato con il Prix de la mise en scène per la regia dell’autore portoghese, Grand Tour – apparentemente – è la storia di un viaggio e di una ricerca, ambientate inizialmente nel 1918 in una Rangoon sotto il dominio coloniale britannico. Edward (Gonçalo Waddington) è un giovane uomo che, mentre aspetta la fidanzata Molly (Crista Alfaiate), decide di lasciarla senza nemmeno incontrarla. Inizia, così, il loro doppio tour che si trasforma in un inseguimento a distanza, un “guardia e ladri” che permette di dipanare la duplice narrazione dei due innamorati. Ogni cosa si fa molteplice in questo film: l’uso di un bianco e nero caldissimo con le riprese a colori, lo sfalsamento dei piani temporali con la sovrapposizione del presente sul passato, la realtà dei luoghi con la matrice onirica che attraversa con prepotenza tutto il film. Il Grand Tour nel Sudest asiatico – Birmania, Tailandia, Vietnam, Filippine, Giappone, Cina e Singapore – permette agli idiomi delle voci fuoricampo di proliferare, alimentando il senso di straniamento che pervade l’intera opera. Dopo Tabù e la Trilogia de Le mille e una notte, ecco che Miguel Gomes si riconferma uno dei registi più importanti del nuovo secolo grazie alla sua capacità di tenere uniti lo sguardo del grande cinema del passato facendolo percorrere, però, da intuizioni continue e sorprendenti che trovano linfa nei dubbi e nelle visioni dell’uomo contemporaneo, offrendo così allo spettatore la vertigine di un sogno e delle sue infinite interpretazioni.

Fabio Mastroserio

Quell’estate con Irène

Carlo Sironi

Con Quell’estate con Iréne, Carlo Sironi ci porta dentro un’estate estiva fatta di scoperte, segreti e desideri. Ambientato in un paesaggio italiano che brucia sotto il sole troviamo una storia che esplora l’amicizia e i legami complessi. C’è il desiderio di raccontare quel momento in cui le prime impressioni della vita ci colpiscono e vanno a creare la nostra identità e la nostra memoria: insomma proprio quell’estate che non dimenticheremo mai. Un film che ha la sostanza indefinita di un sogno ad occhi aperti e la precisione chirurgica dei ricordi più importanti. Sironi è sicuramente una delle voci più promettenti del nuovo cinema italiano, e qui cattura l’adolescenza con autenticità, restituendoci un film vibrante e malinconico, capace di parlare al cuore con una sensibilità rara.

Non avete scuse, lo trovate su Mubi!

Valentina Carlucci

Another End

Piero Messina

Another End vede il ritorno dietro la macchina da presa di Piero Messina dopo quasi dieci anni da L’Attesa. Il regista siciliano è alla prese con un cast internazionale che vede come protagonisti Gael Garcìa Bernal e Renate Reinsve in un film che tratta il tema del lutto e della morte attraverso la dimensione stessa della coscienza. In un futuro non meglio precisato i corpi e le coscienze risultano essere separabili attraverso una innovativa procedura, il che permette di innestare le coscienze dei morti all’interno di corpi di soggetti vivi “ospiti” che vendono parte del proprio tempo per impersonare i defunti e far sì che chi è rimasto abbia il tempo di dire veramente addio. Tutta la procedura è regolata da strettissimi regolamenti che prevengano gli abusi che possano essere perpetrati tramite una tecnologia tanto avanzata e allo stesso tempo gli stessi “ospiti” possono selezionare dei limiti rispetto a ciò che intenderanno fare con il proprio corpo privato della loro coscienza, come ad esempio concedere rapporti sessuali a chiunque acquisti il loro tempo. Il protagonista Sal (Bernal) non riesce a superare la perdita della moglie ed usufruisce del “servizio” per poter passare altro tempo con la coscienza della sua amata attraverso il corpo di Ava (Reinsve), tutto sembra funzionare secondo il corretto procedimento, sinché Sal non decide di infrangere una delle regole fondamentali del programma: cercare Ava nella vita reale con tutto quello che ne conseguirà. Un film delicato sul non saper lasciar andare senza la paura di esporre egoismi e fragilità dell’animo umano.

Antonio Gatto
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